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Gaspare Sicula – Dipinti e sculture 1984-2007
La mostra illustra un percorso artistico lungo 24 anni attraverso la pittura e la scultura
Comunicato stampa
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Mi sono stabilito a Tortona verso la fine del 1983. Qui ho ricominciato a dipingere dopo alcuni anni di pausa. Questa mostra illustra un percorso artistico lungo 24 anni, parla quindi del lavoro di pittore e scultore che a Tortona ho svolto, in quattro differenti studi, dal 1984 ad oggi. Non comprende tutti i cicli pittorici e plastici di cui mi sono occupato, per la loro quantità e varietà è un po’ difficile metterli insieme tutti quanti. È però una parte rappresentativa attraverso la quale è possibile avere un’idea abbastanza precisa dell’inesauribile avvicendamento di tecniche, stili e cicli di opere. Alcuni quadri che ho dipinto in questo lungo periodo li ho rifatti negli ultimi mesi su pluriball. Primo perché il colore su un materiale inusuale e una dimensione considerevole si comporta in un modo nuovo, imprevedibile e perciò stimolante, poi perché non è una mostra per archiviare e allontanare ciò che ho fatto gli anni scorsi ma per renderlo quanto mai attuale. Pubblico di seguito parti dei testi che di volta in volta hanno accompagnato le esposizioni.
NATURA VIVA. Indendevo affidare tanta parte della potenza del quadro ai drappi involti, i quali non dovevano assolutamente risultare barocchi e perciò "stucchevoli" nell’articolazione delle profonde luci ed ombre, ma esistenziali nell’andamento di una morfologia dinamica e corrosiva dello spazio aggrovigliato racchiuso tra le pieghe: a queste ultime affidavo la forza sferzante del ghibli che dalle dune di un deserto rovente si spingeva sin qui…I dipinti dovevano continuare a vivere sui muri nei quali venivano posti. Facendoli parlare, i muri, e partecipare al sogno, spettatore attento e necessario alla conoscenza. Dovevano rimanere per l’eternità viventi questi monumenti alla frutta. Rinnovandosi continuamente, sempre coscienti di essere viventi; nell’ordinaria e stupefacente mutevolezza della natura.Viva…
ARANCIA AZZURRA. Nel marzo del 1987, in uno degli angoli di un quadro che ha per nome – affiancato da un colore che ne muta la sostanza – il nome del frutto che prima di allora, col colore ancora "naturale" originario, aveva occupato una parte, se non proprio marginale, certamente non predominante nel mio lavoro, nacque l’elemento fondamentale di quello che nei mesi a venire sarebbe diventato un importante e impegnativo ciclo pittorico e, più in là, anche scultoreo…In quella fase del mio lavoro intensa e fortificante, cospicua per qualità e per quantità di quadri, in cui videro la luce anche le Isole (barche che stanche di viaggiare mettevano radici sull’acqua e diventavano, appunto, isole), i Frutti Passi (quale goduria dipingere quei frutti, mele e pere, che giorno dopo giorno anziché marcire diventavano pittoricamente sempre più commestibili accartocciandosi, richiudendosi in se stessi e cambiando continuamente forma e colore), nacque, quindi, Arancia Azzurra. L’anno prima, l’86, era stata la volta dei Gatti, del magnifico incontro ravvicinato, quotidiano in una lunga, bellissima, indimenticabile estate, coi miei Maestri…Capii quindi che con Arancia Azzurra era nato un concetto pittorico che avrebbe modificato il mio modo di pensare e di vedere. Proprio perché l’arancia identifica e può essere identificata dal suo stesso colore, dalla superficie alle più profonde viscere, diventa un’altra cosa quando al nome-colore iniziale si affianca e sovrappone un altro particolare colore, ma non può essere quest’altra cosa se al contempo non continua ad essere quello che era. Arancia Azzurra è nello stesso momento quello che era e quello che è. E’ fatta di due colori complementari e quindi totalmente diversi. E’ lei e il suo opposto. Arancia Azzurra è la simultaneità degli opposti…
LA MEMORIA DEL MARE (I frutti appassiti) …Quelle mele e due-tre pere le avevo comperate verso la fine dell ’86 in un negozio poco distante dal mio studio. Minuscole, tanto che alcune mi sembravano prive di polpa, tutte torsoli con la buccia, gialle e rosse con delle macchie qua e là dovute agli insetti, qualche cicatrice, giochi di luce impreziositi da pieghe più o meno profonde…Vennero alla luce come stupenda materia prima pittorica, dopo avere accusato i primi, evidenti segni di stanchezza caratterizzati da una lenta ma progressiva mummificazione, dal raggrinzirsi della buccia che a poco a poco cambiava colore e in alcuni punti perdeva consistenza. C’erano persino, tra la base delle mele, man mano sempre più appiattita e appiccicosa, e il tavolo, quei mucchietti, come di terra triturata, che si trovano davanti ai buchi attraverso cui formiche dalla volontà di ferro fanno i loro inarrestabili andirivieni. Ma, come se, contente di farlo, si fossero sacrificate per la mia felicità, si presentarono a me in tutta la loro (vitale!), smagliante, appassita bellezza…
L’ISOLA …Barche, barche consumate, appunto, dai viaggi, inzuppate di mare, vissute e strizzate come vecchie spugne: stanche di viaggiare. Che potevano riprendere ad esplorare luoghi acuminati o solitari, a vivere in nuovi luoghi d’acqua, vicini al mare neanche tanto, lontani non più del necessario. Albero del mare, rullante ebbrezza di salsedine respirata calpestando un cimelio paludoso dopo l’altro; cartoline di tramonti veneti bruciate e adombrate dal sole, secche alghe di fondi di battigia o di sabbia calda di scirocco e mummie di cani sulla spiaggia; e mosche, mosche più mosche, e caldo; dipinsi e disegnai cani e denti, e variopinte colature di peli di cane con pennelli di peli di bue con le mani forzute dei vent’anni, a piedi scalzi sulla spiaggia grande perché vuota, piena di leggere radici di canne e di vocianti gabbiani, avvoltoi di un deserto di sale candeggiato.
L’OPERA DEI PUPI, CACTUS …Tra il luccichio delle armature e l’opulenza dei broccati delle dame, scanditi dal coordinato calpestio dei piedi “d’attore di passi e di voci”, di vocianti passi, di variopinte voci, tra i combattimenti, gli incontri, le trame di corte e l’eroismo dei duellanti contendenti elargito a pieni pugni e senza freni, ma con fori e fili, i tradimenti e le scenografie che srotolandosi davano agio a mille sogni ancora da costruire, c’era un altro posto dove, qualche anno dopo, andavo a vedere l’Opera dei Pupi…Da Tortona nell’88 feci diventare un ficodindia Cactus. Cactus poi, a se stesso, diede il ruolo di attore e recitò delle storie; quelle stesse storie che qualche volta vidi pittare, con le terre, sulle sponde dei carretti. Anch’io sono un pittore di storie. Ne ho tante da raccontare e mi manca il tempo per farlo. Vorrei nascere di nuovo. Per ricominciare e portare a compimento (forse), con l’ardore scattante della giovinezza, quello che mai in una sola vita riuscirò a sospendere dal mondo diafano delle idee.
LE CONCHIGLIE. Verso la fine dell’anno 1988 ricominciai a dipingere Arance Azzurre…In due o tre dipinti, dietro le arance, quasi nascosto, intravidi allora quel muoversi indeciso e indistinto che di lì a poco avrei cominciato a individuare meglio nell’aria, dapprima in modo ancora confuso, in seguito con i contorni sempre più marcati e puliti, bianchi e lucidi. Con una scultura quasi perfetta dal valore inestimabile, dai colori sempre uguali e sempre diversi come quelli della terra, intravidi anche le mie mani, frenetiche, a tentare di inseguirla ed acchiapparla. Un oggetto, una carezza, una casa. Una forma perfettamente compiuta, completa, indipendente, un libro aperto, più che un delicato e mutevole aggregato di volute eccelse. Un contenitore di speranze. Un bene culturale, una goccia fossile, la musica del mare. Dopo essersi fatta presente e aver preso consistenza, potei vederla a tutto tondo. Di un tondo particolare, a spirale o a raggiera e perciò senza principio né fine: la conchiglia con i manici…Così, dopo non molto, quel bel giorno della conquista venne: "Eureka! Ho trovato ciò che manca! L’ho trovato! Era ora, finalmente! Devo possedere pienamente, devo tessere, fare mio prima di tutto il supporto su cui sto dipingendo. L’esperienza di vita su cui la pittura si sta dipingendo". Dipinsi una tela sulla tela. Cominciai ad intrecciare pennellata con pennellata…Lì, iniziai un nuovo, grande viaggio fatto di conchiglie, uccelli, alberi, paesaggi, barche, conchiglie che diventavano uccelli, donne in balìa alle onde o ferme a guardarle. Tante conchiglie come una pagina scritta. Tante conchiglie come un alfabeto. Conchiglie d’aria, di terra, di mare…
ONDE E CAVALLI A DONDOLO …Le sollecitazioni a cui oggi siamo sottoposti sono di gran lunga superiori a quelle che ci servono. Sono troppe e, oltretutto, difficilmente assimilabili perché tanto veloci da inibire ogni capacità di analizzarle anche a livello inconscio. Analisi, si badi bene, come valutazione e non come tagliuzzamento…Si può tentare di assorbire la superpregnanza di questa straboccante realtà e diventare matti o prenderla di petto e uscirne a pezzi. Si può far finta di niente con la ripetizione continua della stessa pittura monotona e falsa e diventare stupidi. Si può effettuare un salvataggio all’ultimo momento chiudendosi in totale solitudine, facendo magari grande pittura autocelebrativa. Salvezza apparente per la nostra superbia, ma neanche questa per il nostro coraggio costretto a chinarsi davanti all’arrendevolezza o peggio a soccombere sotto il peso della vigliaccheria. Si può dipingere un dondolo, fermo da poco o prima che incominci a muoversi.
FELISCATUS …Un quaderno sul quale – le tavole usate – nell’arco di quattro anni, ogni tanto, quando l’irrefrenabile urgenza travolgeva ogni argine, ho scritto qualcosa di breve e assoluto. Proprio così, autoritratti; semplicemente. Un forte e costante sentimento, con brividi di alta emozione dal primo pelo all’ultimo, mai un attimo di noia dalla prima all’ultima pennellata; dal grido d’inizio all’estasi del sibilo finale che faceva seguito alla firma che mancava…
DRACULA. Nel pieno contorno di un baleno sostava, sospeso, tra un volo e l’altro, alla luce della luna; spiegava le grandi ali innervate, traslucide a tratti, ricche di storie conosciute e vere, ondeggianti nel mare aperto del suo lungo e lento andare per ogni dove; ali disegnate dagli angoli e dagli spigoli di un guaito notturno a dismisura allargato, dolcemente posato sull’era terrosa di un luogo molto lontano; ali che qualche volta hanno racchiuso un pianto; più spesso un sorriso felice, increspato tra le pieghe dell’ordine delle cose che sempre si aprono sopra le ingiunzioni; ali che agganciano e lasciano cadere dall’alto, per romperle, le vuote promesse, le verità maldestre, le impalcature - perché tali - ritenute costruttive e, alla fine, per l’accomodamento di un pensiero pigro, viste e usate come ineluttabili canoni contro ogni volere, anche nella verità della pittura…
ERCOLE, AMLETO E DON CHISCIOTTE …In questo quadro c’è tutto: il mito, lo sfarfallio delle voci della natura, i riccioli degli acuti alla luna di vetro graffiato, il salto a piè pari, l’isola del tesoro in costume da bagno a righe orizzontali "accarpate" e non, sul davanzale o al di fuori; c’è il massacro e la non-morte della pittura tutta, della letteratura che scrive per sé il doppio di ciò che non lo è, il bianco lamento della sua storia sanguinante e stagnante, nella calma apparente e turgida, nella perenne nenia, nella luce affettata sempre irrimediabilmente assente…
DON CHISCIOTTE E DULCINEA. Questo è Don Chisciotte e lei è Dulcinea. Tutt’e due sono fatti di arsa terra d’Esperia, di puntuti picchi iberici, di acqua e venti atlantici. Sono fatti di carta di Picasso, di cavalletti di disa dentata e tagliente, di flamenco e di porto, sangue di toro e carminio d’arena. Di tutta la Spagna che è, e sempre sarà, nel mio sangue. Del cielo azzurro sulle brulle colline siciliane, delle due di pomeriggio e delle pellicole feline. Ah, quel periplo, quella gola che bacia la “mia Africa” che, pur essendo prossima e dirimpettaia, mani delle mie mani, non ho mai visto, proprio come quel topo che un giorno di un’altra vita mangiò tutte quelle pere e mele vizze, che perciò, in altri anni, posi a tenere la faccia di Head: piccolo topo con la forza di un intero continente…Infine e soprattutto il vuoto. Il vuoto, tra pilastro e pilastro. Il vuoto che, in positivo, ha i connotati di tutto. Il vuoto in volo, giù dalla montagna verso il mare. Questo è Don Chisciotte, lei è Dulcinea. G.S.
Web: www.sicula.com E-mail: feliscatus@sicula.com
NATURA VIVA. Indendevo affidare tanta parte della potenza del quadro ai drappi involti, i quali non dovevano assolutamente risultare barocchi e perciò "stucchevoli" nell’articolazione delle profonde luci ed ombre, ma esistenziali nell’andamento di una morfologia dinamica e corrosiva dello spazio aggrovigliato racchiuso tra le pieghe: a queste ultime affidavo la forza sferzante del ghibli che dalle dune di un deserto rovente si spingeva sin qui…I dipinti dovevano continuare a vivere sui muri nei quali venivano posti. Facendoli parlare, i muri, e partecipare al sogno, spettatore attento e necessario alla conoscenza. Dovevano rimanere per l’eternità viventi questi monumenti alla frutta. Rinnovandosi continuamente, sempre coscienti di essere viventi; nell’ordinaria e stupefacente mutevolezza della natura.Viva…
ARANCIA AZZURRA. Nel marzo del 1987, in uno degli angoli di un quadro che ha per nome – affiancato da un colore che ne muta la sostanza – il nome del frutto che prima di allora, col colore ancora "naturale" originario, aveva occupato una parte, se non proprio marginale, certamente non predominante nel mio lavoro, nacque l’elemento fondamentale di quello che nei mesi a venire sarebbe diventato un importante e impegnativo ciclo pittorico e, più in là, anche scultoreo…In quella fase del mio lavoro intensa e fortificante, cospicua per qualità e per quantità di quadri, in cui videro la luce anche le Isole (barche che stanche di viaggiare mettevano radici sull’acqua e diventavano, appunto, isole), i Frutti Passi (quale goduria dipingere quei frutti, mele e pere, che giorno dopo giorno anziché marcire diventavano pittoricamente sempre più commestibili accartocciandosi, richiudendosi in se stessi e cambiando continuamente forma e colore), nacque, quindi, Arancia Azzurra. L’anno prima, l’86, era stata la volta dei Gatti, del magnifico incontro ravvicinato, quotidiano in una lunga, bellissima, indimenticabile estate, coi miei Maestri…Capii quindi che con Arancia Azzurra era nato un concetto pittorico che avrebbe modificato il mio modo di pensare e di vedere. Proprio perché l’arancia identifica e può essere identificata dal suo stesso colore, dalla superficie alle più profonde viscere, diventa un’altra cosa quando al nome-colore iniziale si affianca e sovrappone un altro particolare colore, ma non può essere quest’altra cosa se al contempo non continua ad essere quello che era. Arancia Azzurra è nello stesso momento quello che era e quello che è. E’ fatta di due colori complementari e quindi totalmente diversi. E’ lei e il suo opposto. Arancia Azzurra è la simultaneità degli opposti…
LA MEMORIA DEL MARE (I frutti appassiti) …Quelle mele e due-tre pere le avevo comperate verso la fine dell ’86 in un negozio poco distante dal mio studio. Minuscole, tanto che alcune mi sembravano prive di polpa, tutte torsoli con la buccia, gialle e rosse con delle macchie qua e là dovute agli insetti, qualche cicatrice, giochi di luce impreziositi da pieghe più o meno profonde…Vennero alla luce come stupenda materia prima pittorica, dopo avere accusato i primi, evidenti segni di stanchezza caratterizzati da una lenta ma progressiva mummificazione, dal raggrinzirsi della buccia che a poco a poco cambiava colore e in alcuni punti perdeva consistenza. C’erano persino, tra la base delle mele, man mano sempre più appiattita e appiccicosa, e il tavolo, quei mucchietti, come di terra triturata, che si trovano davanti ai buchi attraverso cui formiche dalla volontà di ferro fanno i loro inarrestabili andirivieni. Ma, come se, contente di farlo, si fossero sacrificate per la mia felicità, si presentarono a me in tutta la loro (vitale!), smagliante, appassita bellezza…
L’ISOLA …Barche, barche consumate, appunto, dai viaggi, inzuppate di mare, vissute e strizzate come vecchie spugne: stanche di viaggiare. Che potevano riprendere ad esplorare luoghi acuminati o solitari, a vivere in nuovi luoghi d’acqua, vicini al mare neanche tanto, lontani non più del necessario. Albero del mare, rullante ebbrezza di salsedine respirata calpestando un cimelio paludoso dopo l’altro; cartoline di tramonti veneti bruciate e adombrate dal sole, secche alghe di fondi di battigia o di sabbia calda di scirocco e mummie di cani sulla spiaggia; e mosche, mosche più mosche, e caldo; dipinsi e disegnai cani e denti, e variopinte colature di peli di cane con pennelli di peli di bue con le mani forzute dei vent’anni, a piedi scalzi sulla spiaggia grande perché vuota, piena di leggere radici di canne e di vocianti gabbiani, avvoltoi di un deserto di sale candeggiato.
L’OPERA DEI PUPI, CACTUS …Tra il luccichio delle armature e l’opulenza dei broccati delle dame, scanditi dal coordinato calpestio dei piedi “d’attore di passi e di voci”, di vocianti passi, di variopinte voci, tra i combattimenti, gli incontri, le trame di corte e l’eroismo dei duellanti contendenti elargito a pieni pugni e senza freni, ma con fori e fili, i tradimenti e le scenografie che srotolandosi davano agio a mille sogni ancora da costruire, c’era un altro posto dove, qualche anno dopo, andavo a vedere l’Opera dei Pupi…Da Tortona nell’88 feci diventare un ficodindia Cactus. Cactus poi, a se stesso, diede il ruolo di attore e recitò delle storie; quelle stesse storie che qualche volta vidi pittare, con le terre, sulle sponde dei carretti. Anch’io sono un pittore di storie. Ne ho tante da raccontare e mi manca il tempo per farlo. Vorrei nascere di nuovo. Per ricominciare e portare a compimento (forse), con l’ardore scattante della giovinezza, quello che mai in una sola vita riuscirò a sospendere dal mondo diafano delle idee.
LE CONCHIGLIE. Verso la fine dell’anno 1988 ricominciai a dipingere Arance Azzurre…In due o tre dipinti, dietro le arance, quasi nascosto, intravidi allora quel muoversi indeciso e indistinto che di lì a poco avrei cominciato a individuare meglio nell’aria, dapprima in modo ancora confuso, in seguito con i contorni sempre più marcati e puliti, bianchi e lucidi. Con una scultura quasi perfetta dal valore inestimabile, dai colori sempre uguali e sempre diversi come quelli della terra, intravidi anche le mie mani, frenetiche, a tentare di inseguirla ed acchiapparla. Un oggetto, una carezza, una casa. Una forma perfettamente compiuta, completa, indipendente, un libro aperto, più che un delicato e mutevole aggregato di volute eccelse. Un contenitore di speranze. Un bene culturale, una goccia fossile, la musica del mare. Dopo essersi fatta presente e aver preso consistenza, potei vederla a tutto tondo. Di un tondo particolare, a spirale o a raggiera e perciò senza principio né fine: la conchiglia con i manici…Così, dopo non molto, quel bel giorno della conquista venne: "Eureka! Ho trovato ciò che manca! L’ho trovato! Era ora, finalmente! Devo possedere pienamente, devo tessere, fare mio prima di tutto il supporto su cui sto dipingendo. L’esperienza di vita su cui la pittura si sta dipingendo". Dipinsi una tela sulla tela. Cominciai ad intrecciare pennellata con pennellata…Lì, iniziai un nuovo, grande viaggio fatto di conchiglie, uccelli, alberi, paesaggi, barche, conchiglie che diventavano uccelli, donne in balìa alle onde o ferme a guardarle. Tante conchiglie come una pagina scritta. Tante conchiglie come un alfabeto. Conchiglie d’aria, di terra, di mare…
ONDE E CAVALLI A DONDOLO …Le sollecitazioni a cui oggi siamo sottoposti sono di gran lunga superiori a quelle che ci servono. Sono troppe e, oltretutto, difficilmente assimilabili perché tanto veloci da inibire ogni capacità di analizzarle anche a livello inconscio. Analisi, si badi bene, come valutazione e non come tagliuzzamento…Si può tentare di assorbire la superpregnanza di questa straboccante realtà e diventare matti o prenderla di petto e uscirne a pezzi. Si può far finta di niente con la ripetizione continua della stessa pittura monotona e falsa e diventare stupidi. Si può effettuare un salvataggio all’ultimo momento chiudendosi in totale solitudine, facendo magari grande pittura autocelebrativa. Salvezza apparente per la nostra superbia, ma neanche questa per il nostro coraggio costretto a chinarsi davanti all’arrendevolezza o peggio a soccombere sotto il peso della vigliaccheria. Si può dipingere un dondolo, fermo da poco o prima che incominci a muoversi.
FELISCATUS …Un quaderno sul quale – le tavole usate – nell’arco di quattro anni, ogni tanto, quando l’irrefrenabile urgenza travolgeva ogni argine, ho scritto qualcosa di breve e assoluto. Proprio così, autoritratti; semplicemente. Un forte e costante sentimento, con brividi di alta emozione dal primo pelo all’ultimo, mai un attimo di noia dalla prima all’ultima pennellata; dal grido d’inizio all’estasi del sibilo finale che faceva seguito alla firma che mancava…
DRACULA. Nel pieno contorno di un baleno sostava, sospeso, tra un volo e l’altro, alla luce della luna; spiegava le grandi ali innervate, traslucide a tratti, ricche di storie conosciute e vere, ondeggianti nel mare aperto del suo lungo e lento andare per ogni dove; ali disegnate dagli angoli e dagli spigoli di un guaito notturno a dismisura allargato, dolcemente posato sull’era terrosa di un luogo molto lontano; ali che qualche volta hanno racchiuso un pianto; più spesso un sorriso felice, increspato tra le pieghe dell’ordine delle cose che sempre si aprono sopra le ingiunzioni; ali che agganciano e lasciano cadere dall’alto, per romperle, le vuote promesse, le verità maldestre, le impalcature - perché tali - ritenute costruttive e, alla fine, per l’accomodamento di un pensiero pigro, viste e usate come ineluttabili canoni contro ogni volere, anche nella verità della pittura…
ERCOLE, AMLETO E DON CHISCIOTTE …In questo quadro c’è tutto: il mito, lo sfarfallio delle voci della natura, i riccioli degli acuti alla luna di vetro graffiato, il salto a piè pari, l’isola del tesoro in costume da bagno a righe orizzontali "accarpate" e non, sul davanzale o al di fuori; c’è il massacro e la non-morte della pittura tutta, della letteratura che scrive per sé il doppio di ciò che non lo è, il bianco lamento della sua storia sanguinante e stagnante, nella calma apparente e turgida, nella perenne nenia, nella luce affettata sempre irrimediabilmente assente…
DON CHISCIOTTE E DULCINEA. Questo è Don Chisciotte e lei è Dulcinea. Tutt’e due sono fatti di arsa terra d’Esperia, di puntuti picchi iberici, di acqua e venti atlantici. Sono fatti di carta di Picasso, di cavalletti di disa dentata e tagliente, di flamenco e di porto, sangue di toro e carminio d’arena. Di tutta la Spagna che è, e sempre sarà, nel mio sangue. Del cielo azzurro sulle brulle colline siciliane, delle due di pomeriggio e delle pellicole feline. Ah, quel periplo, quella gola che bacia la “mia Africa” che, pur essendo prossima e dirimpettaia, mani delle mie mani, non ho mai visto, proprio come quel topo che un giorno di un’altra vita mangiò tutte quelle pere e mele vizze, che perciò, in altri anni, posi a tenere la faccia di Head: piccolo topo con la forza di un intero continente…Infine e soprattutto il vuoto. Il vuoto, tra pilastro e pilastro. Il vuoto che, in positivo, ha i connotati di tutto. Il vuoto in volo, giù dalla montagna verso il mare. Questo è Don Chisciotte, lei è Dulcinea. G.S.
Web: www.sicula.com E-mail: feliscatus@sicula.com
15
dicembre 2007
Gaspare Sicula – Dipinti e sculture 1984-2007
Dal 15 dicembre 2007 al 13 gennaio 2008
arte contemporanea
Location
MUSEO ORSI
Tortona, Via Emilia, 446, (Alessandria)
Tortona, Via Emilia, 446, (Alessandria)
Orario di apertura
Periodo: Dal 15 dicembre 2007 al 13 gennaio 2008
Orari: Dal martedì al sabato ore 16-19,30 domenica e festivi ore 10,30-12,30 / 16-19,30
Vernissage
15 Dicembre 2007, ore 17.30
Autore