Ideata da Fox Talbot e perfezionata da Carl Klic intorno al 1850, la photogravure è un antico e complesso procedimento che impiega la tecnica dell’acquaforte per incidere un’immagine fotografica su una lastra di rame che viene stampata a mano come un intaglio. Quello che distingue la photogravure da altri procedimenti di riproduzione fotografica è la permanenza – una photogravure, per dire, può durare quanto una stampa di Rembrandt – e straordinaria è la sua capacità di riprodurre un’immagine con un vero e proprio continuum di tonalità, dal bianco al nero più intenso, grazie allo spessore dell’inchiostro sulla carta – corrispondente alla profondità dell’incisione sulla lastra di rame – e non in base all’illusione data da una distribuzione di punti della stessa tonalità, come invece è il caso delle più comuni tecniche di stampa quali la fotoincisione.



“Alla fotografia bisogna starci attenti. Con la fotografia diamo realtà ad una finzione; ci pare di essere lì e invece veniamo trasportati a piè pari in una scena cui non apparteniamo. Potrebbe diventare una cattiva abitudine. Quando facevo film sperimentale usavo l’immagine fotografica come un supporto su cui lavorare, graffiando e dipingendo l’emulsione fotogramma per fotogramma, per mettere in discussione il modo tradizionale di riproduzione fotografica. Adesso, dopo la parentesi dell’infatuazione digitale, impiego il metodo della photogravure. Con la photogravure quello che risulta da una laboriosa serie di procedure che richiedono pazienza, concentrazione, forza muscolare, esperienza e una buona dose di fortuna. È un oggetto tangibile e tridimensionale che – specie se guardato da vicino – ha una realtà propria che effettivamente rimpiazza la realtà dell’immagine fotografica su cui è basato”. F.M.

Franco Marinai, laureato presso la “Cesare Alfieri” di Firenze, vive e lavora a New York. Sarà presente all’inaugurazione.