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Gaspare Sicula – Broccati e brocchiglie
In questa mostra, che vede la musica di Donatello co-protagonista, il tema rimanda all’assonanza tra brocca e conchiglia.
Comunicato stampa
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BROCCATI E BROCCHIGLIE
Ho pensato di chiamare così la mostra perché mi piaceva l’assonanza tra le due parole che poi hanno formato il titolo: Broccati e brocchiglie (la seconda costituita a sua volta da brocca e conchiglia). Chiamo adesso broccato ciò che tempo fa chiamavo tela, perché quest’ultima, allora, rientrava nel rapporto che a quel tempo mi premeva parecchio tra finzione e realtà; nel gioco serissimo tra pittura e realtà. Qual era più vera la tela tessuta o la tela dipinta? “ E’ più vera la tela vera o la tela dipinta? This is the question!” continuavo a chiedermi allora. Ora, con alcuni dei dubbi a quel tempo presenti acchetati, messi in sordina da qualche anno in più sul groppone, con gli angoli già arrotondati dalla soglia dei cinquant’anni e ulteriormente smussati dai quattro che ad essa si sono aggiunti, mi chiedo, sfiorando con la mano la tela dipinta, se questa, in fin dei conti, con meno filosofia e più concretezza, non possa essere definita, con le sue belle brocchiglie dorate, l’erba e gli alberi dei paesaggi adagiati sopra i fili o intersecati ad essi, un fine e rilucente broccato. E se le brocchiglie – in questa mostra che vede la musica co-protagonista – allargando e riducendo i fori della trama che ad ognuna danno un suono tutto proprio, non possano diventare uno straordinario strumento musicale dipinto. Non è un’interpretazione più leggera, è una modificazione, un cambiamento che il tempo, a volte, gratuitamente concede. Il cambiamento è un’arma assai efficace per rimanere costantemente all’erta, combattere la prevedibilità e la noia, accaparrarsi la conoscenza.
Quale superba musica se non quella di Donatello per le conchiglie, i broccati e le brocchiglie? Ha una vasta gamma di sfumature la sua musica, dai grandi numeri e dalla dilatazione del tempo geologico arriva ad un’energia intensissima, tutta concentrata in un’emozione fulminea. Nel video (è d’uopo tessere le lodi ad Amilcare Fossati per il montaggio), c’è acqua; tanta. Salata e dolce, vorticosa oppure calma, lontana, lontanissima, imminente, acqua di nebbia leggera o copiosa di pioggia torrenziale. La cui presenza più che da vedere è da dedurre: dagli alberi che ondeggiano deformati sui vetri di vecchie finestre, dalle luminescenze su una porta di vetro martellato, dai riflessi e dalle ombre sui muri di gesso, dagli arcipelaghi di lampade spente e dai frutti seduti, platea di un’altra era. Scende dagli scalini bui l’acqua e muove la musica; fa dondolare una ciotola in prossimità del bordo di un lungo tavolo, poi si ferma negli occhi glauchi di un gatto. Piovono gocce fossili stasera! I vagoni del treno sono pieni d’acqua. L’acqua è ovunque, la pittura è tutto, la musica è dappertutto.
Seguono alcuni brani tratti dai testi di presentazione alle mostre che a partire dal 1989 ho fatto sulle conchiglie-brocchiglie.
Verso la fine dell’anno 1988 ricominciai a dipingere Arance Azzurre. Ma non solo. Ancora arance su cui si riversarono tutti i colori della tavolozza, e che così variopinte si presentarono in tacita compagnia su tavole molto più lunghe che alte. Tutte, alcune sommesse, altre solenni, ordinate in fila con alle spalle il vuoto o il pieno totale che precludeva qualsiasi intrusione più o meno cosciente.
In due o tre dipinti, dietro le arance, quasi nascosto, intravidi allora quel muoversi indeciso e indistinto che di lì a poco avrei cominciato ad individuare meglio nell’aria, dapprima in modo ancora confuso, in seguito con i contorni sempre più marcati e puliti, bianchi e lucidi. Con una scultura quasi perfetta dal valore inestimabile, dai colori sempre uguali e sempre diversi come quelli della terra, intravidi anche le mie mani, frenetiche, a tentare di inseguirla ed acchiapparla. Un oggetto, una carezza, una casa. Una forma perfettamente compiuta, completa, indipendente, un libro aperto, un delicato e mutevole aggregato di volute eccelse. Un contenitore di speranze. Un bene culturale, una goccia fossile, la musica del mare. Dopo essersi fatta presente e aver preso consistenza potei vederla, ben disegnata e a tutto tondo: la conchiglia con i manici…
…Così, dopo non molto (giugno ’89, n.d.a.), quel bel giorno della conquista venne: "Eureka! Ho trovato ciò che manca! L’ho trovato! Era ora, finalmente! Devo possedere pienamente, devo tessere, fare mio prima di tutto il supporto su cui sto dipingendo. L’esperienza di vita su cui la pittura si sta dipingendo".
Dipinsi una tela sulla tela. Cominciai ad intrecciare pennellata con pennellata…Lì, iniziai un nuovo, grande viaggio fatto di conchiglie, uccelli, alberi, paesaggi, barche, conchiglie che diventavano uccelli, donne in balìa alle onde o ferme a guardarle. Tante conchiglie come una pagina scritta. Tante conchiglie come un alfabeto. Conchiglie d’aria, di terra, di mare…In alcuni quadri mi adagiai facendo perdere, cosa che a volte mi piace tanto fare, la mia mano nei capelli, nella pelle di una donna, in un panneggio che ne copriva a metà la bellezza nella bassa luce notturna. Dopo, disincantati paesaggi fuori dal tempo, fuori dal mondo, fuori da ogni stagione. Di esclusiva proprietà di una tela dipinta che era di proprietà di una tela che a sua volta era di proprietà di un telaio, che sarebbe stato di proprietà delle mie mani prima, di un muro poi. Ecco, se l’astrazione ho sfiorato qualche volta, se correndo l’ho toccata, procurando scintille come quelle suscitate da un ferro e un sasso che si urtano a gran velocità, una delle massime scintille è venuta fuori proprio in quei paesaggi…Poi le conchiglie si fecero di tela, di tessuto rosso e bianco. Un drappo raggomitolato assunse l’aspetto di una conchiglia, un nautilus, dispiegato, si mutò in nudo rosso. Infine, un filo attorcigliato di un drappo con intenti compositivi di forma e movimento, ingrassamenti e dimagramenti compresi e calcolati, peso ed equilibrio affidati a leggere accentuazioni di colore. Quindi una certezza: che il Barocco e l’Astratto, respingendosi, finivano per somigliarsi in una obiettiva sovrabbondanza da una parte e in una evidente carenza dall’altra. Perciò si toccavano, come due estremità di un unico filo chiuso ad anello. Ma era giusto, parlando di una parte notevole della pittura di quel periodo, prendere a prestito la metafora di un filo? Poteva essere possibile, e se sì, era sì facile e docile individuare un filo con più di due estremità? Mi veniva in mente, piuttosto, un abbraccio. Ma un abbraccio così forte da risultare inattaccabile, inespugnabile dal tutto in più e dal nulla. Con queste interrogazioni si chiuse quell’anno. In mezzo ai gatti che miagolavano nel mio studio, in una tela iniziata qualche tempo prima, piaceri di mano e di pennelli. Tra toni neutri e campiture limpide, tra un busto con un sorriso in superficie, ma per me fondamentalmente assorto, e un gatto timoroso che con un guizzo si voltava a guardarmi, il bisogno di dipingere un quadro in ogni sua parte: davanti, dietro, nei lati, sopra, sotto, prima e dopo.
Perché Tela dipinta su tela, tela su tela dipinta? Non è un gioco di parole ma un importante punto di arrivo. In questi quadri non c’è più confine tra natura e pittura. Non è più possibile stabilire se è il supporto di tela a sostenere la tela dipinta, o viceversa quest’ultima a far da supporto alla realtà; oppure se nello stesso tempo realtà e finzione (ma è più vera la realtà della natura o quella della pittura? Delle due quale è realtà e quale finzione?) tengono e sono tenute. Pittura e natura si sommano, si fondono. Vivono in un continuo capovolgimento dei ruoli…
…L’emersione improvvisa della brocchiglia da un campo colorato è un canto ammaliatore di Sirena, un fruscio di paglia, un orizzonte rosa, un dubbio venuto giù. Un rosso che si ritrae su un nero che ciondola. Due rettangoli di tela separati, uniti dal buio perspicace conoscitore di un connotato che è cambiato. Le gocce fossili, adesso patinate di un bel giallo dorato, hanno il loro spazio, finalmente. Chiuso o aperto poco importa, tanto non lo portano indietro. Contenendolo nel minuscolo, lo avvolgono e rimangono ferme lì a respirarlo. Invece, riportano quel che resta di un guardar dell’uno nelle altre in una spirale sonora allungata: il crescendo di un sospiro. Di contro, una nota bassa stenta a capire che allontanarsi non è come aspettare il primo quadro, consumato dagli sforzi compiuti per affermare che è ancora il caso di dipingere uno spazio. Tutto questo accade includendo preziosa conoscenza aspirata da un impegno improvviso quanto esaltante. Come una luce chiarissima che riesce, sia pure per poco, ad illuminare un giorno di tempesta squarciando un cielo scuro con una saetta che appare, su una strada che immaginiamo già tracciata, e in un rotolante affermativo borbottio scompare. Collane di tanti fili e tanta storia si svolgono su riverberi frontali e si appiattiscono per riemergere sempre più vere; proprio come se si trovassero davanti all’artefice che da sempre sogna di dar forma a un pensiero prezioso cantando in coro con le gocce del mare.
Quello che poi diventa un duetto accorato, si avvia all’innumerevole proliferazione di strisce che nutrono un colore intrinseco, proiettandolo poi in un filo con una pallina in fondo.
La pallina è un punto, e da questo punto ricomincia a girare in tondo ogni direzione.
G.S.
Ho pensato di chiamare così la mostra perché mi piaceva l’assonanza tra le due parole che poi hanno formato il titolo: Broccati e brocchiglie (la seconda costituita a sua volta da brocca e conchiglia). Chiamo adesso broccato ciò che tempo fa chiamavo tela, perché quest’ultima, allora, rientrava nel rapporto che a quel tempo mi premeva parecchio tra finzione e realtà; nel gioco serissimo tra pittura e realtà. Qual era più vera la tela tessuta o la tela dipinta? “ E’ più vera la tela vera o la tela dipinta? This is the question!” continuavo a chiedermi allora. Ora, con alcuni dei dubbi a quel tempo presenti acchetati, messi in sordina da qualche anno in più sul groppone, con gli angoli già arrotondati dalla soglia dei cinquant’anni e ulteriormente smussati dai quattro che ad essa si sono aggiunti, mi chiedo, sfiorando con la mano la tela dipinta, se questa, in fin dei conti, con meno filosofia e più concretezza, non possa essere definita, con le sue belle brocchiglie dorate, l’erba e gli alberi dei paesaggi adagiati sopra i fili o intersecati ad essi, un fine e rilucente broccato. E se le brocchiglie – in questa mostra che vede la musica co-protagonista – allargando e riducendo i fori della trama che ad ognuna danno un suono tutto proprio, non possano diventare uno straordinario strumento musicale dipinto. Non è un’interpretazione più leggera, è una modificazione, un cambiamento che il tempo, a volte, gratuitamente concede. Il cambiamento è un’arma assai efficace per rimanere costantemente all’erta, combattere la prevedibilità e la noia, accaparrarsi la conoscenza.
Quale superba musica se non quella di Donatello per le conchiglie, i broccati e le brocchiglie? Ha una vasta gamma di sfumature la sua musica, dai grandi numeri e dalla dilatazione del tempo geologico arriva ad un’energia intensissima, tutta concentrata in un’emozione fulminea. Nel video (è d’uopo tessere le lodi ad Amilcare Fossati per il montaggio), c’è acqua; tanta. Salata e dolce, vorticosa oppure calma, lontana, lontanissima, imminente, acqua di nebbia leggera o copiosa di pioggia torrenziale. La cui presenza più che da vedere è da dedurre: dagli alberi che ondeggiano deformati sui vetri di vecchie finestre, dalle luminescenze su una porta di vetro martellato, dai riflessi e dalle ombre sui muri di gesso, dagli arcipelaghi di lampade spente e dai frutti seduti, platea di un’altra era. Scende dagli scalini bui l’acqua e muove la musica; fa dondolare una ciotola in prossimità del bordo di un lungo tavolo, poi si ferma negli occhi glauchi di un gatto. Piovono gocce fossili stasera! I vagoni del treno sono pieni d’acqua. L’acqua è ovunque, la pittura è tutto, la musica è dappertutto.
Seguono alcuni brani tratti dai testi di presentazione alle mostre che a partire dal 1989 ho fatto sulle conchiglie-brocchiglie.
Verso la fine dell’anno 1988 ricominciai a dipingere Arance Azzurre. Ma non solo. Ancora arance su cui si riversarono tutti i colori della tavolozza, e che così variopinte si presentarono in tacita compagnia su tavole molto più lunghe che alte. Tutte, alcune sommesse, altre solenni, ordinate in fila con alle spalle il vuoto o il pieno totale che precludeva qualsiasi intrusione più o meno cosciente.
In due o tre dipinti, dietro le arance, quasi nascosto, intravidi allora quel muoversi indeciso e indistinto che di lì a poco avrei cominciato ad individuare meglio nell’aria, dapprima in modo ancora confuso, in seguito con i contorni sempre più marcati e puliti, bianchi e lucidi. Con una scultura quasi perfetta dal valore inestimabile, dai colori sempre uguali e sempre diversi come quelli della terra, intravidi anche le mie mani, frenetiche, a tentare di inseguirla ed acchiapparla. Un oggetto, una carezza, una casa. Una forma perfettamente compiuta, completa, indipendente, un libro aperto, un delicato e mutevole aggregato di volute eccelse. Un contenitore di speranze. Un bene culturale, una goccia fossile, la musica del mare. Dopo essersi fatta presente e aver preso consistenza potei vederla, ben disegnata e a tutto tondo: la conchiglia con i manici…
…Così, dopo non molto (giugno ’89, n.d.a.), quel bel giorno della conquista venne: "Eureka! Ho trovato ciò che manca! L’ho trovato! Era ora, finalmente! Devo possedere pienamente, devo tessere, fare mio prima di tutto il supporto su cui sto dipingendo. L’esperienza di vita su cui la pittura si sta dipingendo".
Dipinsi una tela sulla tela. Cominciai ad intrecciare pennellata con pennellata…Lì, iniziai un nuovo, grande viaggio fatto di conchiglie, uccelli, alberi, paesaggi, barche, conchiglie che diventavano uccelli, donne in balìa alle onde o ferme a guardarle. Tante conchiglie come una pagina scritta. Tante conchiglie come un alfabeto. Conchiglie d’aria, di terra, di mare…In alcuni quadri mi adagiai facendo perdere, cosa che a volte mi piace tanto fare, la mia mano nei capelli, nella pelle di una donna, in un panneggio che ne copriva a metà la bellezza nella bassa luce notturna. Dopo, disincantati paesaggi fuori dal tempo, fuori dal mondo, fuori da ogni stagione. Di esclusiva proprietà di una tela dipinta che era di proprietà di una tela che a sua volta era di proprietà di un telaio, che sarebbe stato di proprietà delle mie mani prima, di un muro poi. Ecco, se l’astrazione ho sfiorato qualche volta, se correndo l’ho toccata, procurando scintille come quelle suscitate da un ferro e un sasso che si urtano a gran velocità, una delle massime scintille è venuta fuori proprio in quei paesaggi…Poi le conchiglie si fecero di tela, di tessuto rosso e bianco. Un drappo raggomitolato assunse l’aspetto di una conchiglia, un nautilus, dispiegato, si mutò in nudo rosso. Infine, un filo attorcigliato di un drappo con intenti compositivi di forma e movimento, ingrassamenti e dimagramenti compresi e calcolati, peso ed equilibrio affidati a leggere accentuazioni di colore. Quindi una certezza: che il Barocco e l’Astratto, respingendosi, finivano per somigliarsi in una obiettiva sovrabbondanza da una parte e in una evidente carenza dall’altra. Perciò si toccavano, come due estremità di un unico filo chiuso ad anello. Ma era giusto, parlando di una parte notevole della pittura di quel periodo, prendere a prestito la metafora di un filo? Poteva essere possibile, e se sì, era sì facile e docile individuare un filo con più di due estremità? Mi veniva in mente, piuttosto, un abbraccio. Ma un abbraccio così forte da risultare inattaccabile, inespugnabile dal tutto in più e dal nulla. Con queste interrogazioni si chiuse quell’anno. In mezzo ai gatti che miagolavano nel mio studio, in una tela iniziata qualche tempo prima, piaceri di mano e di pennelli. Tra toni neutri e campiture limpide, tra un busto con un sorriso in superficie, ma per me fondamentalmente assorto, e un gatto timoroso che con un guizzo si voltava a guardarmi, il bisogno di dipingere un quadro in ogni sua parte: davanti, dietro, nei lati, sopra, sotto, prima e dopo.
Perché Tela dipinta su tela, tela su tela dipinta? Non è un gioco di parole ma un importante punto di arrivo. In questi quadri non c’è più confine tra natura e pittura. Non è più possibile stabilire se è il supporto di tela a sostenere la tela dipinta, o viceversa quest’ultima a far da supporto alla realtà; oppure se nello stesso tempo realtà e finzione (ma è più vera la realtà della natura o quella della pittura? Delle due quale è realtà e quale finzione?) tengono e sono tenute. Pittura e natura si sommano, si fondono. Vivono in un continuo capovolgimento dei ruoli…
…L’emersione improvvisa della brocchiglia da un campo colorato è un canto ammaliatore di Sirena, un fruscio di paglia, un orizzonte rosa, un dubbio venuto giù. Un rosso che si ritrae su un nero che ciondola. Due rettangoli di tela separati, uniti dal buio perspicace conoscitore di un connotato che è cambiato. Le gocce fossili, adesso patinate di un bel giallo dorato, hanno il loro spazio, finalmente. Chiuso o aperto poco importa, tanto non lo portano indietro. Contenendolo nel minuscolo, lo avvolgono e rimangono ferme lì a respirarlo. Invece, riportano quel che resta di un guardar dell’uno nelle altre in una spirale sonora allungata: il crescendo di un sospiro. Di contro, una nota bassa stenta a capire che allontanarsi non è come aspettare il primo quadro, consumato dagli sforzi compiuti per affermare che è ancora il caso di dipingere uno spazio. Tutto questo accade includendo preziosa conoscenza aspirata da un impegno improvviso quanto esaltante. Come una luce chiarissima che riesce, sia pure per poco, ad illuminare un giorno di tempesta squarciando un cielo scuro con una saetta che appare, su una strada che immaginiamo già tracciata, e in un rotolante affermativo borbottio scompare. Collane di tanti fili e tanta storia si svolgono su riverberi frontali e si appiattiscono per riemergere sempre più vere; proprio come se si trovassero davanti all’artefice che da sempre sogna di dar forma a un pensiero prezioso cantando in coro con le gocce del mare.
Quello che poi diventa un duetto accorato, si avvia all’innumerevole proliferazione di strisce che nutrono un colore intrinseco, proiettandolo poi in un filo con una pallina in fondo.
La pallina è un punto, e da questo punto ricomincia a girare in tondo ogni direzione.
G.S.
06
dicembre 2008
Gaspare Sicula – Broccati e brocchiglie
Dal 06 dicembre 2008 al 04 gennaio 2009
arte contemporanea
Location
TEATRO CIVICO
Tortona, Via Ammiraglio Mirabello, 3, (Alessandria)
Tortona, Via Ammiraglio Mirabello, 3, (Alessandria)
Orario di apertura
Feriali 16-19,30 festivi 10,30-12,30/15,30-19,30
Chiuso: lunedì non festivo, 25 dicembre, 1 gennaio
Vernissage
6 Dicembre 2008, ore 18
Sito web
www.sicula.com
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