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Gabriele Talarico – Inverse
A voler usare una metafora automobilistica si può dire che, come tanti altri, Gabriele Talarico ha imboccato la grande autostrada della nuova figurazione, ma contromano.
Comunicato stampa
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Nel testo in catalogo dal titolo "CRONACA NERA La figurazione imboccata
contromano" Maurizio Sciaccaluga scrive:
A voler usare una metafora automobilistica si può dire che, come tanti
altri, Gabriele Talarico ha imboccato la grande autostrada della nuova
figurazione, ma contromano. Nel senso che, pur percorrendo la stessa via
di
numerosissimi pittori suoi coetanei partenza dallo scatto fotografico,
successiva rielaborazione digitale della composizione, traduzione finale
dell'immagine in pittura il giovane artista si dirige esattamente nella
direzione opposta. Per arrivare esattamente dove gli altri partono. Infatti,
se chi muove dalla fotografia cerca di negare le sue origini, lavora per
esaltare il carattere prettamente pittorico della composizione e della
creatività quasi che la bellezza e l'equilibrio del lavoro dipendessero
esclusivamente dalle caratteristiche del segno Talarico preferisce
dipingere senza darlo a vedere, desidera dare il minor risalto possibile
alla sua scelta tecnica. Il suo rapporto con la tela e con l'olio appare
sempre distaccato, mediato da una sorta di allontanamento passionale. Ritrae
senza ritrarre e senza sposare il modello, racconta i personaggi senza
rubare loro nulla, crea l'atmosfera senza edificare un ambiente che la
esalti, stende la materia nel quadro senza tuffarsi nel mare del colore.
La
figurazione è una sfida da vincere rinunciando agli assi nella manica:
in
pratica, adopera i generi e le soluzioni classiche negandole nel momento
stesso in cui le adotta. Per lui non è importante monumentalizzare la tela
o
la carta emulsionata, la pennellata o lo scatto; conta molto di più che
l'immagine finale sappia andare oltre lo stile costruttivo, possa
sopravvivere alle impalcature che la sorreggono. Lo spettatore deve essere
affascinato e catturato da un ritratto negato, da un colore oscurato, da
una
foto tradita, da una pittura dismessa. Se è nuova figurazione è, appunto,
controcorrente.
Talarico è uno dei molti strateghi di Photoshop. I suoi ritratti, fotografie
soprattutto di bambini, anche se nelle opere recenti c'è qualche adulto
e
comincia a fare capolino qualche adolescente acerba e scontrosa, finiscono
tutti sullo schermo del computer, dove sono sottoposti a manipolazioni
e
viraggi. Non unico in Italia, anzi in ottima compagnia, l'artista cancella
il secondo piano dell¹immagine, esaspera i contrasti, dà alla composizione
una decisa dominante gialla, ciano o magenta. È con gli ultimi tocchi che
sceglie una soluzione decisamente originale, diversa da quelle adottate
da
altri maghi del digitale ridipinto. Prima trasforma la composizione in
un
negativo, in cui il nero minaccia d'inghiottire figure solitarie timide
e
impaurite, poi trasporta il risultato su tela usando colori molto liquidi
e
stendendo le pennellate fino a cancellare ogni traccia della materia. Se
tanti pittori, per nascondere il grande debito con la fotografia, esaltano
il tocco del pennello, evidenziano sfocato e non finito, sporcano le
immagini con segni evidenti e colature, Talarico preferisce tradire olio
e
tela per flirtare con la pellicola. Visti da lontano, i suoi quadri nitidi
e
neri, senza grumi e sbavature, ricordano le strisce degli sviluppi
fotografici, dove per indovinare i colori originali bisogna lavorare, e
non
poco, d'immaginazione. In pratica, come nell'iperrealismo, l'abilità nel
dipingere è usata per insinuare nello spettatore un dubbio: che non si
tratti affatto di pittura.
Un'adolescenza passata nella bottega della madre scultrice e una laurea
a
indirizzo cinematografico non sembrano aver lasciato traccia nella ricerca
attuale di Talarico. I rudimenti per la lavorazione del marmo e il cinema
politico di Elio Petri, la figurazione di stampo novecentesco e il bianco
e
nero del neorealismo, conosciuti in famiglia o in facoltà, non gli servono
oggi per progettare e affrontare la tela. Di tutte le esperienze passate,
le
uniche che in qualche modo tornano nei quadri sono le installazioni
estemporanee che, ogni tanto, nel periodo del Dams, metteva in piedi al
Link
di Bologna. In quello che, negli anni Novanta, è stato il locale alternativo
più vivo e fecondo della città emiliana, l'artista costruiva ambienti bui
dove luci e oggetti fluorescenti modificavano le percezioni creando
un'atmosfera magica. Nel regno dell'oscurità lampi e bagliori generavano
un
mondo immaginifico, a metà tra le folli insegne di Times square e le
astronavi di Guerre stellari, dove l'incauto visitatore si trovava spiazzato
e ammaliato. Se l'aspetto ludico di quei lavori, ancora immaturi, è andato
perduto nei quadri, non si può dire altrettanto del gusto d'alterare i
colori, della voglia di rovesciare le coordinate della realtà. Proprio
su
queste trovate l'autore sta ora elaborando il suo stile, in una serie di
ritratti dedicati a personaggi riottosi, sfuggenti, poco disposti a farsi
riprendere. Talarico racconta il tempo contemporaneo tramite una serie
di
chiare metafore: solitudine, oscurità, negazione, doppia personalità.
Nonostante ci si mettano lo scatto fotografico, il computer e il pennello,
i
soggetti non si concedono mai completamente all'occhio dell'artista. O
meglio, si concedono, ma non sono descrivibili, non possono essere svelati
e
raccontati. Rifiutano il volto con le mani, sfuggono all'inquadratura,
accettano la luce accecante, vivono in un universo di colori irreali e
opposti. La raffigurazione, nella storia sempre impegnata a narrare i
caratteri, a suggerire vicende tramite occhiate e posture, ora esalta il
rifiuto, si dedica alla fuga del soggetto. Cambia il rapporto dei modelli
con chi li ritrae: ora manca l'intenzione d'essere denudati e mostrati
in
pubblico, nessuno di loro s'arrende alla curiosità del pubblico e
dell'artista. È come se il genere del ritratto fosse piombato in una nuova
realtà, avesse assorbito certi atteggiamenti e situazioni presi dalla
cronaca nera: mani sul volto, visi coperti da passamontagna o giornali,
tentativo di fuggire telecamere e obbiettivi. Se la rappresentazione della
figura e del volto non ha più fine elogiativo, se intende svelare segreti
spiacevoli e disdicevoli, allora si spera d'evitarla. Come dire che quanto
appare chiaro, limpido e tranquillizzante nella realtà ha sempre una sua
terribile metà oscura e nascosta, ed è proprio questa metà alla Stephen
King
che Talarico punta col suo obbiettivo. È quest'aspetto della personalità
che
incuriosisce e ipnotizza l'artista, che nei suoi pezzi tenta di guardare
attraverso lo schermo della pelle. Quasi che la sua pittura possedesse
la
capacità di ritrarre a raggi X quanto nascosto alla vista di tutti gli
altri.
Accompagna la mostra un catalogo di 24 pagine a colori edito da PiziArte.
Formato cm. 20x24. Testo critico di Maurizio Sciaccaluga.
26
febbraio 2005
Gabriele Talarico – Inverse
Dal 26 febbraio al 09 aprile 2005
giovane arte
Location
PIZIARTE
Teramo, Viale Cavour, 39, (Teramo)
Teramo, Viale Cavour, 39, (Teramo)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 10-13 e 16-20 e su appuntamento
Vernissage
26 Febbraio 2005, ore 18,30
Autore
Curatore