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Gaetano Giuffrè – Figure
La mostra acese illustrerà l’ultima produzione dell’artista attraverso una ventina di terrecotte policrome. L’evento proseguirà, dal 24 maggio, contemporaneamente anche negli spazi dell’Accademia Abadir di S. Agata Li Battiati dove sarà possibile approfondire la conoscenza della ricerca dell’autore
Comunicato stampa
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dal testo in catalogo di Calusca:
CARNE - Un viaggio da Gaetano Giuffrè
Attraverso un volo, un ascensore novecento mi consegnò a quel piano; sotto, percorrendo un breve, labirintico corridoio grigio-cemento, ferito, lungo le pareti, da lunghe frecce sanguinanti - a segnare l’itinerario che mi aspettava oltre quella porta, anch’essa grigia nel sottoscala (accesso all’ipogeo-garage del nobile palazzo romano) – e marcato da un’alternanza regolare di porte mi trovai, in quella luce di miniera, innanzi ad una - forse la quinta di queste - nascosta dietro l’ultimo angolo del mio breve viaggio. La porta si aprì e nell’istante buio che offrì l’ambiente al mio sguardo, immediatamente giunse una luce a riverberare il tutto, un bianco neon mostrò, nel fruscio elettrico del forno, quanto quello spazio fosse ricco e affollato: diverse “vite”, esseri strillanti restavano muti sui loro giacigli rotanti a sbraitare; era dalla loro carne che vibrava quell’urlo!
Restai attonito, confuso dalla potenza inquieta di quel mondo sotterraneo che adesso mi circondava, cingeva la mia presenza all’interno di un rifugio baconiano; un malessere mi conquistò, un disagio, timore di essere aggredito, scivolare - risucchiato - in una delle tante viscide cucce in cui, a volte coperti da stracci, ancora giacevano quelle forme virali di esseri carnali che tormentati chissà da quale fastidio continuavano a torcersi su se stessi imperniati su arti monchi o adagiandosi su addomi stressati. Cominciai però stranamente a sentirmi attratto da loro, piacevolmente sconvolto dalla forza di questi esseri, provai una strana familiarità, quasi fossi confortato dalla memoria di un già avvenuto contatto, una frequentazione intrinseca con le loro strane sembianze; allora capii: mi appartenevano. La vita e il mezzo espressivo ci avevano ormai, inevitabilmente, fatto incontrare su terreni altri o su spazi dominati da due dimensioni, chiusi, obbligatoriamente conosciuti ma in fondo, “dietro” – oltre il visibile – infinitamente aperti all’indole creativa del fruitore.
Qui, necessariamente, il mezzo andava oltre, entusiasmava per le possibilità proposte, per l’opportunità di condividere uno spazio reale comune, parteciparci reciprocamente in un confronto involontariamente indiretto quanto voluto e da un altro condotto. La conoscenza era così totale nell’apparenza - dominata dal possesso della forma e delle sue dinamiche - che al primo istante addirittura poteva intimorire per l’eccessiva crudezza. Ce n’era uno, ad esempio, comodamente adagiato su di una poltrona rossa che beffeggiava, con le sue sembianze zoomorfiche, chiunque avesse a tiro, attraverso un capo ridotto arto/collo fagocitante; ce n’era un altro, piccolo, che con coraggio, aggrappandosi al suo sgabello con la coscia liquescente conquistava, affrontandola, l’oscurità infinita del nero sopra la scrivania: da perderci la testa dentro! Poi c’erano degli altri, più umani - almeno nelle fattezze fisionomiche -, appollaiati come volatili su mensole aggettanti da fondi piatti con ombre dipinte su spazi cromatici. Era il mondo modellato da un qualcuno che attraverso visioni - a volte comuni - manifestava un medesimo timore: la paura di un divenire altro oltre la presenza concessaci, l’amore del frammento per il tutto, l’angoscia – esorcizzante – del dolore, la solitudine, tra affetti e amori (a volte fatui), del vivere con la sempre quotidiana consapevolezza dell’essere parte transitoria di una vita.
Calusca
CARNE - Un viaggio da Gaetano Giuffrè
Attraverso un volo, un ascensore novecento mi consegnò a quel piano; sotto, percorrendo un breve, labirintico corridoio grigio-cemento, ferito, lungo le pareti, da lunghe frecce sanguinanti - a segnare l’itinerario che mi aspettava oltre quella porta, anch’essa grigia nel sottoscala (accesso all’ipogeo-garage del nobile palazzo romano) – e marcato da un’alternanza regolare di porte mi trovai, in quella luce di miniera, innanzi ad una - forse la quinta di queste - nascosta dietro l’ultimo angolo del mio breve viaggio. La porta si aprì e nell’istante buio che offrì l’ambiente al mio sguardo, immediatamente giunse una luce a riverberare il tutto, un bianco neon mostrò, nel fruscio elettrico del forno, quanto quello spazio fosse ricco e affollato: diverse “vite”, esseri strillanti restavano muti sui loro giacigli rotanti a sbraitare; era dalla loro carne che vibrava quell’urlo!
Restai attonito, confuso dalla potenza inquieta di quel mondo sotterraneo che adesso mi circondava, cingeva la mia presenza all’interno di un rifugio baconiano; un malessere mi conquistò, un disagio, timore di essere aggredito, scivolare - risucchiato - in una delle tante viscide cucce in cui, a volte coperti da stracci, ancora giacevano quelle forme virali di esseri carnali che tormentati chissà da quale fastidio continuavano a torcersi su se stessi imperniati su arti monchi o adagiandosi su addomi stressati. Cominciai però stranamente a sentirmi attratto da loro, piacevolmente sconvolto dalla forza di questi esseri, provai una strana familiarità, quasi fossi confortato dalla memoria di un già avvenuto contatto, una frequentazione intrinseca con le loro strane sembianze; allora capii: mi appartenevano. La vita e il mezzo espressivo ci avevano ormai, inevitabilmente, fatto incontrare su terreni altri o su spazi dominati da due dimensioni, chiusi, obbligatoriamente conosciuti ma in fondo, “dietro” – oltre il visibile – infinitamente aperti all’indole creativa del fruitore.
Qui, necessariamente, il mezzo andava oltre, entusiasmava per le possibilità proposte, per l’opportunità di condividere uno spazio reale comune, parteciparci reciprocamente in un confronto involontariamente indiretto quanto voluto e da un altro condotto. La conoscenza era così totale nell’apparenza - dominata dal possesso della forma e delle sue dinamiche - che al primo istante addirittura poteva intimorire per l’eccessiva crudezza. Ce n’era uno, ad esempio, comodamente adagiato su di una poltrona rossa che beffeggiava, con le sue sembianze zoomorfiche, chiunque avesse a tiro, attraverso un capo ridotto arto/collo fagocitante; ce n’era un altro, piccolo, che con coraggio, aggrappandosi al suo sgabello con la coscia liquescente conquistava, affrontandola, l’oscurità infinita del nero sopra la scrivania: da perderci la testa dentro! Poi c’erano degli altri, più umani - almeno nelle fattezze fisionomiche -, appollaiati come volatili su mensole aggettanti da fondi piatti con ombre dipinte su spazi cromatici. Era il mondo modellato da un qualcuno che attraverso visioni - a volte comuni - manifestava un medesimo timore: la paura di un divenire altro oltre la presenza concessaci, l’amore del frammento per il tutto, l’angoscia – esorcizzante – del dolore, la solitudine, tra affetti e amori (a volte fatui), del vivere con la sempre quotidiana consapevolezza dell’essere parte transitoria di una vita.
Calusca
23
maggio 2008
Gaetano Giuffrè – Figure
Dal 23 maggio al 10 giugno 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA ART’E’
Acireale, Piazza Porta Cusmana, 10, (Catania)
Acireale, Piazza Porta Cusmana, 10, (Catania)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 9,30–13,00 e 16,30–20,30 ; chiuso festivi
Vernissage
23 Maggio 2008, ore 19.00
Autore