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Generazioni
collettiva d’arte contemporanea a cura di Enzo di Grazia
Comunicato stampa
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I momenti di transizione della civiltà (e della cultura) sono stati sempre caratterizzati, nel corso dei secoli, da una determinata volontà delle nuove generazioni di azzerare quanto proposto dalle precedenti, per aprire la strada a nuove visioni e a nuovi linguaggi. Questa tendenza è connaturata allo stesso essere giovane, nel senso che la pressione esercitata dai “padri” (genitori, educatori, maestri o comunque si definissero) risultava sempre (o, per lo meno, appariva) un ostacolo insuperabile alla crescita del nuovo. In altre parole, “uccidere i padri” è diventato - quasi sempre - un imperativo categorico per i giovani che volevano costruirsi una nuova prospettiva.
Nel Ventesimo secolo, il “massacro dei padri” è stata una costante periodica che molto spesso ha visto cancellare il passato senza valutare se e come qualcosa potesse essere salvato e recuperato: per restare nell’ambito della cultura visiva, è sufficiente riflettere sulle battaglie contro l’Accademismo, contro il Realismo, contro la stessa pittura o i musei e i luoghi deputati.
Anche oggi si assiste ad un “massacro di padri” ad opera delle nuove generazioni che rifiutano in blocco gli orientamenti ideologici e politicizzati che avevano determinato le scelte delle precedenti generazioni: l’alternativa è costituita quasi sempre da un atteggiamento di disimpegno che privilegia la forma sui contenuti, l’apparenza sull’essenza, la tecnica sull’impegno.
In sostanza, si tratta dell’atteggiamento che le nuove generazioni vanno assumendo rispetto a tutti gli aspetti della vita, dove l’effimero, il provvisorio, il trasgressivo sono una costante imprescindibile. In Arte, questo si traduce quasi automaticamente in una sorta di nuovo Barocco che, dopo le esaltazioni neomanieristiche, le indicazioni di trasversalità e di disimpegno, riafferma e diffonde le basi un pensiero debole al limite dell’assenza di pensiero.
La crisi della società che si registra ad ogni livello è derivata immediatamente da una crisi del pensiero che ha portato progressivamente alla caduta del “pensiero forte” a favore di un relativismo a dir poco superficiale che è stato alla fine sistemato come “pensiero debole”.In più occasioni, abbiamo rilevato che questo atteggiamento poteva essere superato già in sede estetica, sull’onda di quanto nella scienza e nella religione si andava affermando, vale a dire la necessità di un “ritorno all’Umanesimo” che riportasse il pensiero al centro della vita.
Ma la realtà oggettiva è che non solo non si è affermato un pensiero di intensa profondità speculativa; ma che, in alternativa, si è costituito un modo di essere che (come nella navigazione in Internet) si muove sulle superfici senza scendere in profondità; che i nuovi linguaggi sono estremizzati fino alla povertà (come nei messaggi per telefonino) e che, alla fine, all’artista quasi non si chieda più altro che “divertire” e solleticare le suggestioni. E questo potrebbe rendere impossibile un impegno intellettuale degli artisti.
Ma, paradossalmente, può renderlo fondamentale, se si coglie del neo-barocco il senso di un atteggiamento antico della realtà, quello cioè di un mondo che nell’estetica e nel gusto trova i riferimenti primi.
Non è certamente opportuno fermarsi all’osservazione senza cercare di capire più nel profondo le motivazioni che portano a queste conclusioni, dalla caduta dei sistemi che erano stati originati da un atteggiamento troppo politicizzato alla perdita dei valori di riferimento; dall’esaltazione del consumismo agli equivoci sull’estetica del sociale e via via per tutto il panorama del disagio sociale. Ma, al tempo stesso, è inevitabile rendersi conto che, in questa occasione, non è possibile avanzare ipotesi di sociologia o di antropologia: quello che conta è che, forse, a queste condizioni, una manifestazione come “Generazioni” può, ancora una volta, essere il “termometro di una situazione” che non interessa la sola attività artistica ma tutta la società in cui essa si realizza.
Nello specifico della realtà territoriale, la documentazione di questi passaggi è stata uno degli obiettivi che il lavoro dell’Associazione Culturale “la roggia” ha perseguito con maggiore attenzione. Le “ricognizioni sul territorio” che periodicamente sono state realizzate per “fare il punto” della situazione in quel preciso momento storico, sono state - alla fine dei conti - una rassegna delle“mattanze dei padri” che si andavano perpetrando ogni volta che una nuova schiera di artisti si affacciava sulla scena dell’arte e chiedeva spazio per le sue novità. Dalla “sperimentazione in corso” (vecchia ormai di un quarto di secolo) attraverso le “9 Proposte” e le varie edizioni della “Prima parete”, la successione rapida delle nuove emergenze è stata registrata con assoluta puntualità: con essa, sono stati verificati gli inevitabili cambiamenti della società e della cultura nel corso degli anni. Anche in questa occasione, compito principale di chi si occupa di comunicazione è quello di testimoniare una realtà oggettiva, al di là delle personali letture del mondo contemporaneo.
Per questo, la verifica di una consistenza, nella realtà provinciale, di una linea di ricerca improntata alla nuova dimensione della visualità è semplicemente l’accertamento che certi fenomeni sono capillarmente diffusi ed incidono sul costume a tutte le latitudini: in pratica, Claudia Cavallaro, Anna Godeassi, Silvia Pignat e Sabina Romanin diventano, in qualche modo, testimoni di una generazione che esprime le sue realtà attraverso un senso accentuato del gusto senza caricare l’attività creativa degli impegni antropologici che avevano caratterizzato la produzione “dei padri” ma rivendicando con forza la volontà di rappresentare una generazione che fa dell’estetico il fondamento della ricerca. Tutte e quattro vengono da una forte e radicata esperienza nel campo del disegno e del design; tutte e quattro interpretano la comunicazione come una stimolazione continua della fantasia individuale e come partecipazione del bello al quotidiano, anche spicciolo.
Claudia Cavallaro va a scavare nella possibilità di elaborazione di forme minime della biologia per esaltare in una dimensione di pura cromia, fino ad effetti che coinvolgono la cultura storica dell’arte (per quel gioco inevitabile e quasi schizofrenico di “amore per i padri”) e che le assegnano una grafia personale fatta di tecnologia e di manualità, di disegno e di ricerca nei nuovi media.
Anna Godessi risente più da vicino delle lezioni storiche, oscillando spesso tra gocciolamenti e poesia visiva, tra composizioni verosimili e slanci astratti: soprattutto, sembra aggirarsi con disinvolta sensualità nelle tavolozze calde e nel gusto di far esplodere i colori in maniera imprevedibile, anche se strutturalmente le sue opere sembrano raccontare piuttosto che suggestionare.
Silvia Pignat si affida alla creatività per scatenare un bisogno quasi istintivo di ludicità che le consente non solo di creare un mondo improbabile di animali e figure, ma anche di invadere il campo dello stilismo e della ritrattistica per costruire un mondo personale assolutamente improbabile ma pittoricamente di grande rilievo e di sicura efficacia; il gesto poi, quasi primordiale, di recuperare le costruzioni attraverso il cucito di materiali eterogenei riesce, al tempo stesso, a portare agli estremi il gusto dell’arte povera e di ripristinare il senso profondo della manualità dell’artista.
Sabina Romanin si affida alla pura sensualità del fare quando realizza la sua galleria di personaggi dipinti con l’aiuto del filo da ricamo: il gioco di sutura tra un’antica tradizione (in qualche modo) “femminile” e la suggestione sensuale delle leggere cromie, appena solo accennate nell’opera, sposta continuamente il limite tra la citazione e la manualità quasi artigianale, creando composizioni lievi ed intriganti di pura estetica.
Non è avvenuto frequentemente di registrare, in un’area piccola come la provincia di Pordenone, tante presenze tutte interessanti nello stesso periodo; e, per di più, donne in arte che danno segnali nuovi ad una realtà antica. Riassumerne le esperienze e porle insieme in una mostra è un dovere storico che corrisponde anche ad un desiderio di ricognizione che in qualunque realtà è necessaria e che non può ignorare le emergenze reali (al di là di qualunque giudizio) specialmente quando esprimono il mondo in cui si vive.
E queste quattro giovani artisti sono il segno di una società che cambia e, che, come sempre, cerca di uccidere i padri per aprirsi strade nuove.
Enzo di Grazia
Nel Ventesimo secolo, il “massacro dei padri” è stata una costante periodica che molto spesso ha visto cancellare il passato senza valutare se e come qualcosa potesse essere salvato e recuperato: per restare nell’ambito della cultura visiva, è sufficiente riflettere sulle battaglie contro l’Accademismo, contro il Realismo, contro la stessa pittura o i musei e i luoghi deputati.
Anche oggi si assiste ad un “massacro di padri” ad opera delle nuove generazioni che rifiutano in blocco gli orientamenti ideologici e politicizzati che avevano determinato le scelte delle precedenti generazioni: l’alternativa è costituita quasi sempre da un atteggiamento di disimpegno che privilegia la forma sui contenuti, l’apparenza sull’essenza, la tecnica sull’impegno.
In sostanza, si tratta dell’atteggiamento che le nuove generazioni vanno assumendo rispetto a tutti gli aspetti della vita, dove l’effimero, il provvisorio, il trasgressivo sono una costante imprescindibile. In Arte, questo si traduce quasi automaticamente in una sorta di nuovo Barocco che, dopo le esaltazioni neomanieristiche, le indicazioni di trasversalità e di disimpegno, riafferma e diffonde le basi un pensiero debole al limite dell’assenza di pensiero.
La crisi della società che si registra ad ogni livello è derivata immediatamente da una crisi del pensiero che ha portato progressivamente alla caduta del “pensiero forte” a favore di un relativismo a dir poco superficiale che è stato alla fine sistemato come “pensiero debole”.In più occasioni, abbiamo rilevato che questo atteggiamento poteva essere superato già in sede estetica, sull’onda di quanto nella scienza e nella religione si andava affermando, vale a dire la necessità di un “ritorno all’Umanesimo” che riportasse il pensiero al centro della vita.
Ma la realtà oggettiva è che non solo non si è affermato un pensiero di intensa profondità speculativa; ma che, in alternativa, si è costituito un modo di essere che (come nella navigazione in Internet) si muove sulle superfici senza scendere in profondità; che i nuovi linguaggi sono estremizzati fino alla povertà (come nei messaggi per telefonino) e che, alla fine, all’artista quasi non si chieda più altro che “divertire” e solleticare le suggestioni. E questo potrebbe rendere impossibile un impegno intellettuale degli artisti.
Ma, paradossalmente, può renderlo fondamentale, se si coglie del neo-barocco il senso di un atteggiamento antico della realtà, quello cioè di un mondo che nell’estetica e nel gusto trova i riferimenti primi.
Non è certamente opportuno fermarsi all’osservazione senza cercare di capire più nel profondo le motivazioni che portano a queste conclusioni, dalla caduta dei sistemi che erano stati originati da un atteggiamento troppo politicizzato alla perdita dei valori di riferimento; dall’esaltazione del consumismo agli equivoci sull’estetica del sociale e via via per tutto il panorama del disagio sociale. Ma, al tempo stesso, è inevitabile rendersi conto che, in questa occasione, non è possibile avanzare ipotesi di sociologia o di antropologia: quello che conta è che, forse, a queste condizioni, una manifestazione come “Generazioni” può, ancora una volta, essere il “termometro di una situazione” che non interessa la sola attività artistica ma tutta la società in cui essa si realizza.
Nello specifico della realtà territoriale, la documentazione di questi passaggi è stata uno degli obiettivi che il lavoro dell’Associazione Culturale “la roggia” ha perseguito con maggiore attenzione. Le “ricognizioni sul territorio” che periodicamente sono state realizzate per “fare il punto” della situazione in quel preciso momento storico, sono state - alla fine dei conti - una rassegna delle“mattanze dei padri” che si andavano perpetrando ogni volta che una nuova schiera di artisti si affacciava sulla scena dell’arte e chiedeva spazio per le sue novità. Dalla “sperimentazione in corso” (vecchia ormai di un quarto di secolo) attraverso le “9 Proposte” e le varie edizioni della “Prima parete”, la successione rapida delle nuove emergenze è stata registrata con assoluta puntualità: con essa, sono stati verificati gli inevitabili cambiamenti della società e della cultura nel corso degli anni. Anche in questa occasione, compito principale di chi si occupa di comunicazione è quello di testimoniare una realtà oggettiva, al di là delle personali letture del mondo contemporaneo.
Per questo, la verifica di una consistenza, nella realtà provinciale, di una linea di ricerca improntata alla nuova dimensione della visualità è semplicemente l’accertamento che certi fenomeni sono capillarmente diffusi ed incidono sul costume a tutte le latitudini: in pratica, Claudia Cavallaro, Anna Godeassi, Silvia Pignat e Sabina Romanin diventano, in qualche modo, testimoni di una generazione che esprime le sue realtà attraverso un senso accentuato del gusto senza caricare l’attività creativa degli impegni antropologici che avevano caratterizzato la produzione “dei padri” ma rivendicando con forza la volontà di rappresentare una generazione che fa dell’estetico il fondamento della ricerca. Tutte e quattro vengono da una forte e radicata esperienza nel campo del disegno e del design; tutte e quattro interpretano la comunicazione come una stimolazione continua della fantasia individuale e come partecipazione del bello al quotidiano, anche spicciolo.
Claudia Cavallaro va a scavare nella possibilità di elaborazione di forme minime della biologia per esaltare in una dimensione di pura cromia, fino ad effetti che coinvolgono la cultura storica dell’arte (per quel gioco inevitabile e quasi schizofrenico di “amore per i padri”) e che le assegnano una grafia personale fatta di tecnologia e di manualità, di disegno e di ricerca nei nuovi media.
Anna Godessi risente più da vicino delle lezioni storiche, oscillando spesso tra gocciolamenti e poesia visiva, tra composizioni verosimili e slanci astratti: soprattutto, sembra aggirarsi con disinvolta sensualità nelle tavolozze calde e nel gusto di far esplodere i colori in maniera imprevedibile, anche se strutturalmente le sue opere sembrano raccontare piuttosto che suggestionare.
Silvia Pignat si affida alla creatività per scatenare un bisogno quasi istintivo di ludicità che le consente non solo di creare un mondo improbabile di animali e figure, ma anche di invadere il campo dello stilismo e della ritrattistica per costruire un mondo personale assolutamente improbabile ma pittoricamente di grande rilievo e di sicura efficacia; il gesto poi, quasi primordiale, di recuperare le costruzioni attraverso il cucito di materiali eterogenei riesce, al tempo stesso, a portare agli estremi il gusto dell’arte povera e di ripristinare il senso profondo della manualità dell’artista.
Sabina Romanin si affida alla pura sensualità del fare quando realizza la sua galleria di personaggi dipinti con l’aiuto del filo da ricamo: il gioco di sutura tra un’antica tradizione (in qualche modo) “femminile” e la suggestione sensuale delle leggere cromie, appena solo accennate nell’opera, sposta continuamente il limite tra la citazione e la manualità quasi artigianale, creando composizioni lievi ed intriganti di pura estetica.
Non è avvenuto frequentemente di registrare, in un’area piccola come la provincia di Pordenone, tante presenze tutte interessanti nello stesso periodo; e, per di più, donne in arte che danno segnali nuovi ad una realtà antica. Riassumerne le esperienze e porle insieme in una mostra è un dovere storico che corrisponde anche ad un desiderio di ricognizione che in qualunque realtà è necessaria e che non può ignorare le emergenze reali (al di là di qualunque giudizio) specialmente quando esprimono il mondo in cui si vive.
E queste quattro giovani artisti sono il segno di una società che cambia e, che, come sempre, cerca di uccidere i padri per aprirsi strade nuove.
Enzo di Grazia
11
febbraio 2007
Generazioni
Dall'undici febbraio all'otto marzo 2007
arte contemporanea
Location
PALAZZO CECCHINI
Cordovado, Piazza Cecchini, 27, (Pordenone)
Cordovado, Piazza Cecchini, 27, (Pordenone)
Orario di apertura
dal martedì al venerdì h 15 -18.30 sabato h 10 -12 e 15,30 -17 domenica h 15,30 –18,30
Vernissage
11 Febbraio 2007, ore 11
Autore
Curatore