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Fuori del Labirinto
Miti e storie del Mediterraneo: sculture
Comunicato stampa
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Il Palazzo Ducale di Massa, dal 20 luglio al 10 settembre 2006, ospiterà la mostra di sculture “Fuori del labirinto. Miti e storie del Mediterraneo” a cura di Massimo Bertozzi, promossa dalla Provincia di Massa-Carrara, dal Comune di Massa, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e organizzata dalla ConfTourist di Massa, con la preziosa collaborazione dello Studio Copernico di Milano.
“Fuori del labirinto. Miti e storie del Mediterraneo” documenta attraverso trentatre opere di trentatre artisti, la tenace persistenza di una precisa idea della scultura nel Novecento, una linea che è rimasta legata alla forma, alla materia, all’arte come linguaggio figurativo e come pratica del fare.
La scultura è espressione matura della civiltà del Mediterraneo, è la forma più compiuta di una cultura figurativa che si credeva eterna e indiscutibile. Il labirinto e la sua storia, nota a tutti, raffigurano l’itinerario fisico e mentale verso la conoscenza. Il labirinto è il luogo della svolta da cui l’uomo, in questo caso Dedalo, che ne è il costruttore, riesce ad uscire attraverso l’ingegno e a realizzarsi, fuori da questo, grazie al gesto creativo.
La mostra propone opere di Roberto Barni, Giacomo Benevelli, Giuseppe Bergomi, Paolo Borghi, Andrea Cascella, Pietro Cascella, Pino Castagna, Bruno Ceccobelli, Girolamo Ciulla, Lorenzo D’Andrea, Giorgio De Chirico, Pericle Fazzini, Novello Finotti, Lucio Fontana, Emilio Greco, Gigi Guadagnucci, Luigi Mainolfi, Giacomo Manzù, Marino Marini, Arturo Martini, Umberto Mastroianni, Fausto Melotti, Francesco Messina, Luciano Minguzzi, Michael Noble, Augusto Perez, Arnaldo Pomodoro, Giò Pomodoro, Carlo Sergio Signori, Ivan Theimer, Vito Tongiani, Giuliano Vangi, Cordelia Von Den Steinen legate a questa tradizione della scultura.
Di questi artisti sono state scelte, in particolare, opere che hanno come riferimento il mare, quel Mediterraneo fatto di storia, di miti, delle avventure di déi e semidei. Ma anche il mare nel suo quotidiano con la sua gente, caratterizzato da un modo di vivere, di pensare e di esprimersi che dall’antichità ad oggi non è mai tramontato.
E così all’interno del percorso espositivo troviamo, per citarne solo alcuni, Nudo sdraiato di Fausto Melotti, opera degli anni venti, che risponde all’esigenza, tutta novecentesca, di addomesticare la natura dove se il riferimento ad una ninfa, delle acque o dei boschi, è sufficientemente esplicito, la posa e la definizione pittorica sembrano spostare la scena in uno spazio più intimo, così concentrato e interiore, che un brandello di muro e un abbozzo d’albero bastano a separare dal mondo.
Amplesso di Arturo Martini, bronzo del 1941, conserva il gusto arcaico per la potenza genitrice della materia. Nonostante le piccole dimensioni, riesce ad esprimere l’impeto fisico delle figure, prigioniere di una sensualità primitiva, che ha ancora il sentimento della conquista e della sottomissione.
Elegante e sinuosa è la Nuotatrice di Emilio Greco (1955), come chiusa in uno scrigno di riservatezza formale con le sole gambe ad esprimere la liquida fluidità del movimento. Si dice che il fascino delle sirene, cantatrici e profetesse, fosse tutto nella voce, ma solo perché nessuno, a parte i delfini loro compagni di gioco, le ha mai viste nuotare
Nel Guerriero di Marino Marini (1959) permane il sentimento ancestrale del Mediterraneo, scandito dalla tragica asprezza delle superfici e da un ritmo formale marcato, a ferro e fuoco è proprio il caso di dire, dal contrappunto dei volumi e delle linee, che si spezzano e si articolano senza mai rompere la saldezza dell’immagine.
Tebe seduta di Giacomo Manzù, conserva la salda compostezza della scultura classica proprio perché l’eleganza della figura non ha niente di manierista, affidandosi solo al movimento flessuoso del corpo, che non interrompe mai la fluidità della luce, allunga le forme e sostiene la tensione, senza inturgidimenti, dei volumi.
La naturale solennità del Palafreniere di Giorgio De Chirico, degli anni quaranta, attenua il sapore pittorico di un’immagine ferma ed estatica, pastosa e finemente modellata dalla luce. Il ragazzo, che dovrebbe essere uno dei Dioscuri, probabilmente Castore straordinario domatore di cavalli, esprime, occhi negli occhi, la profonda e del tutto naturale intesa dell’uomo con l’animale.
In Soglia a Eduardo Chillida (Labirinto), scultura del 2003 di Arnaldo Pomodoro, si insinuano le vie di fuga del pensiero, che non può essere rinchiuso nei complicati labirinti dell’esistenza. Il richiamo alla lirica leggerezza di Chillida è di ordine poetico, l’ordine delle cose si concentra tutto nell’equilibrio spaziale della scultura, nella precisa combinazione di rapporto fra esterno e interno e nella dinamica articolazione dei pieni e dei vuoti.
Nel recupero di precise intenzioni figurative, Lucio Fontana sembra sfogare una nostalgia del movimento, della libera articolazione delle linee, in grado si esprimere sensazioni fisiche di contro alla metafisica delle geometrie astratte. Da qui la concitazione del segno di questo Duello, l’esuberanza barocca delle sue evoluzioni, come a scansare qualunque rischio di ritorno all’impostazione classica della figura, e tuttavia alla fine sarà il racconto a prevalere, e anche se non ci viene detto che cosa stiamo esattamente guardando, ci viene restituita per intero la drammaticità della scena.
E infine la magistrale semplicità di Giuliano Vangi ricostruisce la luminosa immanenza del mare, quella dilatazione dello spazio che non trova confini, se non nella mente di chi sa guardare lontano. La luce si spande, inonda le Due figure sulla spiaggia (1994), le definisce senza isolarle dallo spazio. La loro è in effetti una dimensione mentale, come quella dell’acqua e della sabbia: sembrano indugiare come aspettando un tramonto, ma in realtà sono già andate via, seguendo i loro pensieri, camminando sui loro sguardi.
“Fuori del labirinto. Miti e storie del Mediterraneo” documenta attraverso trentatre opere di trentatre artisti, la tenace persistenza di una precisa idea della scultura nel Novecento, una linea che è rimasta legata alla forma, alla materia, all’arte come linguaggio figurativo e come pratica del fare.
La scultura è espressione matura della civiltà del Mediterraneo, è la forma più compiuta di una cultura figurativa che si credeva eterna e indiscutibile. Il labirinto e la sua storia, nota a tutti, raffigurano l’itinerario fisico e mentale verso la conoscenza. Il labirinto è il luogo della svolta da cui l’uomo, in questo caso Dedalo, che ne è il costruttore, riesce ad uscire attraverso l’ingegno e a realizzarsi, fuori da questo, grazie al gesto creativo.
La mostra propone opere di Roberto Barni, Giacomo Benevelli, Giuseppe Bergomi, Paolo Borghi, Andrea Cascella, Pietro Cascella, Pino Castagna, Bruno Ceccobelli, Girolamo Ciulla, Lorenzo D’Andrea, Giorgio De Chirico, Pericle Fazzini, Novello Finotti, Lucio Fontana, Emilio Greco, Gigi Guadagnucci, Luigi Mainolfi, Giacomo Manzù, Marino Marini, Arturo Martini, Umberto Mastroianni, Fausto Melotti, Francesco Messina, Luciano Minguzzi, Michael Noble, Augusto Perez, Arnaldo Pomodoro, Giò Pomodoro, Carlo Sergio Signori, Ivan Theimer, Vito Tongiani, Giuliano Vangi, Cordelia Von Den Steinen legate a questa tradizione della scultura.
Di questi artisti sono state scelte, in particolare, opere che hanno come riferimento il mare, quel Mediterraneo fatto di storia, di miti, delle avventure di déi e semidei. Ma anche il mare nel suo quotidiano con la sua gente, caratterizzato da un modo di vivere, di pensare e di esprimersi che dall’antichità ad oggi non è mai tramontato.
E così all’interno del percorso espositivo troviamo, per citarne solo alcuni, Nudo sdraiato di Fausto Melotti, opera degli anni venti, che risponde all’esigenza, tutta novecentesca, di addomesticare la natura dove se il riferimento ad una ninfa, delle acque o dei boschi, è sufficientemente esplicito, la posa e la definizione pittorica sembrano spostare la scena in uno spazio più intimo, così concentrato e interiore, che un brandello di muro e un abbozzo d’albero bastano a separare dal mondo.
Amplesso di Arturo Martini, bronzo del 1941, conserva il gusto arcaico per la potenza genitrice della materia. Nonostante le piccole dimensioni, riesce ad esprimere l’impeto fisico delle figure, prigioniere di una sensualità primitiva, che ha ancora il sentimento della conquista e della sottomissione.
Elegante e sinuosa è la Nuotatrice di Emilio Greco (1955), come chiusa in uno scrigno di riservatezza formale con le sole gambe ad esprimere la liquida fluidità del movimento. Si dice che il fascino delle sirene, cantatrici e profetesse, fosse tutto nella voce, ma solo perché nessuno, a parte i delfini loro compagni di gioco, le ha mai viste nuotare
Nel Guerriero di Marino Marini (1959) permane il sentimento ancestrale del Mediterraneo, scandito dalla tragica asprezza delle superfici e da un ritmo formale marcato, a ferro e fuoco è proprio il caso di dire, dal contrappunto dei volumi e delle linee, che si spezzano e si articolano senza mai rompere la saldezza dell’immagine.
Tebe seduta di Giacomo Manzù, conserva la salda compostezza della scultura classica proprio perché l’eleganza della figura non ha niente di manierista, affidandosi solo al movimento flessuoso del corpo, che non interrompe mai la fluidità della luce, allunga le forme e sostiene la tensione, senza inturgidimenti, dei volumi.
La naturale solennità del Palafreniere di Giorgio De Chirico, degli anni quaranta, attenua il sapore pittorico di un’immagine ferma ed estatica, pastosa e finemente modellata dalla luce. Il ragazzo, che dovrebbe essere uno dei Dioscuri, probabilmente Castore straordinario domatore di cavalli, esprime, occhi negli occhi, la profonda e del tutto naturale intesa dell’uomo con l’animale.
In Soglia a Eduardo Chillida (Labirinto), scultura del 2003 di Arnaldo Pomodoro, si insinuano le vie di fuga del pensiero, che non può essere rinchiuso nei complicati labirinti dell’esistenza. Il richiamo alla lirica leggerezza di Chillida è di ordine poetico, l’ordine delle cose si concentra tutto nell’equilibrio spaziale della scultura, nella precisa combinazione di rapporto fra esterno e interno e nella dinamica articolazione dei pieni e dei vuoti.
Nel recupero di precise intenzioni figurative, Lucio Fontana sembra sfogare una nostalgia del movimento, della libera articolazione delle linee, in grado si esprimere sensazioni fisiche di contro alla metafisica delle geometrie astratte. Da qui la concitazione del segno di questo Duello, l’esuberanza barocca delle sue evoluzioni, come a scansare qualunque rischio di ritorno all’impostazione classica della figura, e tuttavia alla fine sarà il racconto a prevalere, e anche se non ci viene detto che cosa stiamo esattamente guardando, ci viene restituita per intero la drammaticità della scena.
E infine la magistrale semplicità di Giuliano Vangi ricostruisce la luminosa immanenza del mare, quella dilatazione dello spazio che non trova confini, se non nella mente di chi sa guardare lontano. La luce si spande, inonda le Due figure sulla spiaggia (1994), le definisce senza isolarle dallo spazio. La loro è in effetti una dimensione mentale, come quella dell’acqua e della sabbia: sembrano indugiare come aspettando un tramonto, ma in realtà sono già andate via, seguendo i loro pensieri, camminando sui loro sguardi.
20
luglio 2006
Fuori del Labirinto
Dal 20 luglio al primo ottobre 2006
arte contemporanea
Location
PALAZZO DUCALE
Massa, Piazza Aranci, 35, (Massa-carrara)
Massa, Piazza Aranci, 35, (Massa-carrara)
Vernissage
20 Luglio 2006, ore 21
Editore
BANDECCHI & VIVALDI
Ufficio stampa
DAVIS & CO.
Autore
Curatore