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Gaspare Sicula – Feliscatus V, Tessiture di ombre, Monumento a Napoleone
La mostra comprende il lavoro di Gaspare Sicula svolto in un arco di tempo che equivale ad una stagione, per la precisione l’autunno del 2012: opere di pittura, Feliscatus V, fotografia, Tessiture di ombre, scultura, Monumento a Napoleone.
Comunicato stampa
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FELISCATUS V
Sebbene le due ante, misurando ognuna poco meno della metà della parte centrale, potrebbero agevolmente essere chiuse come la copertura di una cassa di protezione, rendendo così il monumento alla vita apparente gessoso e patinato pronto a qualsiasi spostamento o viaggio, non era mia intenzione fare una variante di quella struttura dipinta composta secondo ricercate proporzioni che comunemente va sotto il nome di polittico, trittico se consta di tre interdipendenti parti. No, decisamente non volevo fare un trittico. E’ importante partire da questa precisazione prima di continuare.
Ne ho fatti in passato di trittici; il primo tra il 1971 e il ’72 a olio e tempera su tela, quella centrale di settanta per settanta centimetri e le laterali di settanta per trentacinque. Di quest’opera si perse un’anta qualche mese dopo che l’ebbi dipinta, con molta probabilità, mi fu detto allora, era volata via dal portapacchi della macchina del gallerista che l’aveva esposta, se non ricordo male, ad Agrigento. E rimase perciò un trittico monco, un dittico sbilanciato, un dipinto per sempre privato della sua parte iniziale della quale mi rimasero, e tuttora sono in mio possesso, alcuni disegni preparatori su carta.
Lo sviluppo dell’immagine e dell’opera su una superficie multipla l’ho poi ripreso più volte tra gli ultimi anni ’90 e i primi anni del 2000. Usando tele – anche di grandi dimensioni nel ciclo dedicato a Dracula –, scatole di cartone o cartoncino fatte a pezzi per Feliscatus IV e Faccia di tela scura I, oppure smontando quei bianchi piedistalli di legno, che in passato mi erano serviti per le sculture Arance azzurre, nei dipinti che fanno parte di Faccia di tela scura II. Anche la scorsa primavera ho fatto un polittico, sei ritratti di Feliscatus all’interno di una struttura il cui perimetro faceva pensare alla sagoma delle tavole gotiche, utilizzando come supporto un cartone per vini tagliato da un lato e poi disteso. In questo excursus voglio inserire anche, non senza una certa perplessità (la sento ormai lontana ed estranea, come se facesse parte di un’altra vita), un’opera dal titolo My world la cui lavorazione mi ha impegnato, a fasi alterne, per quattordici anni a partire dal 1987.
Oggi lo scopo e il senso delle ante laterali è un altro: anziché accogliere immagini che sono inizio e fine di una sequenza già pensata, la campitura uniforme e luminosa su di esse stesa ha lo scopo di rendere più buio il dipinto centrale. Farlo precipitare, mettendogli ai lati questo bianco coagulato e blandamente vissuto, in un buio più denso; ho bisogno di individuare, con sorpresa e a fatica, quello che una volta era il volto di Feliscatus – che si approssima ai cinquantotto anni – ora smagrito e invecchiato, come se affiorasse, formandosi lentamente nella difficoltosa messa a fuoco, da una porzione di un vitalistico muro, esattamente inquadrato tra una finestra e l’altra, reso ancor più scuro dal contrasto; con quel senso di abbagliante fastidio e di impossibilità di definire bene i contorni dell’immagine. E di avere la necessità di schermare con le mani non il volto che potrebbe apparire selvatico e misantropo, non veridico e disturbante bensì la luce divenuta un’eco dello sguardo in una migliore capacità di ascolto.
Mettendo mano inizialmente alla faccia non so e non immagino la fisionomia e l’espressione che questa avrà, mi lascio guidare, appunto, dalla mano che va come se fosse indipendente dalla testa; so solo che userò prima il nero poi il bianco e poi ancora il nero. Il resto viene tutto da sé. Con il pennello impugnato in maniera tale da dare multidirezionale ondeggiamento ed elevata flessibilità al gesto, come se pattinasse e scivolasse attraversando le fitte e parallele scanalature del cartone oppure danzasse seguendo Tubular Bells II.
Da un certo momento in poi è calato il buio e le ante laterali si sono fatte scure; ma non per consapevole scelta stilistica, affatto. Semplicemente mi stava finendo il bianco, l’altro nuovo era a casa e non avevo voglia di portarlo nello studio, punto.
Il 24, 25, 26, 27 e 28 ottobre ho fatto due autoritratti al giorno. Uno al mattino, dopo colazione e rituale passeggiata digestiva e preparatoria, non prima di aver soddisfatto l’impaziente bisogno di guardare e valutare – nel dipinto della sera precedente – l’aspetto che il mio volto mi poneva davanti il giorno prima, e uno nella tarda serata, che iniziavo intorno alle ventidue e finivo dalle parti di mezzanotte. Mattina e sera, proprio come alcune medicine.
Oggi, 30 ottobre, sento che sta venendo meno l’urgenza di seguire le continue mutazioni della mia faccia.
A poco meno di due settimane dall’inizio tutto è già in una fase di stanca e aspetto l’arrivo di un nuovo interesse che rappresenti ciò che sono adesso rispetto a ciò che ero qualche giorno fa.
G.S.
P.S.
E’ il 2 di novembre. C’era il mio viso, stamattina, appena sveglio: nella luce della lampada cinese che pioveva dall’alto imbizzarrivano peli e capelli umani. Indietreggiando, nello specchio che mi rifletteva, Feliscatus si allontanava gradualmente fino a sparire.
A un metro quadro di pluriball ho amputato un arto per potergli stirare il collo; e così, grande centocinque centimetri per novantacinque, facendo navigare il colore su diecimila bolle d’aria circondate e asfissiate dalla plastica, che di lì a poco si sarebbero sgonfiate nella convessità respiratoria dei pori, comincio a dipingere ciò che stamani ho visto, pelle conosciuta e invecchiata sopra ossa e muscoli umani, G.S.
Altro P.S.
Oggi, 28 novembre, ho osservato – sotto una luce che ha portato una totale apertura chiarificatrice ai quesiti formali che per qualche giorno mi aveva posto – una delle foto che è stata fatta nella 11DREAMS Art Gallery durante l’inaugurazione della mostra “Il ritratto, apparenza ed enigma”. L’ho guardata nella pubblicazione in bianco e nero che ne ha fatto Panorama di Tortona. Ho deciso che farò un quadro su pluriball, prendendo di questa foto solo il mio ritratto: la mano sinistra è già la mano-artiglio del Nosferatu di Murnau (quella dell’immagine più conosciuta del film, il vampiro in piedi sul ponte della nave). La destra è quella indicatrice presente nella pittura del ’5-600. A questa figura di arti opposti metterò la faccia di Feliscatus Dracula.
(?)
14 dicembre (sera). Ho fatto alcune fotografie nelle quali è tornato a farsi vivo Francis Bacon. Forse esporrò anche queste, su una striscia di pluriball. No, non su una striscia di pluriball ma in quattro file di tre su un foglio A4. Dodici autoritratti come papa di Bacon.
Pubblica Sicurezza!
16 dicembre. Dall’altro ieri lavoro a Feliscatus Dracula. Penso che ne avrò per alcuni giorni; è necessario cambiare i colori che ho steso, non tutti, buona parte. L’idea che avevo all’inizio cambia progressivamente, non tanto nella figura di Feliscatus Dracula quanto in tutto ciò che gli sta attorno (che prima immaginavo come uniforme campo vuoto). In questo momento ho deciso che esporrò il Monumento a Napoleone che ho preparato un mese fa per la mostra “Ridisegnare Napoleone a Ovada” allo Spazio sotto l’ombrello curata da Carlo Pesce.
Ho finito due ritratti di Feliscatus, a penna e olio su carta e cartone, che ho iniziato qualche giorno fa e che, nelle convinte ma inafferrabili intenzioni che mi fluttuavano davanti secondo un itinerario ellittico, dovevano avere l’aspetto di dipinti su supporti lapidei, oppure di fotografie vecchie di decenni insensibili a tutto nello sguardo assente. Cozzano alquanto col quarto movimento della Quinta Sinfonia che sto ascoltando; molto più volentieri e più spesso ascolto la Settima; del cd della Quinta salto il primo e secondo movimento perché lì inciampa e perciò passo direttamente al terzo (di questa sinfonia di Beethoven ascoltai una registrazione, parecchi anni fa per radio, diretta da Toscanini verso al fine dell’ultima guerra mondiale; in quella ricorrente segheria di archi il destino non bussava alla porta ma la travolgeva, v’era il rigurgito di un periodo bellico nelle estreme possibilità della musica e del suono, gli abissi di marmo negli occhi infossati e cupi dell’orchestra e di chi la dirigeva, come di durissima ossidiana scheggiata nelle ferite insanabili da essa podotte, indimenticabile!). Riuscirò mai a dipingere un quadro o un ciclo di dipinti che abbia la stessa compattezza e potenza? Uno dei Feliscatus sembra Napoleone III e ha pupille feline diurne (che di solito non faccio). 23.12.12 ore 9,45. Mi correggo, all’altro dipinto con t-shirt scura e senza cravatta debbo ancora mettere la parola fine con del giallo-verde negli occhi (tempo fa era un filtro che si utilizzava in fotografia per equilibrare i grigi). Metterò questi dipinti in vetrina nella mostra di febbraio. Due giorni dopo: ne ho fatto un altro, sempre quella la tecnica su un cartone di cm 60x67. Colori lividi e l’ovale appuntito del volto più regolare, sguardo senza moto e senza meta. Mi convince l’idea di aggiungere ai due dipinti precedenti questo più grande, mettendoli incolonnati partendo dall’alto con quest’ultimo, per una misura totale di 130x67 centimetri, in vetrina ci sta giusto. A luglio-agosto esporrò le quattordici sculture di Arlecchino che ho fatto tra l’estate e l’autunno scorsi. Due di queste sono anche materialmente legate alla musica, per realizzare una parte del cavalletto-corpo ho utilizzato la copertina posteriore cartonata di un libro su Beethoven, da un lato di un bel colore rosso veneziano e plastificata.
TESSITURE DI OMBRE
Nel tardo pomeriggio del 21 ottobre, qualche ora prima della chiusura della rassegna “Storie intessute” ho fatto quarantanove fotografie. La luce dei fari del primo piano del Dongione di Carbonara Scrivia, attraversando le griglie metalliche su cui erano appesi (ancora per poco) i quadri, tesseva sulla resina bianca del pavimento strati di fili di ombre. Epilogo effimero (per la dissoluzione di questa traslucida tessitura con lo spegnimento delle luci) ma coerente a tutta la rassegna per la permanenza – nella luce e nell’ombra, nella trama e nell’ordito – della realtà altra dell’arte: stavolta della fotografia e quindi di quest’ultima nella scansione in sequenza del video.
MONUMENTO A NAPOLEONE BONAPARTE
Ho voluto dedicare un monumento equestre a Napoleone, mettendolo, così come avevo fatto ventidue anni fa con Garibaldi, su un cavalletto a dondolo.
Per Napoleone ho cominciato dal profilo del suo cappello che, doppio e capovolto, è diventato il dondolo; questa feluca l’ho dipinta su un rettangolo di legno tagliato a metà lungo una delle diagonali leggermente ruotata, così facendo ho potuto utilizzare per supporti non due triangoli ma due trapezi rettangoli. Disponendo queste forme frontalmente ma in direzioni opposte sono riuscito ad ottenere, simultaneamente, l’andatura al trotto del cavallo (bianco) e l’oscillazione del dondolo (il cappello dipinto anche col contrappeso della forma circolare della coccarda).
Per quanto riguarda il ritratto vero e proprio di Napoleone, l’effigie rappresentativa del personaggio, ho usato una forma, da tempo “immemore” comune a varie culture, che ha in sé la qualità dell’armonia classica, propria, appunto, di una parte del Neoclassicismo dei primi decenni dell’Ottocento. Questa forma, che utilizzo da trent’anni, molto presente nei miei dipinti e nelle sculture degli anni ottanta (aveva sostituito Modulo 4 del decennio precedente), è fatta di due quadrati sovrapposti e ruotati, uno rispetto all’altro, di 45 gradi. Ma è pure molto vicina a quella della bandiera italiana del periodo napoleonico. Nell’ottagono interno ai due quadrati – che ho dipinto su un tessuto stampato a motivi floreali, applicandolo poi sia da una parte sia dall’altra al quadro posto sul cavalletto – ho disegnato una N separando le aste verticali e le grazie dall’asta obliqua, cosicché è possibile soltanto girando attorno alla scultura ricostruire l’iniziale di Napoleone.
G.S.
Sebbene le due ante, misurando ognuna poco meno della metà della parte centrale, potrebbero agevolmente essere chiuse come la copertura di una cassa di protezione, rendendo così il monumento alla vita apparente gessoso e patinato pronto a qualsiasi spostamento o viaggio, non era mia intenzione fare una variante di quella struttura dipinta composta secondo ricercate proporzioni che comunemente va sotto il nome di polittico, trittico se consta di tre interdipendenti parti. No, decisamente non volevo fare un trittico. E’ importante partire da questa precisazione prima di continuare.
Ne ho fatti in passato di trittici; il primo tra il 1971 e il ’72 a olio e tempera su tela, quella centrale di settanta per settanta centimetri e le laterali di settanta per trentacinque. Di quest’opera si perse un’anta qualche mese dopo che l’ebbi dipinta, con molta probabilità, mi fu detto allora, era volata via dal portapacchi della macchina del gallerista che l’aveva esposta, se non ricordo male, ad Agrigento. E rimase perciò un trittico monco, un dittico sbilanciato, un dipinto per sempre privato della sua parte iniziale della quale mi rimasero, e tuttora sono in mio possesso, alcuni disegni preparatori su carta.
Lo sviluppo dell’immagine e dell’opera su una superficie multipla l’ho poi ripreso più volte tra gli ultimi anni ’90 e i primi anni del 2000. Usando tele – anche di grandi dimensioni nel ciclo dedicato a Dracula –, scatole di cartone o cartoncino fatte a pezzi per Feliscatus IV e Faccia di tela scura I, oppure smontando quei bianchi piedistalli di legno, che in passato mi erano serviti per le sculture Arance azzurre, nei dipinti che fanno parte di Faccia di tela scura II. Anche la scorsa primavera ho fatto un polittico, sei ritratti di Feliscatus all’interno di una struttura il cui perimetro faceva pensare alla sagoma delle tavole gotiche, utilizzando come supporto un cartone per vini tagliato da un lato e poi disteso. In questo excursus voglio inserire anche, non senza una certa perplessità (la sento ormai lontana ed estranea, come se facesse parte di un’altra vita), un’opera dal titolo My world la cui lavorazione mi ha impegnato, a fasi alterne, per quattordici anni a partire dal 1987.
Oggi lo scopo e il senso delle ante laterali è un altro: anziché accogliere immagini che sono inizio e fine di una sequenza già pensata, la campitura uniforme e luminosa su di esse stesa ha lo scopo di rendere più buio il dipinto centrale. Farlo precipitare, mettendogli ai lati questo bianco coagulato e blandamente vissuto, in un buio più denso; ho bisogno di individuare, con sorpresa e a fatica, quello che una volta era il volto di Feliscatus – che si approssima ai cinquantotto anni – ora smagrito e invecchiato, come se affiorasse, formandosi lentamente nella difficoltosa messa a fuoco, da una porzione di un vitalistico muro, esattamente inquadrato tra una finestra e l’altra, reso ancor più scuro dal contrasto; con quel senso di abbagliante fastidio e di impossibilità di definire bene i contorni dell’immagine. E di avere la necessità di schermare con le mani non il volto che potrebbe apparire selvatico e misantropo, non veridico e disturbante bensì la luce divenuta un’eco dello sguardo in una migliore capacità di ascolto.
Mettendo mano inizialmente alla faccia non so e non immagino la fisionomia e l’espressione che questa avrà, mi lascio guidare, appunto, dalla mano che va come se fosse indipendente dalla testa; so solo che userò prima il nero poi il bianco e poi ancora il nero. Il resto viene tutto da sé. Con il pennello impugnato in maniera tale da dare multidirezionale ondeggiamento ed elevata flessibilità al gesto, come se pattinasse e scivolasse attraversando le fitte e parallele scanalature del cartone oppure danzasse seguendo Tubular Bells II.
Da un certo momento in poi è calato il buio e le ante laterali si sono fatte scure; ma non per consapevole scelta stilistica, affatto. Semplicemente mi stava finendo il bianco, l’altro nuovo era a casa e non avevo voglia di portarlo nello studio, punto.
Il 24, 25, 26, 27 e 28 ottobre ho fatto due autoritratti al giorno. Uno al mattino, dopo colazione e rituale passeggiata digestiva e preparatoria, non prima di aver soddisfatto l’impaziente bisogno di guardare e valutare – nel dipinto della sera precedente – l’aspetto che il mio volto mi poneva davanti il giorno prima, e uno nella tarda serata, che iniziavo intorno alle ventidue e finivo dalle parti di mezzanotte. Mattina e sera, proprio come alcune medicine.
Oggi, 30 ottobre, sento che sta venendo meno l’urgenza di seguire le continue mutazioni della mia faccia.
A poco meno di due settimane dall’inizio tutto è già in una fase di stanca e aspetto l’arrivo di un nuovo interesse che rappresenti ciò che sono adesso rispetto a ciò che ero qualche giorno fa.
G.S.
P.S.
E’ il 2 di novembre. C’era il mio viso, stamattina, appena sveglio: nella luce della lampada cinese che pioveva dall’alto imbizzarrivano peli e capelli umani. Indietreggiando, nello specchio che mi rifletteva, Feliscatus si allontanava gradualmente fino a sparire.
A un metro quadro di pluriball ho amputato un arto per potergli stirare il collo; e così, grande centocinque centimetri per novantacinque, facendo navigare il colore su diecimila bolle d’aria circondate e asfissiate dalla plastica, che di lì a poco si sarebbero sgonfiate nella convessità respiratoria dei pori, comincio a dipingere ciò che stamani ho visto, pelle conosciuta e invecchiata sopra ossa e muscoli umani, G.S.
Altro P.S.
Oggi, 28 novembre, ho osservato – sotto una luce che ha portato una totale apertura chiarificatrice ai quesiti formali che per qualche giorno mi aveva posto – una delle foto che è stata fatta nella 11DREAMS Art Gallery durante l’inaugurazione della mostra “Il ritratto, apparenza ed enigma”. L’ho guardata nella pubblicazione in bianco e nero che ne ha fatto Panorama di Tortona. Ho deciso che farò un quadro su pluriball, prendendo di questa foto solo il mio ritratto: la mano sinistra è già la mano-artiglio del Nosferatu di Murnau (quella dell’immagine più conosciuta del film, il vampiro in piedi sul ponte della nave). La destra è quella indicatrice presente nella pittura del ’5-600. A questa figura di arti opposti metterò la faccia di Feliscatus Dracula.
(?)
14 dicembre (sera). Ho fatto alcune fotografie nelle quali è tornato a farsi vivo Francis Bacon. Forse esporrò anche queste, su una striscia di pluriball. No, non su una striscia di pluriball ma in quattro file di tre su un foglio A4. Dodici autoritratti come papa di Bacon.
Pubblica Sicurezza!
16 dicembre. Dall’altro ieri lavoro a Feliscatus Dracula. Penso che ne avrò per alcuni giorni; è necessario cambiare i colori che ho steso, non tutti, buona parte. L’idea che avevo all’inizio cambia progressivamente, non tanto nella figura di Feliscatus Dracula quanto in tutto ciò che gli sta attorno (che prima immaginavo come uniforme campo vuoto). In questo momento ho deciso che esporrò il Monumento a Napoleone che ho preparato un mese fa per la mostra “Ridisegnare Napoleone a Ovada” allo Spazio sotto l’ombrello curata da Carlo Pesce.
Ho finito due ritratti di Feliscatus, a penna e olio su carta e cartone, che ho iniziato qualche giorno fa e che, nelle convinte ma inafferrabili intenzioni che mi fluttuavano davanti secondo un itinerario ellittico, dovevano avere l’aspetto di dipinti su supporti lapidei, oppure di fotografie vecchie di decenni insensibili a tutto nello sguardo assente. Cozzano alquanto col quarto movimento della Quinta Sinfonia che sto ascoltando; molto più volentieri e più spesso ascolto la Settima; del cd della Quinta salto il primo e secondo movimento perché lì inciampa e perciò passo direttamente al terzo (di questa sinfonia di Beethoven ascoltai una registrazione, parecchi anni fa per radio, diretta da Toscanini verso al fine dell’ultima guerra mondiale; in quella ricorrente segheria di archi il destino non bussava alla porta ma la travolgeva, v’era il rigurgito di un periodo bellico nelle estreme possibilità della musica e del suono, gli abissi di marmo negli occhi infossati e cupi dell’orchestra e di chi la dirigeva, come di durissima ossidiana scheggiata nelle ferite insanabili da essa podotte, indimenticabile!). Riuscirò mai a dipingere un quadro o un ciclo di dipinti che abbia la stessa compattezza e potenza? Uno dei Feliscatus sembra Napoleone III e ha pupille feline diurne (che di solito non faccio). 23.12.12 ore 9,45. Mi correggo, all’altro dipinto con t-shirt scura e senza cravatta debbo ancora mettere la parola fine con del giallo-verde negli occhi (tempo fa era un filtro che si utilizzava in fotografia per equilibrare i grigi). Metterò questi dipinti in vetrina nella mostra di febbraio. Due giorni dopo: ne ho fatto un altro, sempre quella la tecnica su un cartone di cm 60x67. Colori lividi e l’ovale appuntito del volto più regolare, sguardo senza moto e senza meta. Mi convince l’idea di aggiungere ai due dipinti precedenti questo più grande, mettendoli incolonnati partendo dall’alto con quest’ultimo, per una misura totale di 130x67 centimetri, in vetrina ci sta giusto. A luglio-agosto esporrò le quattordici sculture di Arlecchino che ho fatto tra l’estate e l’autunno scorsi. Due di queste sono anche materialmente legate alla musica, per realizzare una parte del cavalletto-corpo ho utilizzato la copertina posteriore cartonata di un libro su Beethoven, da un lato di un bel colore rosso veneziano e plastificata.
TESSITURE DI OMBRE
Nel tardo pomeriggio del 21 ottobre, qualche ora prima della chiusura della rassegna “Storie intessute” ho fatto quarantanove fotografie. La luce dei fari del primo piano del Dongione di Carbonara Scrivia, attraversando le griglie metalliche su cui erano appesi (ancora per poco) i quadri, tesseva sulla resina bianca del pavimento strati di fili di ombre. Epilogo effimero (per la dissoluzione di questa traslucida tessitura con lo spegnimento delle luci) ma coerente a tutta la rassegna per la permanenza – nella luce e nell’ombra, nella trama e nell’ordito – della realtà altra dell’arte: stavolta della fotografia e quindi di quest’ultima nella scansione in sequenza del video.
MONUMENTO A NAPOLEONE BONAPARTE
Ho voluto dedicare un monumento equestre a Napoleone, mettendolo, così come avevo fatto ventidue anni fa con Garibaldi, su un cavalletto a dondolo.
Per Napoleone ho cominciato dal profilo del suo cappello che, doppio e capovolto, è diventato il dondolo; questa feluca l’ho dipinta su un rettangolo di legno tagliato a metà lungo una delle diagonali leggermente ruotata, così facendo ho potuto utilizzare per supporti non due triangoli ma due trapezi rettangoli. Disponendo queste forme frontalmente ma in direzioni opposte sono riuscito ad ottenere, simultaneamente, l’andatura al trotto del cavallo (bianco) e l’oscillazione del dondolo (il cappello dipinto anche col contrappeso della forma circolare della coccarda).
Per quanto riguarda il ritratto vero e proprio di Napoleone, l’effigie rappresentativa del personaggio, ho usato una forma, da tempo “immemore” comune a varie culture, che ha in sé la qualità dell’armonia classica, propria, appunto, di una parte del Neoclassicismo dei primi decenni dell’Ottocento. Questa forma, che utilizzo da trent’anni, molto presente nei miei dipinti e nelle sculture degli anni ottanta (aveva sostituito Modulo 4 del decennio precedente), è fatta di due quadrati sovrapposti e ruotati, uno rispetto all’altro, di 45 gradi. Ma è pure molto vicina a quella della bandiera italiana del periodo napoleonico. Nell’ottagono interno ai due quadrati – che ho dipinto su un tessuto stampato a motivi floreali, applicandolo poi sia da una parte sia dall’altra al quadro posto sul cavalletto – ho disegnato una N separando le aste verticali e le grazie dall’asta obliqua, cosicché è possibile soltanto girando attorno alla scultura ricostruire l’iniziale di Napoleone.
G.S.
10
febbraio 2013
Gaspare Sicula – Feliscatus V, Tessiture di ombre, Monumento a Napoleone
Dal 10 al 17 febbraio 2013
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
11DREAMS ART GALLERY
Tortona, Via Rinarolo, 11/c, (Alessandria)
Tortona, Via Rinarolo, 11/c, (Alessandria)
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 16-19:30
Vernissage
10 Febbraio 2013, ore 16:00
Autore