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Gaspare Gisone – … oltre la materia …
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazione del tessuto, come effetto del trauma. Francesco Gallo
Comunicato stampa
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Conarte
Gaspare Gisone
... oltre la materia ...
Conarte presenta, per la sua sezione giovani, Gaspare Gisone, nato nel 1975 a Castelvetrano (Tp).
Vive e lavora a Milano dove i suoi lavori di particolare tecnica hanno riscontrato notevole successo.
Ha esposto nelle fiere più importanti italiane e mostre collettive estere: Praga, Cracovia, Stoccarda e una grande mostra personale alla Citè du Temps di Ginevra.
Il taglio slabbrato con forza e volontà plastica, rivela che per Gisone, esso è il risultato di un gesto che trapassa la tela per creare un vuoto “dietro”, ma al contrario di Fontana, che col taglio ambiva a un vuoto spaziale, senza interferenze di possibili forme, Gisone vuole trovare un “dietro” animato da un intreccio di immagini, e documenta con il segno l’ambigua fine di uno spazio che va “oltre”.
Marisa Vescovo
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazione del tessuto, come effetto del trauma.
Francesco Gallo
Temperamento complesso, portato a riflettere sulla contrapposizione tra materia e spirito, speranza e angoscia, Gisone interviene con segni inequivocabili sulla superficie dei suoi lavori, ricavandone un risultato visivo e tattile che evidenzia la volontà dell’artista di liberarsi dall’oggetto reale per creare un nuovo alfabeto pittorico.
Riccardo Zelatore
Un viaggio nel mistero dell’“oltre”
a cura di Marisa Vescovo
Quando le parole non bastano più magari perché tutto è stato detto, o perché si è capito che non servono, o perché ormai è prevalso il disgusto per il cinismo e l’ipocrisia oggi imperanti bisogna tacere o parlare d’altro, oppure dire con altri linguaggi. Si potrebbe interpretare anche in tal modo la famosa ultima frase del Tractatus di Wittgenstein (“di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”).
Quindi possiamo, con determinazione, decidere di occuparci di cose minori o più personali, anche perché non sappiamo se, dopo questi ultimi anni di guerre fratricide o imperialiste, di attentati e mattanze, altre cose cambieranno, e potremo soffrirne non poco anche nel nostro complesso e ansioso quotidiano. Viviamo nel cuore di una società che non ha abbastanza tempo per soppesare verità e menzogna, argomenti concreti e fandonie, e fa un doveroso melange tra bianco e nero, tra dimostrato e indimostrabile, tra realtà e fantasia, più o meno travestita da moda e, talora, da arte visiva. L’approdo è di un grigiore desolante, ma nel suo grembo prolifico, qualsiasi cosa, anche la più assurda e infondata, trova una giustificazione.
Un’artista come Gaspare Gisone sa che quando nella cassetta degli attrezzi non si riescono a trovare strumenti adatti per affrontare la realtà che ci circonda, quando le idee sono imbrigliate da mezzi troppo coercitivi e sferzanti, allora è necessario muoversi verso l’a-reale, creando nuovi scenari e nuove storie. Nascono così gli “Alfabeti” (2002), un inventario di forme da elaborare, una sorta di sommario del “segno” (che forse involontariamente diventa una citazione del lavoro segnico di Emilio Scanavino). Comunque si tratta di un puro momento di ricerca in quanto la strutturazione ritmica e seriale dei segni non dà luogo a una figurazione complessa. Esiste il particolare , ma non l’universale. Assistiamo insomma al continuo alternarsi di pieno vuoto, di concreto e astratto, di ombra e di luce. Ma a una lettura ravvicinata, e alla successiva messa a fuoco percettiva sulla tela, tutto si appare come un agglomerato di segni insistenti e minuziosi, che frantumano lo spazio con un incomprensibile alfabeto-morse, che emette anche onde sonore.
Se passiamo alle successive “Introspezioni”, ovvero le alte e sottili tele bianche aperte da una ferita prodotta col fuoco (Burri docet?), che ci lasciano intravedere un “oltre” fatto di tratti che si aggrovigliano, si intrecciano come una trama di tessuto, allora sentiamo che non si tratta di una visione che si appaga del semplice reale, ma che oltrepassandolo, vede al di là, dove ogni forma è tesa e scrivibile, e conduce ogni finito nell’infinito, ogni realtà stabile nell’interrotto flusso del divenire, ogni definitezza nell’assoluto del bianco o del nero, che la materia cromatica evidenzia come vuoto e tensione in via di ritrovarsi in una dimensione nuova, che non dimentica gli spazi cosmici e i grovigli della coscienza. Il taglio slabbrato con forza e volontà plastica, rivela che per Gisone, esso è il risultato di un gesto che trapassa la tela per creare un vuoto “dietro”, ma al contrario di Fontana, che col taglio ambiva a un vuoto spaziale, senza interferenze di possibili forme, Gisone vuole trovare un “dietro”animato da un intreccio di immagini, e documenta con il segno l’ambigua fine di uno spazio che va “oltre”. Nella violenza bruciante del gesto (ottenuta col fuoco), nella sua tonalità decisa o incerta, c’è un ‘autobiografia, c’è la qualità dell’artista col mondo, il modo di offrirsi della mano all’azione, e quindi ai sentimenti che la animano. In ogni gesto di Gisone c’è un desiderio soggiacente che lo imbeve e lo rende espressivo di un mutamento, che subisce la materia stessa sulla tela. La gestualità non è una rappresentazione, ma è la vita stessa in ciò che possiede di irrappresentabile e di enigmatico.
Siano il “Muro del pianto” (2003) o le ultime “Introspezioni” (2003), si tratta comunque di opere che si presentano con segni che costruiscono un vibrante continuum, cosicchè il loro movimento diventa infinito. La “scrittura minuta”, guidata da impulsi precisi, prende il posto che nella pittura tradizionale avevano: masse, volumi, materia. Sembra che l’artista voglia, mostrare che le possibilità espressive del suo “ductus” grafico, sono illimitate, e ogni gesto può diventare un pretesto pittorico, ed è proprio in questo gesto che l’uomo- artista si descrive e si smaschera. Viene detta con leggerezza l’antica vicenda del caos che cerca nervosamente la forma, e ci rimanda al mistero dell’universo, in cui poi stanno le vere invisibili radici della coscienza. Gisone si è dunque calato nei territori della “metamorfosi” per intraprendere un “viaggio”, un’avventura, che rivela il mistero che sta alla fine della strada intrapresa, il vertiginoso rimescolio delle apparenze, l’apertura del possibile da recepire. Se guardiamo con attenzione queste opere abbiamo la sensazione che il vuoto, che si è formato oltre la soglia del taglio slabbrato e come offerto voluttuosamente al nostro sguardo, sia eccitato da forze che mettono in moto cellule, ammassi di filamenti che alludono a cose nascoste e occultate da nodi, che poi si trasformano in nuovi stati virtuali di energia, che ora sono osservabili e tangibili. Il vuoto viene così ad assumere l’aspetto di uno scenario misterioso , in cui si muovono anche fantasmi psichici. Non c’è dubbio che il mondo microscopico dei lavori di Gisone è importante al fine di comprendere i fenomeni del mondo macroscopico.
Questi segni, che ci appaiono provenienti dalla penombra di uno spazio che sta al di là della superficie, ci ricordano forse che la natura è sul punto di corrompersi definitivamente, o di inabissarsi per sempre, come avveniva nei quadri di Monet, ma pure in certi quadri di Scanavino, che cercava, con dolore, di cogliere qualcosa di questo terribile mutamento, dipingendo terribili tele di ragno esplose, legamenti che si corrompono e si disfano, forme compatte che diventano viluppi di linee in via di serrarsi in un groppo stretto, come per difendersi da prossime catastrofi, e invasioni da alieni..
Un’opera pittorica come “Fine del mondo”, ci mostra un anello circolare, perfetto, magico, in cui sono avvenute fermentazioni interne misteriose, viventi, la forma si rompe, dentro il suo perimetro, in mille frammenti che si intrecciano, debordano, e poi si riallacciano secondo leggi organiche, così da simulare invasioni, contaminazioni, contagi, che si formano sia dentro lo spazio , che nelle cose, quasi che, tessuti umani, e no, siano colpiti da radiazioni atomiche, da virus infettivi, che si spandono e si moltiplicano, dando luogo a metamorfosi, ibridazioni perverse, come quelle che nel presente avvengono nei templi dell’ingegneria biogenetica, e infine, magari, esplodono , come un pianeta giunto al momento della sua fine nel sistema stellare.
Si tratta di opere che si possono leggere continuamente, giorno dopo giorno, secondo una continuità che non risponde semplicemente a un consumo, ma risponde piuttosto ad un bisogno di scoperta che insito in tutti noi, e che risulta insoddisfatto dalla meccanicità industriale, o ora tecnologica.
Ciò che salta agli occhi, per quanto riguarda molti di questi quadri di Gisone, è che ritorna in essi l’idea, magari solo simbolica, di “cornice” come perimetro e limite, ma pure elemento di raccordo tra lo spazio figurato e quello ambientale. La cornice, in fondo, da sempre ha aggiunto potere alla lotta dell’arte, che consisteva poi nel mettere in scena le proprie imprese, delimitando un “recinto sacro” in cui l’artista immancabilmente compie i suoi riti e i suoi sortilegi. Nel caso di Gisone si tratta semplicemente del bisogno di chiudere il campo per l’azione. L’artefice la indica scolorendo i bordi del telaio, per rinchiudervi un universo, non fossa ‘altro che di vuoto, o di spazio in mutazione, per dare vita ad un mondo soggetto soltanto a norme proprie. Il termine inglese frame ci da subito l’idea di qualcosa di rigido: qualcosa che limita e separa, definisce e contiene, qualcosa che chiude in un modo netto.
Anche quando guardiamo un dipinto quale “Il muro del pianto” (e il riferimento va sempre a Scanavino) troviamo che Gisone porta comunque i suo colpi di pennello , o di spatola, a conquistare una dimensione gestuale intrisa di amore, con la sua ineliminabile ambivalenza, che sconfina anche nell’erotismo. In ogni situazione creativa c’è un momento di godimento che comporta il senso del prodigio che si vuole compiere, di un evento incommensurabile rispetto alle sue premesse , come avviene nell’estasi mistica. Il lavoro del nostro artista vive di questi ascolti, di queste “nuove storie”, di questa volontà di abitare la frontiera come prossimità all’origine. Ciò che preme a Gisone è la possibilità di disegnare una dimensione mentale, di riconoscere i limiti dello spazio e del tempo , nei quali si avvera il suo vissuto, di ritessere quindi la trama della vita partendo da quel punto imprescindibile che è l’io, con la volontà di fare e di formare.
Note critiche
Riccardo Zelatore
Temperamento complesso, portato a riflettere sulla contrapposizione tra materia e spirito, speranza e angoscia, Gisone interviene con segni inequivocabili sulla superficie dei suoi lavori, ricavandone un risultato visivo e tattile che evidenzia la volontà dell’artista di liberarsi dall’oggetto reale per creare un nuovo alfabeto pittorico. Penetrare l’intima essenza del mondo è il fine ultimo del processo creativo di questo artista che non organizza il lavoro secondo un progetto, ma segue il divampare del gesto e la trasformazione della materia. L’opera non nasce da un’idea precostituita, ma scaturisce dall’azione e dalla accortezza attiva dell’artista che, facendo affiorare l’originaria carica pittorica attraverso lacerazioni provocate da autentiche bruciature, abrasioni e squarci, interrompe la linearità della visione e conduce a una nuova dimensione. Gisone riesce a creare una equivalenza intrigante tra superficie e profondità in modo da ottenere una pulsazione che va oltre il piano della tela e la percezione oculare, raggiungendo conformazioni emozionali e psichiche. I suoi quadri sono superfici sensibili, sono luoghi rivelatori di eventi nascenti, di affioramenti e sprofondamenti, di avvicinamenti e allontanamenti, di fughe e di ritorni. L’universo dell’artista è un universo riflessivo ed è al tempo stesso manifestazione dell’inconscio e situazione momentanea della coscienza. I segni grafici frammentati, che affiorano attraverso le lacerazioni slabbrate portate con forza e volontà plastica sullo spazio piano, si ripetono lungo tutto il ciclo delle opere ed assumono una precisa funzione espressiva, presentandosi con una evidente spontaneità, come libera manifestazione di una grammatica in parte automatica e pur sempre sofferta. Segni scarnificati, segni emergenti, appaiono provenienti dalla penombra di uno spazio che sta al di là della superficie quasi a qualificarne sostanza e precarietà e a definire un significato insieme allusivo e spirituale. Quel che traspare nei suoi quadri è il segno di un passaggio, di una trasformazione della materia. La pittura diventa spazio della memoria, sussulto per l’incontro con qualcosa di conosciuto. Un’idea materialistica dell’arte presiede all’opera di Gisone, una laboriosità che si fonde con la sperimentazione e non si disgiunge dall’arrovellamento, dal voler afferrare il senso profondo dello scorrere del tempo, carpire i segni che lascia nell’anima, nella memoria, nello spazio che ci circonda. I segni insistenti e minuziosi che si intrecciano e si aggrovigliano, l’alternarsi di luce e di ombra, le pause dei pieni e dei vuoti si mettono tra l’artista e la sua vita, a creare un nesso tra creazione dell’opera e propria identità. L’immagine che caratterizza i quadri di Gisone è di fatto un prodotto dell’attività immaginativa dell’inconscio che si manifesta in maniera più o meno improvvisa, nel dedalo delle prigioni individuali, alla ricerca di spazi ulteriori.
Francesco Gallo
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza, per portarla ad assumere le rattezze di un linguaggio di attraversamento che ne modifica in maniera irreversibile la condizione originaria portando da una verginità ad una maculazione, con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazione del tessuto, come effetto del trauma. I riferimenti a Fontana e Burri, maestri della fornicazione con il nulla e il degrado della materia, si impastano con quelli di Castellani e Colombo, maestri nel trattamento delle traversie della luce e si configurano come vere fonti storiche di macchinazione nei confronti di superfici levigate, che vengono trattate con la vigorosa azione dello scultore, del modificatore di effetti plastici. Gisone ottiene così effetti di moltiplicazione sensuale dell’immagine oltrepassando i limiti della bellezza, come concreta affermazione del qui e ora, per transitare nell’effetto del sublime come astratta posizione cinetica. Le composizioni sono delle singolarità celibi che non possono aggiungere posizione a posizione, ma si ergono come icone inaccessibili e si prestano solo ad una sospensione del giudizio estetico, che viene comunque chiamato in causa dagli effetti di levigazione che le immagini proiettano, come fossero degli specchi che possono diventare ora, quieti assertori dell’immagine una, ora momenti ustori di una bellicità tra l’assenza e la presenza. Il ciclo di rimandi è sempre il medesimo, ma sempre in divenire nella dialettica di opera e spettatore.
Gaspare Gisone
... oltre la materia ...
Conarte presenta, per la sua sezione giovani, Gaspare Gisone, nato nel 1975 a Castelvetrano (Tp).
Vive e lavora a Milano dove i suoi lavori di particolare tecnica hanno riscontrato notevole successo.
Ha esposto nelle fiere più importanti italiane e mostre collettive estere: Praga, Cracovia, Stoccarda e una grande mostra personale alla Citè du Temps di Ginevra.
Il taglio slabbrato con forza e volontà plastica, rivela che per Gisone, esso è il risultato di un gesto che trapassa la tela per creare un vuoto “dietro”, ma al contrario di Fontana, che col taglio ambiva a un vuoto spaziale, senza interferenze di possibili forme, Gisone vuole trovare un “dietro” animato da un intreccio di immagini, e documenta con il segno l’ambigua fine di uno spazio che va “oltre”.
Marisa Vescovo
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazione del tessuto, come effetto del trauma.
Francesco Gallo
Temperamento complesso, portato a riflettere sulla contrapposizione tra materia e spirito, speranza e angoscia, Gisone interviene con segni inequivocabili sulla superficie dei suoi lavori, ricavandone un risultato visivo e tattile che evidenzia la volontà dell’artista di liberarsi dall’oggetto reale per creare un nuovo alfabeto pittorico.
Riccardo Zelatore
Un viaggio nel mistero dell’“oltre”
a cura di Marisa Vescovo
Quando le parole non bastano più magari perché tutto è stato detto, o perché si è capito che non servono, o perché ormai è prevalso il disgusto per il cinismo e l’ipocrisia oggi imperanti bisogna tacere o parlare d’altro, oppure dire con altri linguaggi. Si potrebbe interpretare anche in tal modo la famosa ultima frase del Tractatus di Wittgenstein (“di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”).
Quindi possiamo, con determinazione, decidere di occuparci di cose minori o più personali, anche perché non sappiamo se, dopo questi ultimi anni di guerre fratricide o imperialiste, di attentati e mattanze, altre cose cambieranno, e potremo soffrirne non poco anche nel nostro complesso e ansioso quotidiano. Viviamo nel cuore di una società che non ha abbastanza tempo per soppesare verità e menzogna, argomenti concreti e fandonie, e fa un doveroso melange tra bianco e nero, tra dimostrato e indimostrabile, tra realtà e fantasia, più o meno travestita da moda e, talora, da arte visiva. L’approdo è di un grigiore desolante, ma nel suo grembo prolifico, qualsiasi cosa, anche la più assurda e infondata, trova una giustificazione.
Un’artista come Gaspare Gisone sa che quando nella cassetta degli attrezzi non si riescono a trovare strumenti adatti per affrontare la realtà che ci circonda, quando le idee sono imbrigliate da mezzi troppo coercitivi e sferzanti, allora è necessario muoversi verso l’a-reale, creando nuovi scenari e nuove storie. Nascono così gli “Alfabeti” (2002), un inventario di forme da elaborare, una sorta di sommario del “segno” (che forse involontariamente diventa una citazione del lavoro segnico di Emilio Scanavino). Comunque si tratta di un puro momento di ricerca in quanto la strutturazione ritmica e seriale dei segni non dà luogo a una figurazione complessa. Esiste il particolare , ma non l’universale. Assistiamo insomma al continuo alternarsi di pieno vuoto, di concreto e astratto, di ombra e di luce. Ma a una lettura ravvicinata, e alla successiva messa a fuoco percettiva sulla tela, tutto si appare come un agglomerato di segni insistenti e minuziosi, che frantumano lo spazio con un incomprensibile alfabeto-morse, che emette anche onde sonore.
Se passiamo alle successive “Introspezioni”, ovvero le alte e sottili tele bianche aperte da una ferita prodotta col fuoco (Burri docet?), che ci lasciano intravedere un “oltre” fatto di tratti che si aggrovigliano, si intrecciano come una trama di tessuto, allora sentiamo che non si tratta di una visione che si appaga del semplice reale, ma che oltrepassandolo, vede al di là, dove ogni forma è tesa e scrivibile, e conduce ogni finito nell’infinito, ogni realtà stabile nell’interrotto flusso del divenire, ogni definitezza nell’assoluto del bianco o del nero, che la materia cromatica evidenzia come vuoto e tensione in via di ritrovarsi in una dimensione nuova, che non dimentica gli spazi cosmici e i grovigli della coscienza. Il taglio slabbrato con forza e volontà plastica, rivela che per Gisone, esso è il risultato di un gesto che trapassa la tela per creare un vuoto “dietro”, ma al contrario di Fontana, che col taglio ambiva a un vuoto spaziale, senza interferenze di possibili forme, Gisone vuole trovare un “dietro”animato da un intreccio di immagini, e documenta con il segno l’ambigua fine di uno spazio che va “oltre”. Nella violenza bruciante del gesto (ottenuta col fuoco), nella sua tonalità decisa o incerta, c’è un ‘autobiografia, c’è la qualità dell’artista col mondo, il modo di offrirsi della mano all’azione, e quindi ai sentimenti che la animano. In ogni gesto di Gisone c’è un desiderio soggiacente che lo imbeve e lo rende espressivo di un mutamento, che subisce la materia stessa sulla tela. La gestualità non è una rappresentazione, ma è la vita stessa in ciò che possiede di irrappresentabile e di enigmatico.
Siano il “Muro del pianto” (2003) o le ultime “Introspezioni” (2003), si tratta comunque di opere che si presentano con segni che costruiscono un vibrante continuum, cosicchè il loro movimento diventa infinito. La “scrittura minuta”, guidata da impulsi precisi, prende il posto che nella pittura tradizionale avevano: masse, volumi, materia. Sembra che l’artista voglia, mostrare che le possibilità espressive del suo “ductus” grafico, sono illimitate, e ogni gesto può diventare un pretesto pittorico, ed è proprio in questo gesto che l’uomo- artista si descrive e si smaschera. Viene detta con leggerezza l’antica vicenda del caos che cerca nervosamente la forma, e ci rimanda al mistero dell’universo, in cui poi stanno le vere invisibili radici della coscienza. Gisone si è dunque calato nei territori della “metamorfosi” per intraprendere un “viaggio”, un’avventura, che rivela il mistero che sta alla fine della strada intrapresa, il vertiginoso rimescolio delle apparenze, l’apertura del possibile da recepire. Se guardiamo con attenzione queste opere abbiamo la sensazione che il vuoto, che si è formato oltre la soglia del taglio slabbrato e come offerto voluttuosamente al nostro sguardo, sia eccitato da forze che mettono in moto cellule, ammassi di filamenti che alludono a cose nascoste e occultate da nodi, che poi si trasformano in nuovi stati virtuali di energia, che ora sono osservabili e tangibili. Il vuoto viene così ad assumere l’aspetto di uno scenario misterioso , in cui si muovono anche fantasmi psichici. Non c’è dubbio che il mondo microscopico dei lavori di Gisone è importante al fine di comprendere i fenomeni del mondo macroscopico.
Questi segni, che ci appaiono provenienti dalla penombra di uno spazio che sta al di là della superficie, ci ricordano forse che la natura è sul punto di corrompersi definitivamente, o di inabissarsi per sempre, come avveniva nei quadri di Monet, ma pure in certi quadri di Scanavino, che cercava, con dolore, di cogliere qualcosa di questo terribile mutamento, dipingendo terribili tele di ragno esplose, legamenti che si corrompono e si disfano, forme compatte che diventano viluppi di linee in via di serrarsi in un groppo stretto, come per difendersi da prossime catastrofi, e invasioni da alieni..
Un’opera pittorica come “Fine del mondo”, ci mostra un anello circolare, perfetto, magico, in cui sono avvenute fermentazioni interne misteriose, viventi, la forma si rompe, dentro il suo perimetro, in mille frammenti che si intrecciano, debordano, e poi si riallacciano secondo leggi organiche, così da simulare invasioni, contaminazioni, contagi, che si formano sia dentro lo spazio , che nelle cose, quasi che, tessuti umani, e no, siano colpiti da radiazioni atomiche, da virus infettivi, che si spandono e si moltiplicano, dando luogo a metamorfosi, ibridazioni perverse, come quelle che nel presente avvengono nei templi dell’ingegneria biogenetica, e infine, magari, esplodono , come un pianeta giunto al momento della sua fine nel sistema stellare.
Si tratta di opere che si possono leggere continuamente, giorno dopo giorno, secondo una continuità che non risponde semplicemente a un consumo, ma risponde piuttosto ad un bisogno di scoperta che insito in tutti noi, e che risulta insoddisfatto dalla meccanicità industriale, o ora tecnologica.
Ciò che salta agli occhi, per quanto riguarda molti di questi quadri di Gisone, è che ritorna in essi l’idea, magari solo simbolica, di “cornice” come perimetro e limite, ma pure elemento di raccordo tra lo spazio figurato e quello ambientale. La cornice, in fondo, da sempre ha aggiunto potere alla lotta dell’arte, che consisteva poi nel mettere in scena le proprie imprese, delimitando un “recinto sacro” in cui l’artista immancabilmente compie i suoi riti e i suoi sortilegi. Nel caso di Gisone si tratta semplicemente del bisogno di chiudere il campo per l’azione. L’artefice la indica scolorendo i bordi del telaio, per rinchiudervi un universo, non fossa ‘altro che di vuoto, o di spazio in mutazione, per dare vita ad un mondo soggetto soltanto a norme proprie. Il termine inglese frame ci da subito l’idea di qualcosa di rigido: qualcosa che limita e separa, definisce e contiene, qualcosa che chiude in un modo netto.
Anche quando guardiamo un dipinto quale “Il muro del pianto” (e il riferimento va sempre a Scanavino) troviamo che Gisone porta comunque i suo colpi di pennello , o di spatola, a conquistare una dimensione gestuale intrisa di amore, con la sua ineliminabile ambivalenza, che sconfina anche nell’erotismo. In ogni situazione creativa c’è un momento di godimento che comporta il senso del prodigio che si vuole compiere, di un evento incommensurabile rispetto alle sue premesse , come avviene nell’estasi mistica. Il lavoro del nostro artista vive di questi ascolti, di queste “nuove storie”, di questa volontà di abitare la frontiera come prossimità all’origine. Ciò che preme a Gisone è la possibilità di disegnare una dimensione mentale, di riconoscere i limiti dello spazio e del tempo , nei quali si avvera il suo vissuto, di ritessere quindi la trama della vita partendo da quel punto imprescindibile che è l’io, con la volontà di fare e di formare.
Note critiche
Riccardo Zelatore
Temperamento complesso, portato a riflettere sulla contrapposizione tra materia e spirito, speranza e angoscia, Gisone interviene con segni inequivocabili sulla superficie dei suoi lavori, ricavandone un risultato visivo e tattile che evidenzia la volontà dell’artista di liberarsi dall’oggetto reale per creare un nuovo alfabeto pittorico. Penetrare l’intima essenza del mondo è il fine ultimo del processo creativo di questo artista che non organizza il lavoro secondo un progetto, ma segue il divampare del gesto e la trasformazione della materia. L’opera non nasce da un’idea precostituita, ma scaturisce dall’azione e dalla accortezza attiva dell’artista che, facendo affiorare l’originaria carica pittorica attraverso lacerazioni provocate da autentiche bruciature, abrasioni e squarci, interrompe la linearità della visione e conduce a una nuova dimensione. Gisone riesce a creare una equivalenza intrigante tra superficie e profondità in modo da ottenere una pulsazione che va oltre il piano della tela e la percezione oculare, raggiungendo conformazioni emozionali e psichiche. I suoi quadri sono superfici sensibili, sono luoghi rivelatori di eventi nascenti, di affioramenti e sprofondamenti, di avvicinamenti e allontanamenti, di fughe e di ritorni. L’universo dell’artista è un universo riflessivo ed è al tempo stesso manifestazione dell’inconscio e situazione momentanea della coscienza. I segni grafici frammentati, che affiorano attraverso le lacerazioni slabbrate portate con forza e volontà plastica sullo spazio piano, si ripetono lungo tutto il ciclo delle opere ed assumono una precisa funzione espressiva, presentandosi con una evidente spontaneità, come libera manifestazione di una grammatica in parte automatica e pur sempre sofferta. Segni scarnificati, segni emergenti, appaiono provenienti dalla penombra di uno spazio che sta al di là della superficie quasi a qualificarne sostanza e precarietà e a definire un significato insieme allusivo e spirituale. Quel che traspare nei suoi quadri è il segno di un passaggio, di una trasformazione della materia. La pittura diventa spazio della memoria, sussulto per l’incontro con qualcosa di conosciuto. Un’idea materialistica dell’arte presiede all’opera di Gisone, una laboriosità che si fonde con la sperimentazione e non si disgiunge dall’arrovellamento, dal voler afferrare il senso profondo dello scorrere del tempo, carpire i segni che lascia nell’anima, nella memoria, nello spazio che ci circonda. I segni insistenti e minuziosi che si intrecciano e si aggrovigliano, l’alternarsi di luce e di ombra, le pause dei pieni e dei vuoti si mettono tra l’artista e la sua vita, a creare un nesso tra creazione dell’opera e propria identità. L’immagine che caratterizza i quadri di Gisone è di fatto un prodotto dell’attività immaginativa dell’inconscio che si manifesta in maniera più o meno improvvisa, nel dedalo delle prigioni individuali, alla ricerca di spazi ulteriori.
Francesco Gallo
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza, per portarla ad assumere le rattezze di un linguaggio di attraversamento che ne modifica in maniera irreversibile la condizione originaria portando da una verginità ad una maculazione, con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazione del tessuto, come effetto del trauma. I riferimenti a Fontana e Burri, maestri della fornicazione con il nulla e il degrado della materia, si impastano con quelli di Castellani e Colombo, maestri nel trattamento delle traversie della luce e si configurano come vere fonti storiche di macchinazione nei confronti di superfici levigate, che vengono trattate con la vigorosa azione dello scultore, del modificatore di effetti plastici. Gisone ottiene così effetti di moltiplicazione sensuale dell’immagine oltrepassando i limiti della bellezza, come concreta affermazione del qui e ora, per transitare nell’effetto del sublime come astratta posizione cinetica. Le composizioni sono delle singolarità celibi che non possono aggiungere posizione a posizione, ma si ergono come icone inaccessibili e si prestano solo ad una sospensione del giudizio estetico, che viene comunque chiamato in causa dagli effetti di levigazione che le immagini proiettano, come fossero degli specchi che possono diventare ora, quieti assertori dell’immagine una, ora momenti ustori di una bellicità tra l’assenza e la presenza. Il ciclo di rimandi è sempre il medesimo, ma sempre in divenire nella dialettica di opera e spettatore.
07
febbraio 2009
Gaspare Gisone – … oltre la materia …
Dal 07 febbraio all'undici aprile 2009
arte contemporanea
Location
CONARTE
Savona, Via Giuseppe Brignoni, 26r, (Savona)
Savona, Via Giuseppe Brignoni, 26r, (Savona)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 9,30 - 12,30 / 15,30 - 19,30 chiuso il lunedì e la domenica
Vernissage
7 Febbraio 2009, ore 17,00
Autore