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From object to exposure
Il progetto propone il lavoro di 4 autori contemporanei che nella loro pratica artistica uniscono l’installazione alla fotografia. L’esposizione vuole così indagare alcune possibili relazioni e commistioni che si innescano tra l’immagine e l’oggetto.
Comunicato stampa
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Sabato 18 febbraio alle 18.30 inaugura a Ca' dei Ricchi a Treviso la mostra From Object to Exposure curata da Carlo Sala e promossa da Treviso Ricerca Arte. Il progetto propone il lavoro di quattro autori contemporanei: Mimì Enna, Silvia Mariotti, Paola Pasquaretta e Marco Maria Zanin che nella loro pratica artistica uniscono l'installazione alla fotografia. L'esposizione vuole così indagare alcune possibili relazioni e commistioni che si innescano tra l'immagine e l'oggetto, ponendo l'attenzione sui processi che governano la rappresentazione e la percezione visiva.
Mimì Enna (Oristano, 1991) presenta i lavori della serie Delocazioni (iniziata nel 2015 e tuttora in corso) dove si appropria di veri e propri frammenti della realtà che, mediante il trasferimento all'interno dei luoghi espositivi, sono inglobati nel manufatto artistico: l'elemento fisico è portatore di un'aura nonché della capacità intrinseca di iper-rappresentare il luogo da cui proviene. L'autrice pone gli oggetti in dialogo con alcune fotografie realizzate nel contesto originario per evocarne la storia e l'identità attraverso pochi tratti visivi e creare così una coesione tra la narrazione tridimensionale e quella bidimensionale. Ciò avviene, ad esempio, nell'installazione ambientale Silvana (2015) dove la dimora della protagonista è richiamata dalla presenza fisica della sua lampada da soggiorno e da due scatti che ritraggono le pareti illuminate dal medesimo elemento. L'operazione si fa più radicale in Senza titolo (dalla serie Delocazione dello studio di uno psicologo) del 2016: le due immagini fotografiche esposte documentano il precedente trasferimento dell'intero studio di una professionista bolognese all'interno di uno spazio culturale.
Nelle opere di Silvia Mariotti (Fano, 1980) i paesaggi sono invece trasposti in una dimensione ambigua e trasognante: la serie esposta Dawn on a dark sublime (2014-2015) è nata fotografando all'interno delle foibe, le caverne verticali tipiche della regione carsica e dell'Istria, che immediatamente evocano i massacri perpetrati durante la seconda guerra mondiale. Negli scatti della Mariotti non vi sono però degli elementi strettamente documentari che richiamino i fatti storici: il paesaggio diviene un pretesto per veicolare stati emotivi e tensioni, creando così una dimensione in bilico tra la specifica vicenda e l'universalità delle sensazioni raccontate misurandosi con il sentimento del sublime. Un mondo sotterraneo che inevitabilmente porta a rivolgere lo sguardo verso il cielo: nel lavoro 10 Parsec (2015) l'elemento più intangibile e aleatorio, la volta celeste, è rappresentato attraverso la fisicità marcata della stampa a lambda che diviene un elemento scultoreo dalle fattezze minimali, mettendo in scena un cielo caduto e fattosi forma. Infine, è lo scatto Scogli di Zinco (2015) ad aprire pienamente ad una dimensione "altra", dove il paesaggio è teatro di una serie di suggestioni oniriche che provengono da alcune fonti letterarie indagate dall'artista.
La morfologia del territorio è al centro anche di alcuni lavori recenti di Paola Pasquaretta (San Severino Marche, 1987): l'installazione Vulcano 01, Vulcano 02, Etna, Vulcano, Lipari, Panarea, Stromboli, Vesuvio (2014) costituita da un tavolo dove sono collocati una serie di calchi di vulcani realizzati mediante un materiale effimero, il sapone; ad essi sono affiancati due scatti che ritraggono alcune delle precedenti forme, modellate stavolta con della schiuma. Il paradosso visivo di quest'opera è che nella sua globalità genera un dispositivo narrativo fondato sulla pluralità di mezzi espressivi, dove la scultura è un elemento fragile, transitorio mentre il carattere di permanenza, congenito alla sua natura, è invece demandato alle immagini bidimensionali.
È così compiuta una riflessione sui processi della rappresentazione e sulle possibili ambiguità rinvenibili nel rapporto tra l'immagine e la fisicità che può assumere.
La ricerca di Marco Maria Zanin (Padova, 1983) è la risposta alle istanze derivanti da due concezioni della vita agli antipodi: da un lato le tradizioni tipiche delle zone rurali limitrofe alla sua città natale; dall'altro la dimensione vitalistica e tesa all'esasperazione del presente connessa alle megalopoli contemporanee di paesi emergenti come il Brasile dove l'artista vive durante buona parte dell'anno. La riflessione su tale dicotomia si riversa nella sua ricerca artistica, come si evince dai lavori Natura Morta III e Natura Morta VI del 2015. Ad essere fotografati sono dei detriti (provenienti dalle frequenti demolizioni operate a San Paolo) che l'artista ha ricomposto mediante lo still life, citando le forme metafisiche e sospese dei dipinti di Giorgio Morandi: così facendo si innesca un cortocircuito tra la violenza dello sviluppo edilizio incontrollato e l'armonia presente nelle opere del maestro italiano. In Copernico (2016) il relitto prelevato dal paesaggio antropico è usato come matrice sia per una mimesi scultorea che per una fotografica: queste due dimensioni sono destinate a convivere nell'opera finita insieme all'oggetto originario, generando così un gioco visivo dove si alternano e si confondono realtà e finzione. Le opere di Zanin vogliono essere un baluardo della memoria attraverso una iconografia fondata sulla persistenza degli archetipi visivi: per questa ragione la mostra affianca alle opere autoriali alcuni materiali d'archivio come stampe, fotocopie e fotografie che rimandano a edifici, idoli e opere d'arte di autori moderni che sono servite come fonte d'ispirazione all'artista.
La mostra sarà visibile fino al 2 aprile 2017.
Per l'occasione è stato realizzato un catalogo con testi di Carlo Sala, progetto grafico Multiplo e stampa Pixartprinting
Mimì Enna (Oristano, 1991) presenta i lavori della serie Delocazioni (iniziata nel 2015 e tuttora in corso) dove si appropria di veri e propri frammenti della realtà che, mediante il trasferimento all'interno dei luoghi espositivi, sono inglobati nel manufatto artistico: l'elemento fisico è portatore di un'aura nonché della capacità intrinseca di iper-rappresentare il luogo da cui proviene. L'autrice pone gli oggetti in dialogo con alcune fotografie realizzate nel contesto originario per evocarne la storia e l'identità attraverso pochi tratti visivi e creare così una coesione tra la narrazione tridimensionale e quella bidimensionale. Ciò avviene, ad esempio, nell'installazione ambientale Silvana (2015) dove la dimora della protagonista è richiamata dalla presenza fisica della sua lampada da soggiorno e da due scatti che ritraggono le pareti illuminate dal medesimo elemento. L'operazione si fa più radicale in Senza titolo (dalla serie Delocazione dello studio di uno psicologo) del 2016: le due immagini fotografiche esposte documentano il precedente trasferimento dell'intero studio di una professionista bolognese all'interno di uno spazio culturale.
Nelle opere di Silvia Mariotti (Fano, 1980) i paesaggi sono invece trasposti in una dimensione ambigua e trasognante: la serie esposta Dawn on a dark sublime (2014-2015) è nata fotografando all'interno delle foibe, le caverne verticali tipiche della regione carsica e dell'Istria, che immediatamente evocano i massacri perpetrati durante la seconda guerra mondiale. Negli scatti della Mariotti non vi sono però degli elementi strettamente documentari che richiamino i fatti storici: il paesaggio diviene un pretesto per veicolare stati emotivi e tensioni, creando così una dimensione in bilico tra la specifica vicenda e l'universalità delle sensazioni raccontate misurandosi con il sentimento del sublime. Un mondo sotterraneo che inevitabilmente porta a rivolgere lo sguardo verso il cielo: nel lavoro 10 Parsec (2015) l'elemento più intangibile e aleatorio, la volta celeste, è rappresentato attraverso la fisicità marcata della stampa a lambda che diviene un elemento scultoreo dalle fattezze minimali, mettendo in scena un cielo caduto e fattosi forma. Infine, è lo scatto Scogli di Zinco (2015) ad aprire pienamente ad una dimensione "altra", dove il paesaggio è teatro di una serie di suggestioni oniriche che provengono da alcune fonti letterarie indagate dall'artista.
La morfologia del territorio è al centro anche di alcuni lavori recenti di Paola Pasquaretta (San Severino Marche, 1987): l'installazione Vulcano 01, Vulcano 02, Etna, Vulcano, Lipari, Panarea, Stromboli, Vesuvio (2014) costituita da un tavolo dove sono collocati una serie di calchi di vulcani realizzati mediante un materiale effimero, il sapone; ad essi sono affiancati due scatti che ritraggono alcune delle precedenti forme, modellate stavolta con della schiuma. Il paradosso visivo di quest'opera è che nella sua globalità genera un dispositivo narrativo fondato sulla pluralità di mezzi espressivi, dove la scultura è un elemento fragile, transitorio mentre il carattere di permanenza, congenito alla sua natura, è invece demandato alle immagini bidimensionali.
È così compiuta una riflessione sui processi della rappresentazione e sulle possibili ambiguità rinvenibili nel rapporto tra l'immagine e la fisicità che può assumere.
La ricerca di Marco Maria Zanin (Padova, 1983) è la risposta alle istanze derivanti da due concezioni della vita agli antipodi: da un lato le tradizioni tipiche delle zone rurali limitrofe alla sua città natale; dall'altro la dimensione vitalistica e tesa all'esasperazione del presente connessa alle megalopoli contemporanee di paesi emergenti come il Brasile dove l'artista vive durante buona parte dell'anno. La riflessione su tale dicotomia si riversa nella sua ricerca artistica, come si evince dai lavori Natura Morta III e Natura Morta VI del 2015. Ad essere fotografati sono dei detriti (provenienti dalle frequenti demolizioni operate a San Paolo) che l'artista ha ricomposto mediante lo still life, citando le forme metafisiche e sospese dei dipinti di Giorgio Morandi: così facendo si innesca un cortocircuito tra la violenza dello sviluppo edilizio incontrollato e l'armonia presente nelle opere del maestro italiano. In Copernico (2016) il relitto prelevato dal paesaggio antropico è usato come matrice sia per una mimesi scultorea che per una fotografica: queste due dimensioni sono destinate a convivere nell'opera finita insieme all'oggetto originario, generando così un gioco visivo dove si alternano e si confondono realtà e finzione. Le opere di Zanin vogliono essere un baluardo della memoria attraverso una iconografia fondata sulla persistenza degli archetipi visivi: per questa ragione la mostra affianca alle opere autoriali alcuni materiali d'archivio come stampe, fotocopie e fotografie che rimandano a edifici, idoli e opere d'arte di autori moderni che sono servite come fonte d'ispirazione all'artista.
La mostra sarà visibile fino al 2 aprile 2017.
Per l'occasione è stato realizzato un catalogo con testi di Carlo Sala, progetto grafico Multiplo e stampa Pixartprinting
18
febbraio 2017
From object to exposure
Dal 18 febbraio al 02 aprile 2017
fotografia
arte contemporanea
giovane arte
arte contemporanea
giovane arte
Location
TRA – CA’ DEI RICCHI
Treviso, Vicolo Barberia, (Treviso)
Treviso, Vicolo Barberia, (Treviso)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10-13 e 15.30-19.30
domenica ore 15.30-19.30
Vernissage
18 Febbraio 2017, ore 18.30
Autore
Curatore