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Gathering the Unpredictable
“Gathering the Unpredictable” contempla idealmente il lavoro di tutti gli artisti che hanno partecipato e cooperato in maniera determinante nella galleria. L’imprevedibilità si riferisce al processo del pensiero impresso dal loro creatore unita alla modalità di utilizzo dei materiali.
Comunicato stampa
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Mario Iannelli presenta “Gathering the Unpredictable”, una mostra che contempla idealmente il lavoro di tutti gli artisti che hanno partecipato e cooperato in maniera determinante nella Galleria Mario Iannelli allo sviluppo di un discorso comune fondato su alcuni elementi centrali nell’opera d'arte che questa occasione dà luogo e rilievo.
Fra quest’ultimi, l’imprevedibilità che si riferisce al processo del pensiero impresso dal loro creatore unita alla modalità di utilizzo dei materiali.
Le opere non sono mai state esposte presso la galleria mentre altre sono state già presentate ma hanno mutato nel tempo la loro forma, come quelle di Felix Kiessling e di Schirin Kretschmann in cui l’azione della grafite e del grasso continua sin dal tempo della loro realizzazione.
“Clock-drawing” di Felix Kiessling, un pezzo di grafite legato alla lancetta di un meccanismo di orologio viene trascinato su un cartoncino lasciando le tracce del suo perpetuo movimento producendo un disegno realizzato dal tempo; attualmente per quattro anni.
“Labor (II)” di Schirin Kretschmann è un lavoro in situ in cui del grasso applicato sul muro penetra in esso dando forma a colature e aloni che mutano lo stato dell’opera che nello stesso tempo interroga lo spazio con la sua presenza; è esposto infatti per la terza volta in mostre consecutive.
“It’s been so long” di Paula Doepfner introduce un altro elemento temporale nell’opera, oltre che nel titolo, per la caducità degli elementi di cui è composto, pigmenti, piante e fori essiccati integrati ad un vetro blindato scheggiato.
La cera è il materiale utilizzato da Antoine Renard per la creazione di sculture che sono in realtà degli studi e delle architetture mentali che l’artista ha realizzato durante la sua recente residenza a Roma presso Villa Medici e che appartengono alla sua ricerca sulle essenze e sulle piante.
“Alfonso” di Simon Mullan, realizzata con mattonelle di tipo universale, paga tributo all’intervento collaborativo di un assistente nella realizzazione dell’opera incorporando con questo il senso del collettivo nel suo interesse a produrre un lavoro che si basi sui materiali poveri del mondo industriale.
“A puzzle” di David Prytz consiste in insieme di undici opere su carta incorniciate di diverse dimensioni che invita alla sua percezione come un unicum da assemblare. Il segno lascia le tracce del letterale processo del disegno geometrico assimilabile ad un movimento cinetico.
Tutti i lavori manifestano sensibilmente un rapporto con la natura e con la vita quotidiana che si rispecchia nella scelta dei materiali. L’imprevedibilità è più nella mutevolezza che nella imponderabilità, o nel processo che non ha fissi paradigmi da cui partire o arrivare, ma che di volta in volta viene prodotto secondo le circostanze da integrare, dando luogo ad un’opera dagli esiti non programmabili e simile ad una forma vivente.
Ogni cosa è parte del tutto: l’influenza di molteplici fattori esterni sull’azione della grafite e sulla forma (Kiessling), il grasso che agisce nel muro od il muro che reagisce al grasso (Kretschmann), la composizione di accidenti quali un vetro scheggiato, il pigmento che liberamente cola su di esso e l’aspetto cangiante della materia naturale (Doepfner), la cera che sciogliendosi e rompendosi sprigiona l’essenza interna (Renard), l’intima composizione che appare come ordine (Mullan) e il caos che è la vita stessa (Prytz).
Lo stesso che è nelle corde degli artisti non presenti in questa mostra ma la cui ricerca aderisce pienamente allo stesso concetto.
Nei quadri di Daniel Lergon che sono un sistema di segni irripetibili e gesti non totalmente riconoscibili o nella “blind painting” di Yorgos Stamkopoulos in cui il procedimento viene alla fine svelato in un complesso di elementi frammentati, nella compresenza di organicità ed intensità d’espressione nelle opere e degli ambienti di Claus Philip Lehmann, nell’ironica spregiudicatezza della comunicazione delle immagini di Tom Esam, nell’immaginario tecnologico nelle opere di Philip Topolovac e nel funzionamento del dispositivo esplorato nelle fotografie di Joe Clark, nelle tracce trovate e riassemblate nelle narrative di Cyrill Lachauer, nelle materie liquide nel lavoro di Sarah Ancelle Schoenfeld e nella pittura di Tyra Tingleff pari ad un esperienza libera da pregiudizi.
Questo insieme di collegamenti si estende anche alle ricerche di tutti gli artisti che hanno esposto il loro lavoro nella galleria, anche se per una sola volta in collettivo: Jan Bünnig, Julian Charrière, Dario D’Aronco, Stanislao Di Giugno, Alvaro Urbano, Anna Virnich e Julius Von Bismarck.
Fra quest’ultimi, l’imprevedibilità che si riferisce al processo del pensiero impresso dal loro creatore unita alla modalità di utilizzo dei materiali.
Le opere non sono mai state esposte presso la galleria mentre altre sono state già presentate ma hanno mutato nel tempo la loro forma, come quelle di Felix Kiessling e di Schirin Kretschmann in cui l’azione della grafite e del grasso continua sin dal tempo della loro realizzazione.
“Clock-drawing” di Felix Kiessling, un pezzo di grafite legato alla lancetta di un meccanismo di orologio viene trascinato su un cartoncino lasciando le tracce del suo perpetuo movimento producendo un disegno realizzato dal tempo; attualmente per quattro anni.
“Labor (II)” di Schirin Kretschmann è un lavoro in situ in cui del grasso applicato sul muro penetra in esso dando forma a colature e aloni che mutano lo stato dell’opera che nello stesso tempo interroga lo spazio con la sua presenza; è esposto infatti per la terza volta in mostre consecutive.
“It’s been so long” di Paula Doepfner introduce un altro elemento temporale nell’opera, oltre che nel titolo, per la caducità degli elementi di cui è composto, pigmenti, piante e fori essiccati integrati ad un vetro blindato scheggiato.
La cera è il materiale utilizzato da Antoine Renard per la creazione di sculture che sono in realtà degli studi e delle architetture mentali che l’artista ha realizzato durante la sua recente residenza a Roma presso Villa Medici e che appartengono alla sua ricerca sulle essenze e sulle piante.
“Alfonso” di Simon Mullan, realizzata con mattonelle di tipo universale, paga tributo all’intervento collaborativo di un assistente nella realizzazione dell’opera incorporando con questo il senso del collettivo nel suo interesse a produrre un lavoro che si basi sui materiali poveri del mondo industriale.
“A puzzle” di David Prytz consiste in insieme di undici opere su carta incorniciate di diverse dimensioni che invita alla sua percezione come un unicum da assemblare. Il segno lascia le tracce del letterale processo del disegno geometrico assimilabile ad un movimento cinetico.
Tutti i lavori manifestano sensibilmente un rapporto con la natura e con la vita quotidiana che si rispecchia nella scelta dei materiali. L’imprevedibilità è più nella mutevolezza che nella imponderabilità, o nel processo che non ha fissi paradigmi da cui partire o arrivare, ma che di volta in volta viene prodotto secondo le circostanze da integrare, dando luogo ad un’opera dagli esiti non programmabili e simile ad una forma vivente.
Ogni cosa è parte del tutto: l’influenza di molteplici fattori esterni sull’azione della grafite e sulla forma (Kiessling), il grasso che agisce nel muro od il muro che reagisce al grasso (Kretschmann), la composizione di accidenti quali un vetro scheggiato, il pigmento che liberamente cola su di esso e l’aspetto cangiante della materia naturale (Doepfner), la cera che sciogliendosi e rompendosi sprigiona l’essenza interna (Renard), l’intima composizione che appare come ordine (Mullan) e il caos che è la vita stessa (Prytz).
Lo stesso che è nelle corde degli artisti non presenti in questa mostra ma la cui ricerca aderisce pienamente allo stesso concetto.
Nei quadri di Daniel Lergon che sono un sistema di segni irripetibili e gesti non totalmente riconoscibili o nella “blind painting” di Yorgos Stamkopoulos in cui il procedimento viene alla fine svelato in un complesso di elementi frammentati, nella compresenza di organicità ed intensità d’espressione nelle opere e degli ambienti di Claus Philip Lehmann, nell’ironica spregiudicatezza della comunicazione delle immagini di Tom Esam, nell’immaginario tecnologico nelle opere di Philip Topolovac e nel funzionamento del dispositivo esplorato nelle fotografie di Joe Clark, nelle tracce trovate e riassemblate nelle narrative di Cyrill Lachauer, nelle materie liquide nel lavoro di Sarah Ancelle Schoenfeld e nella pittura di Tyra Tingleff pari ad un esperienza libera da pregiudizi.
Questo insieme di collegamenti si estende anche alle ricerche di tutti gli artisti che hanno esposto il loro lavoro nella galleria, anche se per una sola volta in collettivo: Jan Bünnig, Julian Charrière, Dario D’Aronco, Stanislao Di Giugno, Alvaro Urbano, Anna Virnich e Julius Von Bismarck.
03
giugno 2020
Gathering the Unpredictable
Dal 03 giugno al 18 settembre 2020
arte contemporanea
Location
GALLERIA MARIO IANNELLI
Roma, Via Flaminia, 380, (Roma)
Roma, Via Flaminia, 380, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a venerdì solo su appuntamento
Autore