Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
François Bonjour – Opere recenti
La mostra presenta le opere più recenti dell’artista elvetico, sono caratterizzate da segni-parola divenuti ormai una costante nelle suo lavoro , ma nelle ultime opere questi segni-parola iniziano a “fioccare” andando a depositarsi in una sorta di cumuli.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
COMUNICATO STAMPA
Bonjour, che vive e lavora a Dino, nasce a Cham nel 1948, dopo il liceo artistico a Torino, si diploma presso il Centro Scolastico per le Industrie Artistiche (CSIA) di Lugano nella sezione arti decorative, poi in architettura d’interni. Il suo interesse per la pittura matura negli anni del liceo torinese, quando si sente in contraddizione con il metodo d’insegnamento fatto di poco disegno e di scarsa informazione sull’arte moderna. Compensa tali lacune con la frequentazione dello studio del pittore Arduino affreschista e pittore molto noto nell’ambito culturale torinese. Nel 1969 si trasferisce a Lugano dove conosce e frequenta artisti ticinesi quali Nag Arnoldi, Alberto Salvioni, Sergio Emery e Carlo Cotti. Il suo primo riconoscimento pubblico avviene in occasione di una collettiva a Vergiate, paese di Enrico Baj, dove la giuria – presieduta da Guttuso e Baj- premia la sua opera.
Da quel momento si dedica intensamente alla pittura e fino al 1978 espone parecchio anche fuori dai confini cantonali. Segue un lungo silenzio espositivo, che si protrarrà fino al 2002, durante il quale continua comunque la sua attività di pittore che, in solitudine, porta avanti attraverso i linguaggi dell’arte e le tendenze del momento: dalle ascendenze surrealistiche agli sperimentalismi polimaterici, con ibridazioni tra pittura e scultura, che si concludono con un ritorno alla figurazione del corpo, che però in seguito tende a sgretolarsi per fare spazio a opere più gestuali caratterizzate da una fitta partitura di segni, componente alla quale si aggiungono via via i messaggi scritti che avvolgono i segni in un intreccio vorticoso. La componente scritta a volte pacata, a volte frenetica diventa la parte più importante e invade tutta la superficie. Cerca di evadere in spazi più ampi e invade anche il vetro creando segni e ombre che possono essere interpretati liberamente. Nelle opere più recenti, quelle che vedremo esposte a Tegna, il segno-parola è sempre presente, ma inizia a fioccare andando a depositarsi in cumuli. Scrive Guarda nel testo del catalogo: “ Il ritmo frusciante ed ininterrotto delle parole che scivolano via, scende leggero a depositarsi, là dove già altri suoni e parole, prima di lui, si sono depositati dentro gli umori terrosi del fondo. Lo guardi, quel quadro: e può esser vita, ritmo passione dilagante, dialogo e incontro; lo guardi ancora: e può esser tempo che passa, suoni in caduta libera, segni e voci che si sovrappongono nel tempo, labili tracce di una memoria che torna a farsi viva.
… L’orizzontalità ancora ben leggibile delle linee che a gradini segmentano il cielo, si disarticola poi in una serie smozzicata di frammenti una volta giunta al suolo, in un cumulo indistinto di voci e di suoni quasi in articolabili. È un moto che scende o che sale? È l’ordine che diventa caos, scendendo quaggiù, o desiderio del contrario: la vita che, guardando in su, aspira all’ordine, tende a farsi leggera? Il processo è ancora in corso, la risposta lasciata a chi guarda. E, comunque, il qui e il là, il cielo e la terra, i due “luoghi”, continuano a specchiarsi l’uno nell’altro, forse anche a cercarsi, in un dialogo muto che dura da sempre.”
Le opere esposte saranno una trentina e spazieranno dal grande al piccolo formato, passando anche dalla scultura.
TESTO CRITICO DI CLAUDIO GUARDA
Un parlare che da secoli dura. L’opera di François Bonjour in tre immagini.
A leggerla nel suo sviluppo, c’è come un’aura musicale che attraversa l’opera pittorica di Francois Bonjour, quantomeno degli ultimi anni. E non solo per l’evidenza di talune sue opere che si configurano nelle forme di uno spartito, in una successione di righi a più voci, timbri e colori; più ancora, direi – e in maniera tanto decisamente marcata da farne un suo tratto stilistico – per la loro connaturata propensione ritmica. Chi volesse ripercorrere il suo cammino artistico, non tarderebbe infatti a rendersi conto del fatto che mobilità di forme, ritmo e freschezza di segno sono sempre stati tra gli elementi formali ricercati dal pittore fin dai suoi esordi; ma con un’accelerazione notevole a partire dal 2004, quando si sono trasformati in vera e propria scrittura, perdendo per strada quella connotazione organica che, in precedenza, ancora vi si leggeva e che i titoli confermavano. Da quel momento – un vero e proprio giro di boa – l’atto di scrittura, la prevalenza da lui accordata allo scatto della mano, al dinamismo della linea, alla immediatezza del segno divengono la sua marca distintiva, la ‘cifra’ di un suo modo ritmico-musicale di intendere il concetto d’arte e, conseguentemente, di impostare e risolvere la pagina della pittura.
C’è però anche un’altra ragione, d’ordine più generale, all’origine di quella impressione. Ed è che l’insieme della sua pittura, nella sua articolazione interna, ha in sé qualcosa di musicale e concertistico, disposta com’è per tempi e sequenze, su un tema difondo che viene ripreso e variato nel tempo: quello del segno-parola che si deposita sulla tela in una variazione di immagini, all’interno di un’articolazione di tempi. Leggere diacronicamente l’opera di Bonjour è infatti come confrontarsi con una serie di motivi che si succedono o intrecciano nel tempo, ognuno dei quali caratterizzato da un certo soggetto che viene poi svolto in un ciclo di variazioni, fino all’esaurimento del motivo o all’emergenza di uno nuovo.
La combinazione dei due elementi – il fatto che la scrittura sia l’elemento portante dell’attuale pittura di Bonjour (e che sia così non c’è dubbio), investito per di più da una marcata connotazione ritmico-musicale – potrebbe indurre a concludere che essa poco o nulla abbia a che fare con la referenzialità del mondo, se non incidentalmente, in quanto, nella sua sostanza, si affiderebbe tutta, o quasi, all’immaterialità del segno, alla mobilità di una grafia illeggibile e risolta in un ritmo astratto, in un linguaggio. Segno, forma e colore sarebbero, insomma, gli elementi portanti e autosufficienti di una pittura che ha tagliato i ponti con la realtà delle cose e l’esperienza del vivere, e che pertanto basta a se stessa. Se non che poi, quando realmente si sfogliano le pagine della sua pittura, ci si rende conto che tale impressione non regge alla prova dei fatti, non corrisponde alle sensazioni che passano sotto il livello primo della pittura. E non solo là dove ci sono immagini che rimandano a un mondo visibile, a una memroia figurativa.
Prendiamo un’opera come Messaggio con fessura, del 2009, dove è evidente che soggetto dell’opera l’atto di scrittura (o di parola, che non è esattamente la stessa cosa). Quanto l’osservatore vede è una sorta di poesia visiva che prende forma sulla superficie della tela: un linguaggio che si snoda ritmicamente fino quasi a traboccare oltre i confini del quadro; una grafia che si articola e configura in lunghezza, altezza e mobilità per rapporto alle misure e alla staticità (anche cromatica) del formato che la racchiude. In definitiva, una pittura astratta basata su contrappunti prettamente formali: dialogo e interazione tra elementi diversi messi in sinergia. È senz’altro vero, ma forse c’è anche di più: perché in chi osserva scattano anche altre suggestioni. Sia che si pensi a parole vergate su un immaginario foglio (diario, lettera, appunto) o alla trascrizione in diretta di un flusso ininterrotto di parole, quello che corre sulla tela è rivelazione di una indistinta presenza affabulante dentro la dimensione del tempo: di un io che parla, a se stesso prima che ad altri; ed in questo si rivela a se stesso, prima che ad altri. Quell’atto di parola ha in sé l’intenzione (quantomeno il desiderio) del dialogo, del rapporto, dell’interazione; è tentativo di descrizione, di lettura, di presa di coscienza del mondo; è un io che parla (e pensa, si interroga) dentro le dimensioni del tempo e dello spazio. È mente che indaga, tesse la sua tela, allaccia un discorso. Oggi come ieri. E sul fondo il colore della terra. Il ritmo frusciante ed initerrotto delle parole che scivolano via, scende leggero a depositarsi, là dove già altri suoni e parole, prima di lui, si sono depositati dentro gli umori terrosi del fondo. Lo guardi, quel quadro: e può esser vita, ritmo, passione dilagante, dialogo e incontro; lo guardi ancora: e può esser tempo che passa, suoni in caduta libera, segni e voci che si sovrappongono nel tempo, labili tracce di una memoria che torna a farsi viva.
È, in definitiva, lo stesso tema che ritroviamo in un altro ciclo di opere quali Caduta di polvere scritta, sempre del 2009. Se non che qui l’immagine gioca chiaramente su una serie di analogie figurative: fermo restando il fatto che a fioccare sono comunque parole. Si tratterebbe quindi non di cose, ma di un pensiero che prende forma figurativa configuarandosi in un’immagine, come nelle antiche allegorie: come pioggia o neve a grosse falde che lentamente intride il suolo, si deposita su colline e montagne, fa mucchio. Parole su parole, in un flusso ininterotto di voci, di domande e di possibili risposte, di dialoghi e monologhi, tra cielo e terra. L’orizzontalità ancora ben leggibile delle linee che a gradini segmentano il cielo, si disarticola poi in una serie smozzicata di frammenti una volta giunta al suolo, in un cumulo indistinto voci e confuso di suoni quasi inarticolalabili. È un moto che scende o che sale? È l’ordine che diventa caos, scendendo quaggiù, o desiderio del contrario: la vita che, guardando in su, aspira all’ordine, tende a farsi leggera? Il processo è ancora in corso, la risposta lasciata a chi guarda. E, comunque, il qui e il là, il cielo e la terra, i due ‘luoghi’, continuano a specchiarsi l’uno nell’altro, forse anche a cercarsi, in un dialogo muto che dura da sempre.
Il rimando analogico di un’immagine in bilico tra astrazione e figurazione, è alla base pure del recente ciclo delle ‘finestre’: La finestra del cielo, Finestra nel cosmo… dove la finestra, al pari della porta, è possibilità di accesso, è soglia che può mettere in relazione e a contatto due mondi oggettivamente separati: ancora una volta, il qui e il là. A volte sono viste dall’interno, altre dall’esterno; talora traboccanti di storie, suoni e parole, tal’altra quasi mute, appena mosse da un parlare soffuso; queste inesorabilmente chiuse, come sbarrate, quelle che si aprono invece su un luminoso spicchio di cielo o di paesaggio. Talvolta diventano esse stesse paesaggio, come in Immagini con finestre: la si direbbe una trasparente sequenza di finestre e balconi come occhi spalancati sulla vita che corre di sotto, incasellati nella facciata di un palazzo, ognuno con la sua storia, ognuno con la sua voce. La tassellatura del dipinto sembra conferire un valore testimoniale, da icona, ad ogni singola porzione: come certe teche nei santuari dove si raccolgono, l’uno accanto all’altro, gli ex-voto d’argento che la pietà vi ha fatto confluire. L’opera assume in questo caso un’intonazione elegiaca e testimoniale, da reliquia, ma anche da reliquiario: come si volessero conservare nel tempo frammenti di voci e di suoni di ieri all’interno di contenitori dove confluiscono oggetti, ritagli, innesti polimaterici, cartoni riciclati.
Per quanto in apparenza astratta, la pittura di Bonjour, nelle sue forme come nei suoi colori, ma più ancora nel pensiero, nello spirito che la attraversa, non si sottrae dunque al rimando con l’esperienza sensibile del mondo, alle sensazioni che da quella ci derivano: sia che ciò avvenga per via analogica o per suggestioni memoriali o magari anche del tutto inconsce. Credo anzi che buona parte del fascino della sua pittura derivi proprio dal suo situarsi in quella zona limbale che fa punto intermedio tra la gratuità apparentemente sconfinata (nel senso che non ha obblighi di sorta nei confronti dell’oggettività delle cose) del linguaggio astratto, della libera mobilità del segno, dell’autonomia di forme e colori; e le suggestioni, le attese, le memorie, le domande – queste sì reali, a volte anche insistenti – che, chi più chi meno, corrono dietro la quotidiana esperienza del vivere. Un parlare che da secoli dura.
Bonjour, che vive e lavora a Dino, nasce a Cham nel 1948, dopo il liceo artistico a Torino, si diploma presso il Centro Scolastico per le Industrie Artistiche (CSIA) di Lugano nella sezione arti decorative, poi in architettura d’interni. Il suo interesse per la pittura matura negli anni del liceo torinese, quando si sente in contraddizione con il metodo d’insegnamento fatto di poco disegno e di scarsa informazione sull’arte moderna. Compensa tali lacune con la frequentazione dello studio del pittore Arduino affreschista e pittore molto noto nell’ambito culturale torinese. Nel 1969 si trasferisce a Lugano dove conosce e frequenta artisti ticinesi quali Nag Arnoldi, Alberto Salvioni, Sergio Emery e Carlo Cotti. Il suo primo riconoscimento pubblico avviene in occasione di una collettiva a Vergiate, paese di Enrico Baj, dove la giuria – presieduta da Guttuso e Baj- premia la sua opera.
Da quel momento si dedica intensamente alla pittura e fino al 1978 espone parecchio anche fuori dai confini cantonali. Segue un lungo silenzio espositivo, che si protrarrà fino al 2002, durante il quale continua comunque la sua attività di pittore che, in solitudine, porta avanti attraverso i linguaggi dell’arte e le tendenze del momento: dalle ascendenze surrealistiche agli sperimentalismi polimaterici, con ibridazioni tra pittura e scultura, che si concludono con un ritorno alla figurazione del corpo, che però in seguito tende a sgretolarsi per fare spazio a opere più gestuali caratterizzate da una fitta partitura di segni, componente alla quale si aggiungono via via i messaggi scritti che avvolgono i segni in un intreccio vorticoso. La componente scritta a volte pacata, a volte frenetica diventa la parte più importante e invade tutta la superficie. Cerca di evadere in spazi più ampi e invade anche il vetro creando segni e ombre che possono essere interpretati liberamente. Nelle opere più recenti, quelle che vedremo esposte a Tegna, il segno-parola è sempre presente, ma inizia a fioccare andando a depositarsi in cumuli. Scrive Guarda nel testo del catalogo: “ Il ritmo frusciante ed ininterrotto delle parole che scivolano via, scende leggero a depositarsi, là dove già altri suoni e parole, prima di lui, si sono depositati dentro gli umori terrosi del fondo. Lo guardi, quel quadro: e può esser vita, ritmo passione dilagante, dialogo e incontro; lo guardi ancora: e può esser tempo che passa, suoni in caduta libera, segni e voci che si sovrappongono nel tempo, labili tracce di una memoria che torna a farsi viva.
… L’orizzontalità ancora ben leggibile delle linee che a gradini segmentano il cielo, si disarticola poi in una serie smozzicata di frammenti una volta giunta al suolo, in un cumulo indistinto di voci e di suoni quasi in articolabili. È un moto che scende o che sale? È l’ordine che diventa caos, scendendo quaggiù, o desiderio del contrario: la vita che, guardando in su, aspira all’ordine, tende a farsi leggera? Il processo è ancora in corso, la risposta lasciata a chi guarda. E, comunque, il qui e il là, il cielo e la terra, i due “luoghi”, continuano a specchiarsi l’uno nell’altro, forse anche a cercarsi, in un dialogo muto che dura da sempre.”
Le opere esposte saranno una trentina e spazieranno dal grande al piccolo formato, passando anche dalla scultura.
TESTO CRITICO DI CLAUDIO GUARDA
Un parlare che da secoli dura. L’opera di François Bonjour in tre immagini.
A leggerla nel suo sviluppo, c’è come un’aura musicale che attraversa l’opera pittorica di Francois Bonjour, quantomeno degli ultimi anni. E non solo per l’evidenza di talune sue opere che si configurano nelle forme di uno spartito, in una successione di righi a più voci, timbri e colori; più ancora, direi – e in maniera tanto decisamente marcata da farne un suo tratto stilistico – per la loro connaturata propensione ritmica. Chi volesse ripercorrere il suo cammino artistico, non tarderebbe infatti a rendersi conto del fatto che mobilità di forme, ritmo e freschezza di segno sono sempre stati tra gli elementi formali ricercati dal pittore fin dai suoi esordi; ma con un’accelerazione notevole a partire dal 2004, quando si sono trasformati in vera e propria scrittura, perdendo per strada quella connotazione organica che, in precedenza, ancora vi si leggeva e che i titoli confermavano. Da quel momento – un vero e proprio giro di boa – l’atto di scrittura, la prevalenza da lui accordata allo scatto della mano, al dinamismo della linea, alla immediatezza del segno divengono la sua marca distintiva, la ‘cifra’ di un suo modo ritmico-musicale di intendere il concetto d’arte e, conseguentemente, di impostare e risolvere la pagina della pittura.
C’è però anche un’altra ragione, d’ordine più generale, all’origine di quella impressione. Ed è che l’insieme della sua pittura, nella sua articolazione interna, ha in sé qualcosa di musicale e concertistico, disposta com’è per tempi e sequenze, su un tema difondo che viene ripreso e variato nel tempo: quello del segno-parola che si deposita sulla tela in una variazione di immagini, all’interno di un’articolazione di tempi. Leggere diacronicamente l’opera di Bonjour è infatti come confrontarsi con una serie di motivi che si succedono o intrecciano nel tempo, ognuno dei quali caratterizzato da un certo soggetto che viene poi svolto in un ciclo di variazioni, fino all’esaurimento del motivo o all’emergenza di uno nuovo.
La combinazione dei due elementi – il fatto che la scrittura sia l’elemento portante dell’attuale pittura di Bonjour (e che sia così non c’è dubbio), investito per di più da una marcata connotazione ritmico-musicale – potrebbe indurre a concludere che essa poco o nulla abbia a che fare con la referenzialità del mondo, se non incidentalmente, in quanto, nella sua sostanza, si affiderebbe tutta, o quasi, all’immaterialità del segno, alla mobilità di una grafia illeggibile e risolta in un ritmo astratto, in un linguaggio. Segno, forma e colore sarebbero, insomma, gli elementi portanti e autosufficienti di una pittura che ha tagliato i ponti con la realtà delle cose e l’esperienza del vivere, e che pertanto basta a se stessa. Se non che poi, quando realmente si sfogliano le pagine della sua pittura, ci si rende conto che tale impressione non regge alla prova dei fatti, non corrisponde alle sensazioni che passano sotto il livello primo della pittura. E non solo là dove ci sono immagini che rimandano a un mondo visibile, a una memroia figurativa.
Prendiamo un’opera come Messaggio con fessura, del 2009, dove è evidente che soggetto dell’opera l’atto di scrittura (o di parola, che non è esattamente la stessa cosa). Quanto l’osservatore vede è una sorta di poesia visiva che prende forma sulla superficie della tela: un linguaggio che si snoda ritmicamente fino quasi a traboccare oltre i confini del quadro; una grafia che si articola e configura in lunghezza, altezza e mobilità per rapporto alle misure e alla staticità (anche cromatica) del formato che la racchiude. In definitiva, una pittura astratta basata su contrappunti prettamente formali: dialogo e interazione tra elementi diversi messi in sinergia. È senz’altro vero, ma forse c’è anche di più: perché in chi osserva scattano anche altre suggestioni. Sia che si pensi a parole vergate su un immaginario foglio (diario, lettera, appunto) o alla trascrizione in diretta di un flusso ininterrotto di parole, quello che corre sulla tela è rivelazione di una indistinta presenza affabulante dentro la dimensione del tempo: di un io che parla, a se stesso prima che ad altri; ed in questo si rivela a se stesso, prima che ad altri. Quell’atto di parola ha in sé l’intenzione (quantomeno il desiderio) del dialogo, del rapporto, dell’interazione; è tentativo di descrizione, di lettura, di presa di coscienza del mondo; è un io che parla (e pensa, si interroga) dentro le dimensioni del tempo e dello spazio. È mente che indaga, tesse la sua tela, allaccia un discorso. Oggi come ieri. E sul fondo il colore della terra. Il ritmo frusciante ed initerrotto delle parole che scivolano via, scende leggero a depositarsi, là dove già altri suoni e parole, prima di lui, si sono depositati dentro gli umori terrosi del fondo. Lo guardi, quel quadro: e può esser vita, ritmo, passione dilagante, dialogo e incontro; lo guardi ancora: e può esser tempo che passa, suoni in caduta libera, segni e voci che si sovrappongono nel tempo, labili tracce di una memoria che torna a farsi viva.
È, in definitiva, lo stesso tema che ritroviamo in un altro ciclo di opere quali Caduta di polvere scritta, sempre del 2009. Se non che qui l’immagine gioca chiaramente su una serie di analogie figurative: fermo restando il fatto che a fioccare sono comunque parole. Si tratterebbe quindi non di cose, ma di un pensiero che prende forma figurativa configuarandosi in un’immagine, come nelle antiche allegorie: come pioggia o neve a grosse falde che lentamente intride il suolo, si deposita su colline e montagne, fa mucchio. Parole su parole, in un flusso ininterotto di voci, di domande e di possibili risposte, di dialoghi e monologhi, tra cielo e terra. L’orizzontalità ancora ben leggibile delle linee che a gradini segmentano il cielo, si disarticola poi in una serie smozzicata di frammenti una volta giunta al suolo, in un cumulo indistinto voci e confuso di suoni quasi inarticolalabili. È un moto che scende o che sale? È l’ordine che diventa caos, scendendo quaggiù, o desiderio del contrario: la vita che, guardando in su, aspira all’ordine, tende a farsi leggera? Il processo è ancora in corso, la risposta lasciata a chi guarda. E, comunque, il qui e il là, il cielo e la terra, i due ‘luoghi’, continuano a specchiarsi l’uno nell’altro, forse anche a cercarsi, in un dialogo muto che dura da sempre.
Il rimando analogico di un’immagine in bilico tra astrazione e figurazione, è alla base pure del recente ciclo delle ‘finestre’: La finestra del cielo, Finestra nel cosmo… dove la finestra, al pari della porta, è possibilità di accesso, è soglia che può mettere in relazione e a contatto due mondi oggettivamente separati: ancora una volta, il qui e il là. A volte sono viste dall’interno, altre dall’esterno; talora traboccanti di storie, suoni e parole, tal’altra quasi mute, appena mosse da un parlare soffuso; queste inesorabilmente chiuse, come sbarrate, quelle che si aprono invece su un luminoso spicchio di cielo o di paesaggio. Talvolta diventano esse stesse paesaggio, come in Immagini con finestre: la si direbbe una trasparente sequenza di finestre e balconi come occhi spalancati sulla vita che corre di sotto, incasellati nella facciata di un palazzo, ognuno con la sua storia, ognuno con la sua voce. La tassellatura del dipinto sembra conferire un valore testimoniale, da icona, ad ogni singola porzione: come certe teche nei santuari dove si raccolgono, l’uno accanto all’altro, gli ex-voto d’argento che la pietà vi ha fatto confluire. L’opera assume in questo caso un’intonazione elegiaca e testimoniale, da reliquia, ma anche da reliquiario: come si volessero conservare nel tempo frammenti di voci e di suoni di ieri all’interno di contenitori dove confluiscono oggetti, ritagli, innesti polimaterici, cartoni riciclati.
Per quanto in apparenza astratta, la pittura di Bonjour, nelle sue forme come nei suoi colori, ma più ancora nel pensiero, nello spirito che la attraversa, non si sottrae dunque al rimando con l’esperienza sensibile del mondo, alle sensazioni che da quella ci derivano: sia che ciò avvenga per via analogica o per suggestioni memoriali o magari anche del tutto inconsce. Credo anzi che buona parte del fascino della sua pittura derivi proprio dal suo situarsi in quella zona limbale che fa punto intermedio tra la gratuità apparentemente sconfinata (nel senso che non ha obblighi di sorta nei confronti dell’oggettività delle cose) del linguaggio astratto, della libera mobilità del segno, dell’autonomia di forme e colori; e le suggestioni, le attese, le memorie, le domande – queste sì reali, a volte anche insistenti – che, chi più chi meno, corrono dietro la quotidiana esperienza del vivere. Un parlare che da secoli dura.
25
aprile 2010
François Bonjour – Opere recenti
Dal 25 aprile al 15 agosto 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA CARLO MAZZI
Tegna, Via Cantonale, (Locarno)
Tegna, Via Cantonale, (Locarno)
Orario di apertura
visitabile previo appuntamento telefonico
Vernissage
25 Aprile 2010, ore 10.30
Autore
Curatore