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Gabrielle Cirocco – WORK IN PROGRESS/ Waiting for Bricks
La giovane artista australiana in un mese di residenza ha proposto il suo progetto sperimentandone la fattibilità, poiché abituata a lavorare con il cemento, in questa occasione ha pensato di misurarsi con i nostri spazi per elaborare un’installazione utilizzando la carta e la pittura acrilica.
Comunicato stampa
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La giovane artista australiana in un mese di residenza ha proposto il suo progetto sperimentandone la fattibilità, poiché abituata a lavorare con il cemento, in questa occasione ha pensato di misurarsi con i nostri spazi interni per elaborare un’installazione utilizzando la carta e la pittura acrilica.
Nell’assemblage di scatole come oggetti trovati e usati si individua la gestazione di una forma protesa nello spazio come accumulazione che gioca sul modulo come ordine prestabilito per lasciare libertà alla costruzione in nuce, per offrire solo una base per la proliferazione dell’immaginario. Infatti le scatole si alternano assumendo posizioni diverse, costituendo un frammento di parete irregolare come ad aprire sentieri che possono proseguire all’infinito procedendo sul filo di idee che si accampano nell’utopia. Gabrielle trae suggestioni dal Brutalism come riscoperta del materiale povero e grezzo e dell’informe in contrasto allo styling del design e dell’architettura, così come rifugge dal razionalismo eccessivo che impone un ordine come schema a priori limitando l’emozione e la casualità controllata come fondamento del suo lavoro artistico quale esito non definitivo di una processualità del fare che comporta di avanzare step by step facendo tesoro delle nuove scoperte. Porre un mattone sopra l’altro per costituire le fondamenta di edifici che possono costituire la città futura, ma per il momento solo tracce esigue di un abbozzo, di un episodico elemento da cui iniziare per procedere secondo l’esigenza di costruire che in Gabrielle diventa necessità interna, impegnando a riflettere sulla edificazione di se stessi. Così ha voluto restituire attraverso elementi e materiali effimeri una traccia percorribile per continuare a lavorare su di sé scegliendo magari un punto privilegiato da cui guardare per concepire come progettare lo spazio abitato, come immaginare un nuovo piano urbanistico in seguito a riflessioni che scaturiscono quasi immediatamente osservando gli edifici non finiti che popolano le nostre aree urbane ed extraurbane come esempi non sporadici specialmente in Italia meridionale di speculazioni edilizie, di pianificazioni fasulle e di progetti inadeguati propri di un contesto politico ed economico che ha disconosciuto per decenni rigore e correttezza, che ha vissuto la crisi riportandone ancora i segni nel territorio e che tuttora è distante dal concept della sostenibilità ambientale.
Così nell’ottica del restituire valore alle cose ordinarie, ai beni presenti in un territorio, all’organizzazione dello spazio nel contesto quotidiano, ha disegnato su tela di cotone frammenti di impalcature e di edifici non finiti per poi seguire il tratto con ago e filo, riscoprendo l’antica arte del ricamo, tipica attività femminile, poiché è un lavoro certosino e rigoroso e invita nel lento svolgersi a meditare, a sostare un attimo nonché a ritrovare le energie che sembravano disperse nel rumore quotidiano. Sedersi e praticare il ricamo, punto dopo punto, comporta di astrarsi dal mondo per un momento per ritrovare una dimensione e un luogo, per immaginare nuovi spazi per la mente, per riscoprire equilibri dispersi e ridisegnare lo spazio per abitare. Gabrielle rielaborando e prolungando parti architettoniche da impressioni fotografiche ha pensato di ricamarle, rendendole sottili e leggere, evanescenti, come scaffoldings in espansione di città utopistiche, tracce per un nuovo paesaggio.
Scrive a commento della sua ricerca artistica: “There is a certain strange atmospheric style that is prevalent in German expressionist films like Metropolis (1927) and The Cabinet of Dr. Caligari (1920) that I aim to evoke in my own work. My installation explores the attraction to the dramatic stylistic qualities of these films and methods of set design whereby artifice gives the appearance of reality. […] The geometric forms that create my fragmented environment are fabricated in wood then rendered in concrete, to appear as solid components of […] bold style of Brutalist architecture”.
La sua predilezione per i fragmented environments sono dettate, in ogni caso, dall’intento di combinare e comporre per la ricerca di un’armonia che si esplicita negli schizzi grafici applicati a parete come studi in cui la matita con immediatezza ha offerto spazio al rapporto tra l’essere umano e l’ambiente, lo spazio misurabile e incontenibile, esteso, al confronto tra le funzioni del corpo umano e quelle di un ambiente in cui vivere e con cui convivere in equilibrio armonico, come traspare dal modulor di Le Corbusier. Al di là della macchina che risponde ad input in modo automatico considerando l’uomo come centro motore dell’universo, in cui ogni movimento o azione appaiono regolati alla perfezione nonostante gli impulsi irregolari e le pulsioni nascoste, l’attenzione si focalizza sulla spina dorsale come centro e origine dell’ energia, punto nevralgico del corpo umano, flessibile, elastica come dovrebbe essere e distinguersi ogni edificazione come costruzione architettonica nelle nostre cities in espansione, permettendo la vivibilità nell’ambiente naturale in relazione non contrastiva con quello artificiale secondo i principi dell’architettura organica.
Ispirandosi agli esempi architettonici di Tom Sachs scrive Gabrielle:
“Similarly, I am attempting to create an affective presence of a building by creating fragments of it through set design and theatrical methods […]. The effect that I aim to produce in my work is a feeling of darkness or strangeness”.
Del villaggio globale rimangono i messaggi della community che vive ormai nelle nostre città satelliti inviati tramite app, mobiles, social network che sono l’esempio corrente della comunicazione immediata come se fossero state dimenticate le voci che da finestra a finestra si scambiavano parole affettive e non solo di cortesia. Gabrielle sembra averli riscoperti e trascritti in italiano, la lingua della sua famiglia di origine, con un velo di ironia che sottentra anche in alcuni schizzi grafici in cui ritrae se stessa con un mattone posato sulla testa.
Come trovare i sintagmi per comporre e ricomporre le parti del tutto nell’intento di attribuire nuovi significati e significanti al già dato, all’oggetto trovato, al frammento nascosto e rivalutato, per rigenerare i segni componibili e scomponibili di una nuova sintassi praticabile nel nostro futuro prossimo.
Nell’assemblage di scatole come oggetti trovati e usati si individua la gestazione di una forma protesa nello spazio come accumulazione che gioca sul modulo come ordine prestabilito per lasciare libertà alla costruzione in nuce, per offrire solo una base per la proliferazione dell’immaginario. Infatti le scatole si alternano assumendo posizioni diverse, costituendo un frammento di parete irregolare come ad aprire sentieri che possono proseguire all’infinito procedendo sul filo di idee che si accampano nell’utopia. Gabrielle trae suggestioni dal Brutalism come riscoperta del materiale povero e grezzo e dell’informe in contrasto allo styling del design e dell’architettura, così come rifugge dal razionalismo eccessivo che impone un ordine come schema a priori limitando l’emozione e la casualità controllata come fondamento del suo lavoro artistico quale esito non definitivo di una processualità del fare che comporta di avanzare step by step facendo tesoro delle nuove scoperte. Porre un mattone sopra l’altro per costituire le fondamenta di edifici che possono costituire la città futura, ma per il momento solo tracce esigue di un abbozzo, di un episodico elemento da cui iniziare per procedere secondo l’esigenza di costruire che in Gabrielle diventa necessità interna, impegnando a riflettere sulla edificazione di se stessi. Così ha voluto restituire attraverso elementi e materiali effimeri una traccia percorribile per continuare a lavorare su di sé scegliendo magari un punto privilegiato da cui guardare per concepire come progettare lo spazio abitato, come immaginare un nuovo piano urbanistico in seguito a riflessioni che scaturiscono quasi immediatamente osservando gli edifici non finiti che popolano le nostre aree urbane ed extraurbane come esempi non sporadici specialmente in Italia meridionale di speculazioni edilizie, di pianificazioni fasulle e di progetti inadeguati propri di un contesto politico ed economico che ha disconosciuto per decenni rigore e correttezza, che ha vissuto la crisi riportandone ancora i segni nel territorio e che tuttora è distante dal concept della sostenibilità ambientale.
Così nell’ottica del restituire valore alle cose ordinarie, ai beni presenti in un territorio, all’organizzazione dello spazio nel contesto quotidiano, ha disegnato su tela di cotone frammenti di impalcature e di edifici non finiti per poi seguire il tratto con ago e filo, riscoprendo l’antica arte del ricamo, tipica attività femminile, poiché è un lavoro certosino e rigoroso e invita nel lento svolgersi a meditare, a sostare un attimo nonché a ritrovare le energie che sembravano disperse nel rumore quotidiano. Sedersi e praticare il ricamo, punto dopo punto, comporta di astrarsi dal mondo per un momento per ritrovare una dimensione e un luogo, per immaginare nuovi spazi per la mente, per riscoprire equilibri dispersi e ridisegnare lo spazio per abitare. Gabrielle rielaborando e prolungando parti architettoniche da impressioni fotografiche ha pensato di ricamarle, rendendole sottili e leggere, evanescenti, come scaffoldings in espansione di città utopistiche, tracce per un nuovo paesaggio.
Scrive a commento della sua ricerca artistica: “There is a certain strange atmospheric style that is prevalent in German expressionist films like Metropolis (1927) and The Cabinet of Dr. Caligari (1920) that I aim to evoke in my own work. My installation explores the attraction to the dramatic stylistic qualities of these films and methods of set design whereby artifice gives the appearance of reality. […] The geometric forms that create my fragmented environment are fabricated in wood then rendered in concrete, to appear as solid components of […] bold style of Brutalist architecture”.
La sua predilezione per i fragmented environments sono dettate, in ogni caso, dall’intento di combinare e comporre per la ricerca di un’armonia che si esplicita negli schizzi grafici applicati a parete come studi in cui la matita con immediatezza ha offerto spazio al rapporto tra l’essere umano e l’ambiente, lo spazio misurabile e incontenibile, esteso, al confronto tra le funzioni del corpo umano e quelle di un ambiente in cui vivere e con cui convivere in equilibrio armonico, come traspare dal modulor di Le Corbusier. Al di là della macchina che risponde ad input in modo automatico considerando l’uomo come centro motore dell’universo, in cui ogni movimento o azione appaiono regolati alla perfezione nonostante gli impulsi irregolari e le pulsioni nascoste, l’attenzione si focalizza sulla spina dorsale come centro e origine dell’ energia, punto nevralgico del corpo umano, flessibile, elastica come dovrebbe essere e distinguersi ogni edificazione come costruzione architettonica nelle nostre cities in espansione, permettendo la vivibilità nell’ambiente naturale in relazione non contrastiva con quello artificiale secondo i principi dell’architettura organica.
Ispirandosi agli esempi architettonici di Tom Sachs scrive Gabrielle:
“Similarly, I am attempting to create an affective presence of a building by creating fragments of it through set design and theatrical methods […]. The effect that I aim to produce in my work is a feeling of darkness or strangeness”.
Del villaggio globale rimangono i messaggi della community che vive ormai nelle nostre città satelliti inviati tramite app, mobiles, social network che sono l’esempio corrente della comunicazione immediata come se fossero state dimenticate le voci che da finestra a finestra si scambiavano parole affettive e non solo di cortesia. Gabrielle sembra averli riscoperti e trascritti in italiano, la lingua della sua famiglia di origine, con un velo di ironia che sottentra anche in alcuni schizzi grafici in cui ritrae se stessa con un mattone posato sulla testa.
Come trovare i sintagmi per comporre e ricomporre le parti del tutto nell’intento di attribuire nuovi significati e significanti al già dato, all’oggetto trovato, al frammento nascosto e rivalutato, per rigenerare i segni componibili e scomponibili di una nuova sintassi praticabile nel nostro futuro prossimo.
29
settembre 2016
Gabrielle Cirocco – WORK IN PROGRESS/ Waiting for Bricks
Dal 29 settembre al 16 ottobre 2016
arte contemporanea
Location
D’A SPAZIO D’ARTE
Empoli, Via Della Repubblica, 52, (Firenze)
Empoli, Via Della Repubblica, 52, (Firenze)
Orario di apertura
da martedì a sabato su appuntamento
Vernissage
29 Settembre 2016, ore 18
Autore