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Gabriele Basilico – Ritratti di Architettura
A distanza di quasi trent’anni dalla prima personale romana di Gabriele Basilico tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel febbraio del 1981, dedicata ai suoi Ritratti di Fabbrica, l’autore torna con un centinaio di fotografie vintage, scattate a partire dagli anni settanta.
Comunicato stampa
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Si inaugura venerdì 3 aprile presso A.A.M. Architettura Arte Moderna, all’interno della sezione FOTOGRAFIA & ARCHITETTURA la mostra monografica dedicata a Gabriele Basilico e all’evoluzione del suo itinerario poetico, in particolare al suo modo di rileggere le architetture dei grandi maestri, dal titolo: Ritratti di architettura. La bella architettura tra attonite sospensioni e stupite fissità, in cui vengono presentate un centinaio di fotografie VINTAGE, dell’Autore, scattate a partire dalla fine degli anni settanta.
A distanza di quasi trent’anni dalla prima personale romana di Gabriele Basilico tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel febbraio del 1981, dedicata ai suoi Ritratti di Fabbrica che celebrava la metafisica spettralità dell’area urbana industriale di Milano, il senso di questa nuova iniziativa si situa all’intersezione di tre distinti episodi del percorso autoriale del fotografo che, riproposti in sequenza cronologica, intendono rendere omaggio alla straordinaria coerenza tematica, all’ostinazione nella “maniera di vedere” cui ci ha abituati.
Dalle immagini delle architetture milanesi del ventennio 1919-1939, cosi ben indagate a suo tempo da Fulvio Irace e Vittorio Gregotti, in una “preziosa edizione” del 1985, attraverso le opere, tra gli altri di Giovanni Muzio, Aldo Andreani, Gio Ponti e Piero Portaluppi, a quelle della risoluta operosità nel “ricostruire” di cui ha parlato Alberto Savinio, passando per le sue straordinarie riletture delle architetture di autori come Giuseppe Vaccaro, Giuseppe Terragni, Franco Albini e Luigi Moretti, e degli architetti della Ricostruzione fino ai “Cavalieri rampanti” degli anni settanta come Vittorio Gregotti, Carlo Aymonino, Giancarlo de Carlo e Aldo Rossi, per giungere ai suoi più recenti sguardi rivolti alla generazione successiva degli architetti appena citati sino alla “discrezione” della scuola portoghese. Gli esiti di questi momenti poetici temporalmente distanti, che la paradossalità dell’assenza dell’uomo dall’architettura e dalla città rende simultanei e confrontabili sul piano della fruibilità estetica, concorrono alla costruzione di un ideale, bachelardiano, “paesaggio della memoria”.
Ricorrendo alla visione simultanea degli strati edilizi che definiscono il carattere dei luoghi, Basilico sembra interiorizzare le specifiche processualità che ne hanno costruito l’identità, per disporne sul campo neutro dell’inquadratura frammenti autentici e al tempo stesso allusivi.
Alla risonanza delle proprietà sottese dall’architettura che, particolarmente nel caso di Milano, partecipano alla formulazione di un discorso dalle tonalità concordi, tutto teso alla definizione di una ritmica serrata, di una misurazione che si opponga alla dispersione e alla dilatazione delle distanze dovuta al carattere pianeggiante del territorio lombardo, le fotografie di Gabriele Basilico replicano impostando un dialogo con la città così necessario e intimo da far pensare a un atteggiamento empatico prima che estetico, ricomponendo poi entrambi, all’interno dell’immagine fotografica, in un momento di civile coesione.
Il novecentismo definettiano e l’assertività insediativa delle sue murature, ma anche il razionalismo, che chiede alla leggerezza degli elementi della struttura e del linguaggio di radunarsi sulla facciata, sospendendoli ambiguamente tra il desiderio del “dentro” e quello del “fuori” ed elevando a motivo architettonico la funzione portante del telaio, si accostano, nelle stampe di piccolo formato selezionate per la mostra, alle riletture di alcune icone architettoniche del secondo Novecento.
Celebrando la solidità delle masse di Giovanni Muzio, ma anche l’insistito perseguimento del contrasto chiaroscurale caro a Luigi Moretti, quando non l’elementarismo aldorossiano o i sofisticati esercizi formali di Alvaro Siza, le immagini vengono così a trovarsi nella condizione intrinsecamente duplice e spesso contraddittoria propria del ritratto di architettura, di sovrapporre al codice autografico della rappresentazione quello implicito del soggetto rappresentato.
Ed è proprio nel realizzare questa moltiplicazione semantica che gli algidi “Dorian Gray” di Gabriele Basilico sembrano assecondare l’idea che l’unica verità di significato possibile della “bella architettura” risieda nell’intensità del messaggio di cui solo l’immagine può essere portatrice.
La formazione da architetto di Gabriele Basilico fa sì che egli, con la sua opera, si ritenga coinvolto nei confronti della critica e della progettazione architettonica, mentre contemporaneamente traspare da essa la volontà di narrare la storia della città nel luogo limite in cui le tipologie più importanti ed i monumenti storici si incontrano con gli episodi secondari dell’architettura. La città di Gabriele Basilico è una città fatta di molte solitudini e di forti contrasti, esaltati dalla “monumentalità” delle presenze architettoniche. L’antico ed il contemporaneo sono posti come espressioni contigue e fra loro contrastanti dello spazio metropolitano, colto in una tensione che sembra trasbordare oltre i limiti dell’immagine. All’armonia che caratterizzava il “catalogo” dell’archeologia industriale delle periferie milanesi, rivissute nel sentimento di un abitare heideggeriano, subentra, in queste immagini, il distacco ironico con il quale si mostra la continuità della Storia, segnata da presenze monumentali così come, con la stessa logica, dalla segnaletica stradale e dalle automobili. Il Sironi dei paesaggi urbani, il non rassegnato cantore della metropoli, che ancora ritrovavamo nelle periferie milanesi di G. Basilico, si trasforma nel baudelairiano flaneur, in colui che attraversa la città cogliendone i segni intermittenti lungo il proprio passaggio, quei luoghi emblematici in cui il monumentale, si coniuga con il quotidiano. In questo senso nessun “catalogo” può cogliere la contraddizione della vita metropolitana, la descrizione, ad esempio, di alcuni luoghi archeologici di straordinaria bellezza, esperiti nel loro isolamento, da un lato, e le violente dissonanze prodotte dallo scontro tra mondi irriducibili tra loro, dall’altro. Eppure, e con Gabriele Basilico il fotografo, l’artista, si fa filosofo: c’è un’apollinea distanza da cui questi “frammenti” sono contemplati nella “percezione che non esiste futuro, che non esiste progresso”, nella lettura infine dello spazio del moderno come spazio labirintico della metropoli (F.Rella).
Ciascuna delle sue “descrizioni” si pone sotto il segno di una poetica soggettiva che ridisegna l’immagine della città non a partire dai luoghi di un’iconografia turistica o di propaganda, ma attraverso le diverse interpretazioni, ne sottolinea aspetti veri, ne coglie immagini comunque reali. Solo apparentemente infatti abbiamo assistito al racconto di una identica città, non solo perché essa è il luogo di molteplici racconti, ma anche perché diviene, nella rivisitazione degli artisti, anche il luogo nel quale riconosciamo e ritroviamo altre città. Ma in queste visioni anche quanto di più caratteristico, come l’architettura, distingue una città dall’altra, perde la propria inconfondibile identità, nella complessità dei temi ai quali fa da sfondo, o entro i quali, da protagonista, viene collocata. Benché allora G. Basilico innalzi l’architettura a soggetto delle sue composizioni questa tuttavia si ritrova a parlare d’altro, delle possibili dimensioni dell’abitare, ora puntualmente ricondotte nel labirinto delle metropoli, ora congelate in distanze metafisiche. Svanita l’esperienza mistica, dopo aver svolto interamente il suo compito “lascia il soggetto con gli occhi aperti sulla città e sui suoi percorsi” (F.Rella). Sul tema della città e dell’abitare l’architettura e la fotografia si incontrano e si scoprono parlare lo stesso linguaggio.
Coordinamento di Valentina Ricciuti e Gabriel Vaduva
Inaugurazione: Venerdì 3 aprile 2009, dalle 18.00 alle 24.00
In occasione dell’iniziativa FREAKY FRIDAY organizzata da
Roma. The Road to Contemporary Art 2ND - 5TH APRIL 2009
La mostra prosegue all’interno di
Fotografia - Festival Internazionale di Roma, 2009
Friday 3rd April sees the opening at A.A.M. Architettura Arte Moderna, and as part of the gallery's PHOTOGRAPHY & ARCHITECTURE section, of the solo exhibition dedicated to Gabriele Basilico and the evolution of his poetic journey, in particular to his re-reading of the great masters of architecture. Entitled: Ritratti di architettura. La bella architettura tra attonite sospensioni e stupite fissità [Portraits of Architecture. The beauty of architecture from astonished pauses to transfixed amazement], the exhibition presents approximately 100 VINTAGE photographs, taken from the late 1970s onwards.
Almost thirty years after Gabriele Basilico's first one-man show in Rome, which took place at A.A.M. Architettura Arte Moderna in February 1981, and was dedicated to his Portraits of the Factory, celebrating the metaphysical eeriness of the industrial area of urban Milan, the sense of this new initiative is to be found at the intersection of three different episodes in the photographer's artistic journey, re-proposed in chronological sequence in order to pay homage to the extraordinary thematic coherence and to the rigorously consistent “way of seeing” to which he has accustomed us.
From the images, in a “precious” edition of 1985, of the Milanese architecture of the twenty-year period from 1919 to 1939, so well investigated at the time by Fulvio Irace and Vittorio Gregotti, to the works of, among others, Giovanni Muzio, Aldo Andreani, Gio Ponti and Piero Portaluppi, and those of the resolute activity of “reconstruction” described by Alberto Savinio, via his extraordinary re-interpretations of the architecture of figures such as Giuseppe Vaccaro, Giuseppe Terragni, Franco Albini and Luigi Moretti, and of the architects of the Reconstruction up to and including the “dashing Cavaliers” of the 1970s like Vittorio Gregotti, Carlo Aymonino, Giancarlo de Carlo and Aldo Rossi, to then arrive at his more recent glances at the following generation of architects, up to the “discretion” of the Portuguese school. Distant from one another in time, but rendered simultaneous and comparable in terms of their aesthetic effect by the paradoxical absence of man from the architecture and the city, these poetic moments contribute to the construction of an ideal, Bachelardian, “landscape of the memory”.
In his recourse to a simultaneous vision of the various layers of construction that define the character of places, Basilico seems to interiorise the specific processes that have shaped their identity, and then to arrange fragments that are authentic and at the same time allusive within the neutral field of the frame.
Gabriele Basilico's photographs respond to the resonance of the characteristics that architecture helps to create, and which, particularly in the case of Milan, form part of a discourse that is harmonious in its tones, all helping to define a tight rhythm, a moderation, that counters the dispersion and the dilation of distances resulting from the flatness of Lombardy's land. His photographs create a dialogue with the city that is so essential and intimate as to suggest an attitude that owes more to the empathetic than to the aesthetic, but which then combines the two within the photographic image in a moment of civil cohesion.
The small prints selected for the exhibition place re-interpretations of some of the architectural icons of the second half of the twentieth century alongside the twentieth century of De Finetti and the assertiveness with which its walls colonise the territory, but also Rationalism, which demands that the elegance of the elements of the structure and of the “language” group themselves together on the façade, suspended ambiguously between the desire for “inside” and that for “outside” and elevating the load-bearing function of the framework to architectonic motif.
Celebrating the solid masses of Giovanni Muzio, but also the insistent pursuit of chiaroscuro contrast so dear to Luigi Moretti, and Aldo Rossi's elementariness or Alvaro Siza's sophisticated exercises in form, the images find themselves in the intrinsically duplicate and often contradictory condition of being portraits of architecture, superimposing the autographic code of the representation and the implicit code of the subject represented.
And it is precisely in the realisation of this semantic multiplication that Gabriele Basilico's cool “Dorian Grays” seem to support the idea that the only true meaning possible for “the beauty of architecture” lies in the message which only the image can convey.
Gabriele Basilico's background as architect means that, with his work, he considers himself to be involved in architectural criticism and design, whilst at the same time his work clearly reveals a desire to narrate the story of the city in that borderline place in which the most important styles and historical monuments encounter its architecture's secondary episodes. Gabriele Basilico's city is a city formed of many solitudes and of strong contrasts, exalted by the “monumentality” of its architectonic presences. The ancient and the contemporary are laid before us as contiguous and contrasting expressions of the metropolitan space, a space caught in a tension that seems to flow beyond the limits of the image. In these images the harmony that characterised the “catalogue” of the industrial archaeology of the Milanese suburbs, re-lived in a Heideggerian sense, is combined with an ironic detachment that shows History's continuity manifested in monumental presences and, by the very same logic, in road signs and cars. The Sironi of urban landscapes, the un-resigned poet of the metropolis, which we still find in the Milanese peripheries of Basilico, is transformed into the Baudelairian flâneur, into the man who crosses the city gleaning its intermittent signs as he goes, those emblematic places in which the monumental is married with the everyday. In this sense no ”catalogue” can catch the contradictoriness of metropolitan life, on one hand the description, for example, of certain archaeological sites of extraordinary beauty, experienced in their isolation, and, on the other, the violent dissonances produced by the collision of irreconcilable worlds. Yet, with Gabriele Basilico the photographer, the artist, becomes philosopher: there is an Apollonian distance from which these “fragments” are contemplated in the “perception that there exists no future, there exists no progress”, in the reading, in the end, of the modern space as the labyrinthine space of the metropolis (F.Rella).
Each of his “descriptions” can be read as a subjective poetry that redesigns the image of the city starting not with the sites of a tourist or propagandist iconography, but through its diverse interpretations, underlining their true aspects, selecting the images that are, in any event, real. In fact we have only apparently witnessed the narration of an identical city, not simply because the city is the location for numerous narratives, but also because it becomes, in its revisiting by artists, the place in which we recognise and rediscover other cities. But in these visions even that which is most characteristic, like architecture, and distinguishes one city from another, loses its own unmistakable identity in the complexity of the themes for which it offers the backdrop, or within which it is placed, as protagonist. So although Gabriele Basilico exalts architecture as the subject of his compositions, it nevertheless finds itself speaking of something other, of the possible dimensions of living, at times regularly drawn back into the labyrinth of the metropolis, at times frozen at a metaphysical distance. Once the mystical experience is over, having fully played its part, “it leaves the subject with eyes open to the city and to the routes it has travelled” (F. Rella). In the theme of the city and of its living, architecture and photography encounter one another and find that they speak the same language.
A distanza di quasi trent’anni dalla prima personale romana di Gabriele Basilico tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel febbraio del 1981, dedicata ai suoi Ritratti di Fabbrica che celebrava la metafisica spettralità dell’area urbana industriale di Milano, il senso di questa nuova iniziativa si situa all’intersezione di tre distinti episodi del percorso autoriale del fotografo che, riproposti in sequenza cronologica, intendono rendere omaggio alla straordinaria coerenza tematica, all’ostinazione nella “maniera di vedere” cui ci ha abituati.
Dalle immagini delle architetture milanesi del ventennio 1919-1939, cosi ben indagate a suo tempo da Fulvio Irace e Vittorio Gregotti, in una “preziosa edizione” del 1985, attraverso le opere, tra gli altri di Giovanni Muzio, Aldo Andreani, Gio Ponti e Piero Portaluppi, a quelle della risoluta operosità nel “ricostruire” di cui ha parlato Alberto Savinio, passando per le sue straordinarie riletture delle architetture di autori come Giuseppe Vaccaro, Giuseppe Terragni, Franco Albini e Luigi Moretti, e degli architetti della Ricostruzione fino ai “Cavalieri rampanti” degli anni settanta come Vittorio Gregotti, Carlo Aymonino, Giancarlo de Carlo e Aldo Rossi, per giungere ai suoi più recenti sguardi rivolti alla generazione successiva degli architetti appena citati sino alla “discrezione” della scuola portoghese. Gli esiti di questi momenti poetici temporalmente distanti, che la paradossalità dell’assenza dell’uomo dall’architettura e dalla città rende simultanei e confrontabili sul piano della fruibilità estetica, concorrono alla costruzione di un ideale, bachelardiano, “paesaggio della memoria”.
Ricorrendo alla visione simultanea degli strati edilizi che definiscono il carattere dei luoghi, Basilico sembra interiorizzare le specifiche processualità che ne hanno costruito l’identità, per disporne sul campo neutro dell’inquadratura frammenti autentici e al tempo stesso allusivi.
Alla risonanza delle proprietà sottese dall’architettura che, particolarmente nel caso di Milano, partecipano alla formulazione di un discorso dalle tonalità concordi, tutto teso alla definizione di una ritmica serrata, di una misurazione che si opponga alla dispersione e alla dilatazione delle distanze dovuta al carattere pianeggiante del territorio lombardo, le fotografie di Gabriele Basilico replicano impostando un dialogo con la città così necessario e intimo da far pensare a un atteggiamento empatico prima che estetico, ricomponendo poi entrambi, all’interno dell’immagine fotografica, in un momento di civile coesione.
Il novecentismo definettiano e l’assertività insediativa delle sue murature, ma anche il razionalismo, che chiede alla leggerezza degli elementi della struttura e del linguaggio di radunarsi sulla facciata, sospendendoli ambiguamente tra il desiderio del “dentro” e quello del “fuori” ed elevando a motivo architettonico la funzione portante del telaio, si accostano, nelle stampe di piccolo formato selezionate per la mostra, alle riletture di alcune icone architettoniche del secondo Novecento.
Celebrando la solidità delle masse di Giovanni Muzio, ma anche l’insistito perseguimento del contrasto chiaroscurale caro a Luigi Moretti, quando non l’elementarismo aldorossiano o i sofisticati esercizi formali di Alvaro Siza, le immagini vengono così a trovarsi nella condizione intrinsecamente duplice e spesso contraddittoria propria del ritratto di architettura, di sovrapporre al codice autografico della rappresentazione quello implicito del soggetto rappresentato.
Ed è proprio nel realizzare questa moltiplicazione semantica che gli algidi “Dorian Gray” di Gabriele Basilico sembrano assecondare l’idea che l’unica verità di significato possibile della “bella architettura” risieda nell’intensità del messaggio di cui solo l’immagine può essere portatrice.
La formazione da architetto di Gabriele Basilico fa sì che egli, con la sua opera, si ritenga coinvolto nei confronti della critica e della progettazione architettonica, mentre contemporaneamente traspare da essa la volontà di narrare la storia della città nel luogo limite in cui le tipologie più importanti ed i monumenti storici si incontrano con gli episodi secondari dell’architettura. La città di Gabriele Basilico è una città fatta di molte solitudini e di forti contrasti, esaltati dalla “monumentalità” delle presenze architettoniche. L’antico ed il contemporaneo sono posti come espressioni contigue e fra loro contrastanti dello spazio metropolitano, colto in una tensione che sembra trasbordare oltre i limiti dell’immagine. All’armonia che caratterizzava il “catalogo” dell’archeologia industriale delle periferie milanesi, rivissute nel sentimento di un abitare heideggeriano, subentra, in queste immagini, il distacco ironico con il quale si mostra la continuità della Storia, segnata da presenze monumentali così come, con la stessa logica, dalla segnaletica stradale e dalle automobili. Il Sironi dei paesaggi urbani, il non rassegnato cantore della metropoli, che ancora ritrovavamo nelle periferie milanesi di G. Basilico, si trasforma nel baudelairiano flaneur, in colui che attraversa la città cogliendone i segni intermittenti lungo il proprio passaggio, quei luoghi emblematici in cui il monumentale, si coniuga con il quotidiano. In questo senso nessun “catalogo” può cogliere la contraddizione della vita metropolitana, la descrizione, ad esempio, di alcuni luoghi archeologici di straordinaria bellezza, esperiti nel loro isolamento, da un lato, e le violente dissonanze prodotte dallo scontro tra mondi irriducibili tra loro, dall’altro. Eppure, e con Gabriele Basilico il fotografo, l’artista, si fa filosofo: c’è un’apollinea distanza da cui questi “frammenti” sono contemplati nella “percezione che non esiste futuro, che non esiste progresso”, nella lettura infine dello spazio del moderno come spazio labirintico della metropoli (F.Rella).
Ciascuna delle sue “descrizioni” si pone sotto il segno di una poetica soggettiva che ridisegna l’immagine della città non a partire dai luoghi di un’iconografia turistica o di propaganda, ma attraverso le diverse interpretazioni, ne sottolinea aspetti veri, ne coglie immagini comunque reali. Solo apparentemente infatti abbiamo assistito al racconto di una identica città, non solo perché essa è il luogo di molteplici racconti, ma anche perché diviene, nella rivisitazione degli artisti, anche il luogo nel quale riconosciamo e ritroviamo altre città. Ma in queste visioni anche quanto di più caratteristico, come l’architettura, distingue una città dall’altra, perde la propria inconfondibile identità, nella complessità dei temi ai quali fa da sfondo, o entro i quali, da protagonista, viene collocata. Benché allora G. Basilico innalzi l’architettura a soggetto delle sue composizioni questa tuttavia si ritrova a parlare d’altro, delle possibili dimensioni dell’abitare, ora puntualmente ricondotte nel labirinto delle metropoli, ora congelate in distanze metafisiche. Svanita l’esperienza mistica, dopo aver svolto interamente il suo compito “lascia il soggetto con gli occhi aperti sulla città e sui suoi percorsi” (F.Rella). Sul tema della città e dell’abitare l’architettura e la fotografia si incontrano e si scoprono parlare lo stesso linguaggio.
Coordinamento di Valentina Ricciuti e Gabriel Vaduva
Inaugurazione: Venerdì 3 aprile 2009, dalle 18.00 alle 24.00
In occasione dell’iniziativa FREAKY FRIDAY organizzata da
Roma. The Road to Contemporary Art 2ND - 5TH APRIL 2009
La mostra prosegue all’interno di
Fotografia - Festival Internazionale di Roma, 2009
Friday 3rd April sees the opening at A.A.M. Architettura Arte Moderna, and as part of the gallery's PHOTOGRAPHY & ARCHITECTURE section, of the solo exhibition dedicated to Gabriele Basilico and the evolution of his poetic journey, in particular to his re-reading of the great masters of architecture. Entitled: Ritratti di architettura. La bella architettura tra attonite sospensioni e stupite fissità [Portraits of Architecture. The beauty of architecture from astonished pauses to transfixed amazement], the exhibition presents approximately 100 VINTAGE photographs, taken from the late 1970s onwards.
Almost thirty years after Gabriele Basilico's first one-man show in Rome, which took place at A.A.M. Architettura Arte Moderna in February 1981, and was dedicated to his Portraits of the Factory, celebrating the metaphysical eeriness of the industrial area of urban Milan, the sense of this new initiative is to be found at the intersection of three different episodes in the photographer's artistic journey, re-proposed in chronological sequence in order to pay homage to the extraordinary thematic coherence and to the rigorously consistent “way of seeing” to which he has accustomed us.
From the images, in a “precious” edition of 1985, of the Milanese architecture of the twenty-year period from 1919 to 1939, so well investigated at the time by Fulvio Irace and Vittorio Gregotti, to the works of, among others, Giovanni Muzio, Aldo Andreani, Gio Ponti and Piero Portaluppi, and those of the resolute activity of “reconstruction” described by Alberto Savinio, via his extraordinary re-interpretations of the architecture of figures such as Giuseppe Vaccaro, Giuseppe Terragni, Franco Albini and Luigi Moretti, and of the architects of the Reconstruction up to and including the “dashing Cavaliers” of the 1970s like Vittorio Gregotti, Carlo Aymonino, Giancarlo de Carlo and Aldo Rossi, to then arrive at his more recent glances at the following generation of architects, up to the “discretion” of the Portuguese school. Distant from one another in time, but rendered simultaneous and comparable in terms of their aesthetic effect by the paradoxical absence of man from the architecture and the city, these poetic moments contribute to the construction of an ideal, Bachelardian, “landscape of the memory”.
In his recourse to a simultaneous vision of the various layers of construction that define the character of places, Basilico seems to interiorise the specific processes that have shaped their identity, and then to arrange fragments that are authentic and at the same time allusive within the neutral field of the frame.
Gabriele Basilico's photographs respond to the resonance of the characteristics that architecture helps to create, and which, particularly in the case of Milan, form part of a discourse that is harmonious in its tones, all helping to define a tight rhythm, a moderation, that counters the dispersion and the dilation of distances resulting from the flatness of Lombardy's land. His photographs create a dialogue with the city that is so essential and intimate as to suggest an attitude that owes more to the empathetic than to the aesthetic, but which then combines the two within the photographic image in a moment of civil cohesion.
The small prints selected for the exhibition place re-interpretations of some of the architectural icons of the second half of the twentieth century alongside the twentieth century of De Finetti and the assertiveness with which its walls colonise the territory, but also Rationalism, which demands that the elegance of the elements of the structure and of the “language” group themselves together on the façade, suspended ambiguously between the desire for “inside” and that for “outside” and elevating the load-bearing function of the framework to architectonic motif.
Celebrating the solid masses of Giovanni Muzio, but also the insistent pursuit of chiaroscuro contrast so dear to Luigi Moretti, and Aldo Rossi's elementariness or Alvaro Siza's sophisticated exercises in form, the images find themselves in the intrinsically duplicate and often contradictory condition of being portraits of architecture, superimposing the autographic code of the representation and the implicit code of the subject represented.
And it is precisely in the realisation of this semantic multiplication that Gabriele Basilico's cool “Dorian Grays” seem to support the idea that the only true meaning possible for “the beauty of architecture” lies in the message which only the image can convey.
Gabriele Basilico's background as architect means that, with his work, he considers himself to be involved in architectural criticism and design, whilst at the same time his work clearly reveals a desire to narrate the story of the city in that borderline place in which the most important styles and historical monuments encounter its architecture's secondary episodes. Gabriele Basilico's city is a city formed of many solitudes and of strong contrasts, exalted by the “monumentality” of its architectonic presences. The ancient and the contemporary are laid before us as contiguous and contrasting expressions of the metropolitan space, a space caught in a tension that seems to flow beyond the limits of the image. In these images the harmony that characterised the “catalogue” of the industrial archaeology of the Milanese suburbs, re-lived in a Heideggerian sense, is combined with an ironic detachment that shows History's continuity manifested in monumental presences and, by the very same logic, in road signs and cars. The Sironi of urban landscapes, the un-resigned poet of the metropolis, which we still find in the Milanese peripheries of Basilico, is transformed into the Baudelairian flâneur, into the man who crosses the city gleaning its intermittent signs as he goes, those emblematic places in which the monumental is married with the everyday. In this sense no ”catalogue” can catch the contradictoriness of metropolitan life, on one hand the description, for example, of certain archaeological sites of extraordinary beauty, experienced in their isolation, and, on the other, the violent dissonances produced by the collision of irreconcilable worlds. Yet, with Gabriele Basilico the photographer, the artist, becomes philosopher: there is an Apollonian distance from which these “fragments” are contemplated in the “perception that there exists no future, there exists no progress”, in the reading, in the end, of the modern space as the labyrinthine space of the metropolis (F.Rella).
Each of his “descriptions” can be read as a subjective poetry that redesigns the image of the city starting not with the sites of a tourist or propagandist iconography, but through its diverse interpretations, underlining their true aspects, selecting the images that are, in any event, real. In fact we have only apparently witnessed the narration of an identical city, not simply because the city is the location for numerous narratives, but also because it becomes, in its revisiting by artists, the place in which we recognise and rediscover other cities. But in these visions even that which is most characteristic, like architecture, and distinguishes one city from another, loses its own unmistakable identity in the complexity of the themes for which it offers the backdrop, or within which it is placed, as protagonist. So although Gabriele Basilico exalts architecture as the subject of his compositions, it nevertheless finds itself speaking of something other, of the possible dimensions of living, at times regularly drawn back into the labyrinth of the metropolis, at times frozen at a metaphysical distance. Once the mystical experience is over, having fully played its part, “it leaves the subject with eyes open to the city and to the routes it has travelled” (F. Rella). In the theme of the city and of its living, architecture and photography encounter one another and find that they speak the same language.
03
aprile 2009
Gabriele Basilico – Ritratti di Architettura
Dal 03 aprile al 31 luglio 2009
architettura
fotografia
fotografia
Location
A.A.M. – ARCHITETTURA ARTE MODERNA
Roma, Via Dei Banchi Vecchi, 61, (Roma)
Roma, Via Dei Banchi Vecchi, 61, (Roma)
Orario di apertura
da Lunedì e Domenica ore 16.00-20.00
Vernissage
3 Aprile 2009, ore 18.30-24.00
Autore
Curatore