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Franco Mulas ’68
In mostra opere realizzate dall’artista negli anni 68-73. L’esposizione rientra nell’apertura della Pinacoteca dedicata alla figura del gallerista veregrense
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Sabato 1 Dicembre alle ore 18.00 si inaugura a Montegranaro, presso la Pinacoteca
Fondo Gottardo Mancini, la mostra Franco Mulas ’68, opere realizzate negli anni
68-73. L’esposizione rientra nell’apertura della Pinacoteca dedicata alla figura del
gallerista veregrense che ha operato nelle Marche dal 1977 al 2000, lasciando poi il
testimone alla figlia Barbara fino al 2006. Da allora nel Seicentesco Palazzo
Conventati abitano due associazioni: la prima Philosofarte e la seconda che
custodisce la collezione privata del gallerista.
Orari Apertura
Dicembre Tutti i giorni dalle ore 18 alle ore 20
Gennaio dal giovedì alla domenica dalle ore 18 alle ore 20
info 347 6890974
Dall’incipit del testo di Tommaso Di Francesco del catalogo pubblicato in occasione
del vernissage alla galleria Andrè, di Roma, si legge:
-Attenzione. Saremo sommersi dalle celebrazioni più o meno ufficiali del Sessantotto
che, come tali, vogliono “celebrare”, una convinzione revisionista radicata. Mirata a
sottolineare magari l’aspetto “generazionale” ed edipico dell’esplodere della
questione giovanile. Ma soprattutto, nella distanza, a denunciare che da quella
protesta si sarebbe affermato l’individualismo sfrenato e una critica dello stato delle
cose presenti così “troppo radicale” – sulla scuola, sul lavoro, sulla vita – da aiutare
alla fine la reazione del capitalismo liberista (non ancora neo) e il ritorno delle forme
storiche della rappresentanza politica dei partiti. La tesi reazionaria che questa
“celebrazione” vuole affermare è che quel movimento, del quale è meglio tacere che
fu planetario, sarebbe stato una tabula rasa che allontanò ogni alternativa possibile. –
Il ’68 fa ancora paura, per questo motivo si tende a svalutarlo senza trovare il
coraggio forse, di raccogliere la forza positiva ed i semi (che ci sono) di quell’Utopia
allora risorgente e che oggi, nel disfacimento sociale, dell’ambiente e delle
consapevolezze etiche, si potrebbe chiamare addirittura buon senso.
Alcune radici si possono trovare nell’infiammato discorso di Mario Savio, figlio tra
l’altro di un emigrato siciliano, quando aveva tenuto a battesimo il “movimento degli
studenti” The Free Speech Movement, iniziato nel campus di Berkeley nel ‘64 ...
quando il 2 dicembre dello stesso anno aveva tenuto, di fronte ad una platea enorme
di studenti, il suo discorso più famoso – Operation of the machine. Però molto è
successo prima e dopo, mentre l’Italia ha mantenuto una sua specificità che andrebbe
rivisitata, senza dimenticare la “nostra” prima ribellione dei giovani del dopoguerra,
chiamata dei ragazzi con le magliette a righe, quando nel 1960 sotto il Governo
Tambroni, un Sandro Pertini indignato, ricordato a Genova come “u brighettu” (il
fiammifero) il 28 giugno accese la folla ricordando la Resistenza.
Citando ancora Di Francesco, che definisce Franco Mulas – il pittore non già del
Sessantotto, ma sessantotto lui stesso, protagonista con altri milioni di esseri umani
che in tutto il mondo, scendevano in piazza e dentro le loro esistenze, a riaffermare
che ribellarsi è giusto. Perché, se la nostalgia del ’68 non va bene, la misura dei suoi
contenuti gridati e mancati invece ci aiuta nel presente – ... Dobbiamo constatare che
il lavoro iconico di questo artista scava nel profondo mentre le sue immagini non
sono così innocue come si potrebbe pensare, anzi, costituiscono una sfida formale
all’omologazione nella cosiddetta questione delle immagini, invadenti ed ipnotiche
delle comunicazioni digitali. Prima di tutto quindi una forma di terapia di un
linguaggio strutturato che organizza il pensiero, trasmette informazioni ed emozioni,
poi non secondariamente, il radicamento delle stesse in un intervento “materico”,
manuale, artigianale, vitale, concreto, non meccanico e ripetitivo.
Basti vedere alcune delle sue tele che in questo occasione riemergono da una storia
ancora viva, presente, dove le maschere assumono un significato mutevole ma
riconoscibile, nella loro identificazione fissa con un personaggio nella commedia
(umana) dell’Arte secondo un copione socio-politico che le sovrasta come un destino.
C’è il Gilles che piange lacrime di sangue, cioè una maschera da Pierrot ormai
corroso dalla tristezza, ovvero la maschera neutra che rappresenta ciascuno ma che
vuole apparire in quello stato dell’essere di assenza dalle passioni, in uno stato
d’equilibrio, di economia dei movimenti, mentre il sangue che fuoriesce ne denuncia
il malessere profondo, ineludibile. C’è la maschera metallica del casco del robot-
androide-poliziotto, che riflette come uno specchio impassibile e congela ogni
emozione. Essi circondano il Gilles con la bandiera ancora avvolta in mano, in
L’immaginazione non ha preso il potere (all.to 1)
Nous sommes tous indesiderables
In Nous sommes tous indesiderables (all.to 2), la maschera è divenuta un fagotto, un
turbante improvvisato che cela il viso, mentre il manifesto lo rivela in effige, semi-
strappato ed urlante. C’è una moltitudine di Maschere (3) in un altro dipinto, che
circondano quella sofferente ma impassibile del Gilles, questo quadro rimanda anche
prepotentemente all’opera “Cristo porta-croce” un dipinto autografo di J. Bosch, dove
il viso della vittima sacrificale è circondato da visi mostruosi, maschere essi stessi. In
Ritorno all’ordine (4) invece la maschera è caduta ai piedi della scalinata incombente,
da dove parte anche l’inquadratura che trasmette tutta la durezza della nuda pietra.
Infine in Occidente (5) la maschera, ovvero il casco di un guerriero, è messo a
confronto con una statua, non a caso sembra il famoso Pensatore che Rodin, a sua
volta, aveva tratto ispirazione dal Pensieroso, scolpito da Michelangelo per la Tomba
di Lorenzo de’ Medici.
Per concludere con le parole di Lorenzo Canova:
-In cinque decenni, Franco Mulas ha tracciato un arco lungo e ricco di capitoli
iniziato con una figurazione di grande rigore che ha saputo raccogliere sollecitazioni
internazionali e lo stimolo decisivo della Pop Art americana, con espliciti omaggi a
James Rosenquist, che però non si declinano nella linea di una banale imitazione di
modelli d’oltreoceano, ma che si collocano in modo autonomo e del tutto personale in
un più ampio contesto italiano ed europeo, dove il pittore raccoglie anche le
suggestioni di Francis Bacon sul dinamismo e la destrutturazione della figura in opere
dove la critica di quegli anni ha colto la dimensione di critica all’Iperrealismo,
avvicinando piuttosto Mulas ad artisti come Vespignani, Guerreschi o Cremonini o
anche Ipousteguy, senza dimenticare gli echi più distanti della pittura di Hopper. –
Franco Mulas nasce a Roma nel 1938. Studia pittura all’Accademia di Francia a
Roma, città in cui tuttora vive e lavora. La prima mostra personale, con una
presentazione di Renzo Vespignani, si tiene alla Galleria “Sagittario” di Bari nel
1967. Espressione significativa della formazione dell’artista risulta la prima serie di
quadri: “Week-end” (Omaggio a Rosenquist) del 1967-1968.
Fra il 1968 e il 1969 dipinge una serie di dipinti ad olio su tavola, ispirati al maggio
francese e alla contestazione urbana. Entrambe le serie vengono proposte in varie
esposizioni (IV Biennale d’Arte di Bolzano del 1971, mostra “Rivolta e Rivoluzione”
a Bologna tra il novembre 1972 ed il gennaio 1973, mostra “Italienische Realisten”
1945 bis 1974 a Berlino nel 1974). Sempre prendendo come soggetti i problemi della
violenza e l’oppressione dei mass media, Mulas elabora due nuove serie di dipinti:
nel 1971 e 1972 le “Pitture nere”, nel 1974 e 1975 gli “Itinerari”. Un’opera della
prima serie viene esposta alla X Quadriennale di Roma del 1973, le seconde sono
invece presenti nelle personali tenute a Milano (Galleria 32, 1972), a Roma (Galleria
La Nuova Pesa, 1974) e a Firenze (Galleria Santacroce, 1975). Nel 1980 espone alla
Galleria “Il Ferro di Cavallo” di Roma “Autoritratto Identikit”, quattro autoritratti
frontali costruiti con la tecnica dell’identikit; l’opera verrà ripresentata l’anno
successivo alla mostra Arte e Critica presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Nello stesso anno 1980 la XXXIX Biennale di Venezia presenta la sequenza
“L’Albero rosso” di Mondrian, inserendo l’artista, impegnato in una nuova
definizione del rapporto natura-storia, nella sezione Architettura “GRAU”.
In questa stessa prospettiva si possono inserire le ultime produzioni, dalle opere
presenti nella mostra Finzioni (Roma, Galleria Ca’ d’Oro, 1985) fino alle più recenti
della serie “Big Burg”. Un’antologica, con opere dal 1967 al 1991 si è tenuta nel
1991 a Palazzo Braschi in Roma. Un’importante mostra di Mulas dal titolo Dipinti
1980-1998 si è tenuta a Palazzo dei Priori di Volterra nel 1998. Della fine degli anni
Novanta è l’impegno al nuovo ciclo pittorico “Schegge”, esposto a Teramo alla
Galleria “Forlenza” nel 2005, ed insieme ai cicli “Finzioni” e “Big-Burg”, all’
“EXMA” di Cagliari. Nel 1989 vince il Premio “Presidente della Repubblica” per la
pittura. Nel settembre 2000 è nominato Accademico Dell’Accademia Nazionale di
San Luca. Nel 2011 viene invitato alla 54° Biennale di Venezia. Nel 2013 al Museo
Bilotti di Roma espone il ciclo “Spaesaggi”. Nel luglio del 2017 presenta presso il
Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli Piceno la mostra “DEFRAG”. Opere
1967-2017, realizzando anche lo Stendardo della Quintana del 2017.
Fondo Gottardo Mancini, la mostra Franco Mulas ’68, opere realizzate negli anni
68-73. L’esposizione rientra nell’apertura della Pinacoteca dedicata alla figura del
gallerista veregrense che ha operato nelle Marche dal 1977 al 2000, lasciando poi il
testimone alla figlia Barbara fino al 2006. Da allora nel Seicentesco Palazzo
Conventati abitano due associazioni: la prima Philosofarte e la seconda che
custodisce la collezione privata del gallerista.
Orari Apertura
Dicembre Tutti i giorni dalle ore 18 alle ore 20
Gennaio dal giovedì alla domenica dalle ore 18 alle ore 20
info 347 6890974
Dall’incipit del testo di Tommaso Di Francesco del catalogo pubblicato in occasione
del vernissage alla galleria Andrè, di Roma, si legge:
-Attenzione. Saremo sommersi dalle celebrazioni più o meno ufficiali del Sessantotto
che, come tali, vogliono “celebrare”, una convinzione revisionista radicata. Mirata a
sottolineare magari l’aspetto “generazionale” ed edipico dell’esplodere della
questione giovanile. Ma soprattutto, nella distanza, a denunciare che da quella
protesta si sarebbe affermato l’individualismo sfrenato e una critica dello stato delle
cose presenti così “troppo radicale” – sulla scuola, sul lavoro, sulla vita – da aiutare
alla fine la reazione del capitalismo liberista (non ancora neo) e il ritorno delle forme
storiche della rappresentanza politica dei partiti. La tesi reazionaria che questa
“celebrazione” vuole affermare è che quel movimento, del quale è meglio tacere che
fu planetario, sarebbe stato una tabula rasa che allontanò ogni alternativa possibile. –
Il ’68 fa ancora paura, per questo motivo si tende a svalutarlo senza trovare il
coraggio forse, di raccogliere la forza positiva ed i semi (che ci sono) di quell’Utopia
allora risorgente e che oggi, nel disfacimento sociale, dell’ambiente e delle
consapevolezze etiche, si potrebbe chiamare addirittura buon senso.
Alcune radici si possono trovare nell’infiammato discorso di Mario Savio, figlio tra
l’altro di un emigrato siciliano, quando aveva tenuto a battesimo il “movimento degli
studenti” The Free Speech Movement, iniziato nel campus di Berkeley nel ‘64 ...
quando il 2 dicembre dello stesso anno aveva tenuto, di fronte ad una platea enorme
di studenti, il suo discorso più famoso – Operation of the machine. Però molto è
successo prima e dopo, mentre l’Italia ha mantenuto una sua specificità che andrebbe
rivisitata, senza dimenticare la “nostra” prima ribellione dei giovani del dopoguerra,
chiamata dei ragazzi con le magliette a righe, quando nel 1960 sotto il Governo
Tambroni, un Sandro Pertini indignato, ricordato a Genova come “u brighettu” (il
fiammifero) il 28 giugno accese la folla ricordando la Resistenza.
Citando ancora Di Francesco, che definisce Franco Mulas – il pittore non già del
Sessantotto, ma sessantotto lui stesso, protagonista con altri milioni di esseri umani
che in tutto il mondo, scendevano in piazza e dentro le loro esistenze, a riaffermare
che ribellarsi è giusto. Perché, se la nostalgia del ’68 non va bene, la misura dei suoi
contenuti gridati e mancati invece ci aiuta nel presente – ... Dobbiamo constatare che
il lavoro iconico di questo artista scava nel profondo mentre le sue immagini non
sono così innocue come si potrebbe pensare, anzi, costituiscono una sfida formale
all’omologazione nella cosiddetta questione delle immagini, invadenti ed ipnotiche
delle comunicazioni digitali. Prima di tutto quindi una forma di terapia di un
linguaggio strutturato che organizza il pensiero, trasmette informazioni ed emozioni,
poi non secondariamente, il radicamento delle stesse in un intervento “materico”,
manuale, artigianale, vitale, concreto, non meccanico e ripetitivo.
Basti vedere alcune delle sue tele che in questo occasione riemergono da una storia
ancora viva, presente, dove le maschere assumono un significato mutevole ma
riconoscibile, nella loro identificazione fissa con un personaggio nella commedia
(umana) dell’Arte secondo un copione socio-politico che le sovrasta come un destino.
C’è il Gilles che piange lacrime di sangue, cioè una maschera da Pierrot ormai
corroso dalla tristezza, ovvero la maschera neutra che rappresenta ciascuno ma che
vuole apparire in quello stato dell’essere di assenza dalle passioni, in uno stato
d’equilibrio, di economia dei movimenti, mentre il sangue che fuoriesce ne denuncia
il malessere profondo, ineludibile. C’è la maschera metallica del casco del robot-
androide-poliziotto, che riflette come uno specchio impassibile e congela ogni
emozione. Essi circondano il Gilles con la bandiera ancora avvolta in mano, in
L’immaginazione non ha preso il potere (all.to 1)
Nous sommes tous indesiderables
In Nous sommes tous indesiderables (all.to 2), la maschera è divenuta un fagotto, un
turbante improvvisato che cela il viso, mentre il manifesto lo rivela in effige, semi-
strappato ed urlante. C’è una moltitudine di Maschere (3) in un altro dipinto, che
circondano quella sofferente ma impassibile del Gilles, questo quadro rimanda anche
prepotentemente all’opera “Cristo porta-croce” un dipinto autografo di J. Bosch, dove
il viso della vittima sacrificale è circondato da visi mostruosi, maschere essi stessi. In
Ritorno all’ordine (4) invece la maschera è caduta ai piedi della scalinata incombente,
da dove parte anche l’inquadratura che trasmette tutta la durezza della nuda pietra.
Infine in Occidente (5) la maschera, ovvero il casco di un guerriero, è messo a
confronto con una statua, non a caso sembra il famoso Pensatore che Rodin, a sua
volta, aveva tratto ispirazione dal Pensieroso, scolpito da Michelangelo per la Tomba
di Lorenzo de’ Medici.
Per concludere con le parole di Lorenzo Canova:
-In cinque decenni, Franco Mulas ha tracciato un arco lungo e ricco di capitoli
iniziato con una figurazione di grande rigore che ha saputo raccogliere sollecitazioni
internazionali e lo stimolo decisivo della Pop Art americana, con espliciti omaggi a
James Rosenquist, che però non si declinano nella linea di una banale imitazione di
modelli d’oltreoceano, ma che si collocano in modo autonomo e del tutto personale in
un più ampio contesto italiano ed europeo, dove il pittore raccoglie anche le
suggestioni di Francis Bacon sul dinamismo e la destrutturazione della figura in opere
dove la critica di quegli anni ha colto la dimensione di critica all’Iperrealismo,
avvicinando piuttosto Mulas ad artisti come Vespignani, Guerreschi o Cremonini o
anche Ipousteguy, senza dimenticare gli echi più distanti della pittura di Hopper. –
Franco Mulas nasce a Roma nel 1938. Studia pittura all’Accademia di Francia a
Roma, città in cui tuttora vive e lavora. La prima mostra personale, con una
presentazione di Renzo Vespignani, si tiene alla Galleria “Sagittario” di Bari nel
1967. Espressione significativa della formazione dell’artista risulta la prima serie di
quadri: “Week-end” (Omaggio a Rosenquist) del 1967-1968.
Fra il 1968 e il 1969 dipinge una serie di dipinti ad olio su tavola, ispirati al maggio
francese e alla contestazione urbana. Entrambe le serie vengono proposte in varie
esposizioni (IV Biennale d’Arte di Bolzano del 1971, mostra “Rivolta e Rivoluzione”
a Bologna tra il novembre 1972 ed il gennaio 1973, mostra “Italienische Realisten”
1945 bis 1974 a Berlino nel 1974). Sempre prendendo come soggetti i problemi della
violenza e l’oppressione dei mass media, Mulas elabora due nuove serie di dipinti:
nel 1971 e 1972 le “Pitture nere”, nel 1974 e 1975 gli “Itinerari”. Un’opera della
prima serie viene esposta alla X Quadriennale di Roma del 1973, le seconde sono
invece presenti nelle personali tenute a Milano (Galleria 32, 1972), a Roma (Galleria
La Nuova Pesa, 1974) e a Firenze (Galleria Santacroce, 1975). Nel 1980 espone alla
Galleria “Il Ferro di Cavallo” di Roma “Autoritratto Identikit”, quattro autoritratti
frontali costruiti con la tecnica dell’identikit; l’opera verrà ripresentata l’anno
successivo alla mostra Arte e Critica presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Nello stesso anno 1980 la XXXIX Biennale di Venezia presenta la sequenza
“L’Albero rosso” di Mondrian, inserendo l’artista, impegnato in una nuova
definizione del rapporto natura-storia, nella sezione Architettura “GRAU”.
In questa stessa prospettiva si possono inserire le ultime produzioni, dalle opere
presenti nella mostra Finzioni (Roma, Galleria Ca’ d’Oro, 1985) fino alle più recenti
della serie “Big Burg”. Un’antologica, con opere dal 1967 al 1991 si è tenuta nel
1991 a Palazzo Braschi in Roma. Un’importante mostra di Mulas dal titolo Dipinti
1980-1998 si è tenuta a Palazzo dei Priori di Volterra nel 1998. Della fine degli anni
Novanta è l’impegno al nuovo ciclo pittorico “Schegge”, esposto a Teramo alla
Galleria “Forlenza” nel 2005, ed insieme ai cicli “Finzioni” e “Big-Burg”, all’
“EXMA” di Cagliari. Nel 1989 vince il Premio “Presidente della Repubblica” per la
pittura. Nel settembre 2000 è nominato Accademico Dell’Accademia Nazionale di
San Luca. Nel 2011 viene invitato alla 54° Biennale di Venezia. Nel 2013 al Museo
Bilotti di Roma espone il ciclo “Spaesaggi”. Nel luglio del 2017 presenta presso il
Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli Piceno la mostra “DEFRAG”. Opere
1967-2017, realizzando anche lo Stendardo della Quintana del 2017.
01
dicembre 2018
Franco Mulas ’68
Dal primo dicembre 2018 al 31 gennaio 2019
arte contemporanea
Location
FONDO GOTTARDO MANCINI
Montegranaro, Corso Matteotti, 11
Montegranaro, Corso Matteotti, 11
Orario di apertura
Dicembre: tutti i giorni dalle ore 18 alle ore 20
Gennaio: dal giovedì alla domenica dalle ore 18 alle ore 20
Vernissage
1 Dicembre 2018, ore 18
Autore