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Gaspare Sicula – Frankenstein
Con questa mostra, dopo la precedente del Museo Orsi, la totalità delle opere dipinte l’anno scorso, e già esposte, non è ancora stata raggiunta ma è un po’ più vicina
Comunicato stampa
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Mi premeva dare completezza all’opera. Intendo l’esposizione di Frankenstein, il lavoro dell’estate del 2006, lunga da giugno ad ottobre. Con questa mostra, dopo la precedente del Museo Orsi, la totalità delle opere dipinte l’anno scorso, e già esposte, non è ancora stata raggiunta ma è un po’ più vicina. Ce ne sarà una terza? Può essere; ma vorrei che ce ne fosse anche una quarta, una quinta, e via così a quinta ingranata. C’è solo Frankenstein; c’è tanto da lavorare su Frankenstein. Ora tutto è Frankenstein.
Naturalmente, oltre ai Frankenstein veri e propri, a Spazi Arte espongo anche i dipinti della di lui parte, che a lui comunque fanno capo, che sono i D’après Pietro Longhi. Sempre più mi convinco che il Signor Falca, nato in novembre come Frankenstein (“Fu in una cupa notte di novembre…” inizia così il prometeico capitolo V del libro; io e Longhi abbiamo in comune non solo il mese ma anche il giorno, il 15), sia un artista di genio, infine non del tutto compreso: e lo chiameremo soltanto Pietro, col solo nome come i grandi. Nel Rinoceronte, assoluto capolavoro di 62 per 50 centimetri, tra gli altri elementi che nell’insieme danno un impianto compositivo strepitoso, gli escrementi dell’animale da mettere in mostra hanno la stessa forma dei tricorni di chi, divertendosi, lo guarda e fanno pendant con essi. Sarà la sua garbata e olezzante risposta all’altrui irrisione?
Victor Frankenstein non lo dice al giovane navigatore, all’esploratore ambizioso Robert Walton, e non lo dice a noi, attraverso quali straordinarie scoperte egli sia riuscito a trasmettere la vita ad un assemblaggio di pezzi inanimati.
La genesi del mio Frankenstein (nell’uso comune creatore e creatura) invece è molto chiara: dalla faccia di Don Chisciotte, che nel 2002 inglobava quelle di Ercole e Amleto – ognuno, a suo modo, eroe errante in un mondo parallelo fatto di parola e letteratura; miti certamente, e punti di riferimento che dal dubbio alla forza, dal sogno alla menzogna e alla follia, dal coraggio alla caparbietà, alla crudeltà spinta sino a dar voce alla feroce e amara vendetta, trovano definizione e risposta a tanta parte dei comportamenti umani – dalla loro faccia, quindi, e in seguito anche, con alcune modifiche, da quella di Dulcinea, arricchendola di percorsi viari e fluviali, divenuti vasi sanguigni, cicatrici di grezzi punti di sutura, gangli nervosi, e soprattutto fulmini, secondo le trascrizioni cinematografiche la “scintilla della vita”, il Frankenstein dipinto vive. Vive la sua vita di pensiero e colore. Per quello che riguarda il corpo, inizialmente ho usato il cavalletto (già nel ciclo dei dondoli, quindi figura smilza di Don Chisciotte), in parte fatto di onde; il cavalletto l’ho poi sostituito con la forma pesante e massiccia di Cactus, apparso per la prima volta nel 1988. In seguito Frankenstein ha un corpo suo, indipendente da figure precedenti. Il cavalletto fa nuovamente la sua comparsa nei grandi quadri su plastica.
Il cinema, dal canto suo, nell’assenza di precise indicazioni tecnologiche che nel testo, appunto, mancano, ha trovato terreno fertile per le invenzioni che gli sono proprie; attardandosi su alambicchi e marchingegni improbabili ha tralasciato o trascurato il dramma “umano” del lungo monologo del “mostro” (disfoga davanti all’interlocutore alter-ego Frankenstein, tra le vette di sentimenti rattrappiti dal silenzio e dalla solitudine) che occupa ben un quarto di tutto il libro.
È straordinaria la capacità di apprendimento della creatura, la sua voglia di riuscire a parlare la lingua degli umani, di appartenere ad una storia che lui non ha, affinare la memoria labile dei pezzi di sé. L’incredibile arguzia, l’insopprimibile spinta alla conoscenza, imparare di carambola, sfruttando anche la capacità di apprendimento di qualcuno che sta imparando. E l’odio che ha verso tutto e tutti quando non viene compreso, quando è espulso dal grembo degli umani, quando ne è rifiutato l’aspetto repellente, equiparato ad espressione tangibile della malvagità (non per il cieco – a cui tremante si presenta dopo lunga titubanza – che guarda alla sfumatura della voce e vede, come l’artista, più in profondità con mani pensanti).
Picasso è nato in Spagna, Bacon in Spagna è morto 111 anni dopo. Loro ci hanno abituati ad un altro tipo di bellezza, non quella dei canoni classici ma dell’arte in sé, che è una forza parallela alla natura, a volte perfino sovrapposta ad essa. Perciò non mimetica, mai asservita.
Naturalmente, oltre ai Frankenstein veri e propri, a Spazi Arte espongo anche i dipinti della di lui parte, che a lui comunque fanno capo, che sono i D’après Pietro Longhi. Sempre più mi convinco che il Signor Falca, nato in novembre come Frankenstein (“Fu in una cupa notte di novembre…” inizia così il prometeico capitolo V del libro; io e Longhi abbiamo in comune non solo il mese ma anche il giorno, il 15), sia un artista di genio, infine non del tutto compreso: e lo chiameremo soltanto Pietro, col solo nome come i grandi. Nel Rinoceronte, assoluto capolavoro di 62 per 50 centimetri, tra gli altri elementi che nell’insieme danno un impianto compositivo strepitoso, gli escrementi dell’animale da mettere in mostra hanno la stessa forma dei tricorni di chi, divertendosi, lo guarda e fanno pendant con essi. Sarà la sua garbata e olezzante risposta all’altrui irrisione?
Victor Frankenstein non lo dice al giovane navigatore, all’esploratore ambizioso Robert Walton, e non lo dice a noi, attraverso quali straordinarie scoperte egli sia riuscito a trasmettere la vita ad un assemblaggio di pezzi inanimati.
La genesi del mio Frankenstein (nell’uso comune creatore e creatura) invece è molto chiara: dalla faccia di Don Chisciotte, che nel 2002 inglobava quelle di Ercole e Amleto – ognuno, a suo modo, eroe errante in un mondo parallelo fatto di parola e letteratura; miti certamente, e punti di riferimento che dal dubbio alla forza, dal sogno alla menzogna e alla follia, dal coraggio alla caparbietà, alla crudeltà spinta sino a dar voce alla feroce e amara vendetta, trovano definizione e risposta a tanta parte dei comportamenti umani – dalla loro faccia, quindi, e in seguito anche, con alcune modifiche, da quella di Dulcinea, arricchendola di percorsi viari e fluviali, divenuti vasi sanguigni, cicatrici di grezzi punti di sutura, gangli nervosi, e soprattutto fulmini, secondo le trascrizioni cinematografiche la “scintilla della vita”, il Frankenstein dipinto vive. Vive la sua vita di pensiero e colore. Per quello che riguarda il corpo, inizialmente ho usato il cavalletto (già nel ciclo dei dondoli, quindi figura smilza di Don Chisciotte), in parte fatto di onde; il cavalletto l’ho poi sostituito con la forma pesante e massiccia di Cactus, apparso per la prima volta nel 1988. In seguito Frankenstein ha un corpo suo, indipendente da figure precedenti. Il cavalletto fa nuovamente la sua comparsa nei grandi quadri su plastica.
Il cinema, dal canto suo, nell’assenza di precise indicazioni tecnologiche che nel testo, appunto, mancano, ha trovato terreno fertile per le invenzioni che gli sono proprie; attardandosi su alambicchi e marchingegni improbabili ha tralasciato o trascurato il dramma “umano” del lungo monologo del “mostro” (disfoga davanti all’interlocutore alter-ego Frankenstein, tra le vette di sentimenti rattrappiti dal silenzio e dalla solitudine) che occupa ben un quarto di tutto il libro.
È straordinaria la capacità di apprendimento della creatura, la sua voglia di riuscire a parlare la lingua degli umani, di appartenere ad una storia che lui non ha, affinare la memoria labile dei pezzi di sé. L’incredibile arguzia, l’insopprimibile spinta alla conoscenza, imparare di carambola, sfruttando anche la capacità di apprendimento di qualcuno che sta imparando. E l’odio che ha verso tutto e tutti quando non viene compreso, quando è espulso dal grembo degli umani, quando ne è rifiutato l’aspetto repellente, equiparato ad espressione tangibile della malvagità (non per il cieco – a cui tremante si presenta dopo lunga titubanza – che guarda alla sfumatura della voce e vede, come l’artista, più in profondità con mani pensanti).
Picasso è nato in Spagna, Bacon in Spagna è morto 111 anni dopo. Loro ci hanno abituati ad un altro tipo di bellezza, non quella dei canoni classici ma dell’arte in sé, che è una forza parallela alla natura, a volte perfino sovrapposta ad essa. Perciò non mimetica, mai asservita.
07
marzo 2007
Gaspare Sicula – Frankenstein
Dal 07 al 31 marzo 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA SPAZI ARTE
Piacenza, Viale Malta, 29, (Piacenza)
Piacenza, Viale Malta, 29, (Piacenza)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato ore 9,30/12,30 – 15,30/19
Vernissage
7 Marzo 2007, ore 18
Autore