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Gente di Liguria – Il sogno oltre il concreto
in un contenitore la cui architettura sfocia da sé nell’arte, il concreto e il sogno si accostano nelle rappresentazioni di quattro artisti liguri contemporanei il cui filo conduttore è apparentemente solo il territorio: la Liguria, aspra e dolce terra di mare musa ispiratrice di molti…
Comunicato stampa
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L’Oratorio de’ Disciplinanti del prestigioso complesso monumentale di Santa Caterina a Finalborgo sarà, dal 7 agosto al 12 settembre, il meraviglioso sfondo della mostra “Gente di Liguria – Il sogno oltre il concreto” organizzata dall’Assessorato alla Cultura di Finale Ligure. Ad inaugurare la mostra, sabato 7 alle ore 18, sarà il Console generale di Bolivia in Italia, ALVARO DEL PORTILLO BEDREGAL. In segno di solidarietà verso l'America latina i quattro pittori doneranno un'opera ciascuno, che in settembre, a conclusione della mostra sarà messa all'asta. Il ricavato andrà a beneficio della Onlus Boliviana "Operazione Mato Grosso".
In un contenitore la cui architettura sfocia da sé nell’arte, il concreto e il sogno si accostano nelle rappresentazioni di quattro artisti liguri contemporanei il cui filo conduttore è apparentemente solo il territorio: la Liguria, aspra e dolce terra di mare musa ispiratrice di molti.
I paesaggi onirici di Sergio Palladini e le immagini evocatrici, a volte provocatorie, di Giorgio Laveri tramite verso il sogno in simbolico contrasto con la concretezza espressa dall’esaltazione della materia di Enzo L’Acqua e la modularità di Vincenzo Marsiglia.
Quattro artisti di natura differente difficilmente accostabili, se non “ascoltando” il linguaggio che l’arte offre come a tradurre da idiomi diversi la realtà artistica dei nostri tempi che, nel suo fermentare di nuove forme, rende difficile un orientamento, ma denota chiari segni di rinnovamento.
Ceramica, carta, ferro, legno e altri materiali utilizzati da Enzo l’Acqua in un rapporto estremamente rigoroso e logico che caratterizza tutto il lavoro pittorico dell’autore. La materia protagonista, e l’uso di forme semplici e modulari richiamano un mondo arcaico e primitivo da cui traspare l’allineamento fra simbolico e materico. Inizia la sua esperienza artistica negli anni ’60 frequentando i laboratori di ceramica locali dove numerosi artisti dell’avanguardia storica realizzavano radicali cambiamenti nel “fare ceramica”. Dal ’68 in poi – dichiara L’Acqua - ho iniziato a dedicare particolare attenzione al materiale ceramico, evidenziando prima di tutto le possibilità fisiche ed estetiche attraverso
un’operatività logica dettata dal materiale stesso; un concetto che mi ha permesso di realizzare opere significative come i “frammenti”, i “progetti-oggetti” e la “texture”. Da quegli anni iniziano le occasioni critiche ed espositive per l’artista, che negli anni si espandono nel territorio nazionale ed internazionale. Oggi L’Acqua partecipa alle più significative fiere d’Europa.
Si passa al sogno con Giorgio Laveri, artista savonese che nasce come regista, infatti la sua pittura richiama da sempre questa sua prima vocazione. La serie “Nostra signora delle pellicole”, acrilici su tela, testimonia queste sue radici: volti di donna circondati per trasparente sovrapposizione da strisce di celluloide, che evocano il fantasma della rappresentazione, il desiderio di fuga nel sogno che si esprime nel buio della sala cinematografica. L’evoluzione dell’autore si sposta verso la scultura che, con la ceramica del terzo fuoco, arriva a soluzioni tecniche interessanti e dove i soggetti rappresentati, i rullini fotografici, assumono una forza espressiva che rimanda all’objet trouvè alla pop art. Nella serie “Discorso da sviluppare” prevale non lo splendore evocativo dell’oggetto, bensì la sua deformazione ed eliminazione dopo l’uso; un messaggio sublimato dalla grazia della ceramica che ci dimostra che “noi siamo quello che consumiamo” . Ultima felice serie di Giorgio Laveri è “Truka”: rossetti in ceramica di varie dimensioni (fino al metro e ottanta di altezza) che rappresentano e ostentano l’attuale necessità del “Trucco” come strumento, maschera e trasformazioni di noi stessi nel palcoscenico della vita. Opere forti che trascendono la loro realtà iniziale per cambiare secondo la loro collocazione negli spazi e negli ambienti, mai definiti ma completi solo nel continuo divenire delle simbologie che rappresentano. L’artista porta avanti ancora oggi la sua attività cinematografica e teatrale, con il “Giardino del Mago” , fondato nel 1996 con il Dipartimento di Salute Mentale di Genova. Con questo gruppo Laveri da vita a moltissimi lavori sperimentali in Italia ed in Francia, dove affronta le tematiche relative al disagio della persona.
Arte concreta, invece, quella proposta da Vincenzo Marsiglia, giovane e affermato artista ligure, immediatamente riconoscibile dal modulo-logo “STELLA” tramite il quale ha cercato e voluto creare un propria identità. La modularità diventa struttura stessa moltiplicandosi nello spazio; tale spazio viene inteso sia in senso ideale ma anche concreto. Come lui stesso dice Mai nulla é lasciato al caso, tutto viene pensato e costruito secondo una metodologia della progettazione. Una progettazione intesa non solo come metodo di lavoro, ma soprattutto come struttura portante dell´idea. Progettazione, materiali, concetto di struttura, idea dello spazio: questi sono i fondamenti dell’opera di Marsiglia.
La scelta dei materiali è ed è sempre stata eterogenea. Punto di partenza la pittura acrilica (di concetto americano) fatta di stesure piatte e velature, con l’intento di creare una pittura oggettuale. Dalla pittura è passato gradualmente alla ricerca di tecniche e materiali più innovativi (feltri, feltri glitter, vinilici, paillettes, swarovski, etc...) sempre nell´intento di colpire la percezione visiva e di dare un´effetto "glamour". Come ultima esperienza recente la ceramica. Una ricerca legata al passato, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista concettuale decorativo (Barocco). Non meno importanti dei materiali sono forma e struttura, che a volte sfiorano forme inconsuete per l´arte Concreta, tanto da arrivare ad
un’espressione concettuale-ironica, come ad esempio le saponette; queste ultime nascono dall´omonimia con il mio cognome da qui si sviluppa la tematica della riconoscibilità. La collocazione nello spazio dell’opera di Marsiglia porta l’artista ad evadere dai confini consueti della cornice, per dirigersi verso il design con la trasposizione delle sue forme nella carta da parati per trasformare l’ambiente in parte medesima dell’opera come in un’installazione permanente.
E si ritorna nel sogno con Sergio Palladini che così risponde alla richiesta di parlare di sé: Ero bello, giovane, biondo e avevo gli occhi azzurri. Volevo fare l’attore non mi fu possibile perché un certo cugino, invidioso non so perché, mi impedì l’accesso al mondo dello spettacolo.
Trascorsi la mia giovinezza in via Trento dove lo sguardo abbracciava una Genova autentica e assoluta; ne fui vittima illustre e portatore di quella realtà e mondo di sogno.
Và da sé che il mio essere pittore genovese e il mio raccontare questa realtà di sogno, mi ha consentito di arrampicarmi sugli alberi narrando la storia più bella e inverosimile della mia città.
Vorrei rammentare che in famiglia mia sorella era negata per il pianoforte, mio fratello l’esatto opposto di Paganini; violino e pianoforte giacciono in cantina, io dipingo.
Queste righe rivelano l’anima delle sue opere prima di goderne con la vista, nonché la sensibile evoluzione dell’iter poetico e tematico dell’artista genovese. Il forte legame fra Palladini e l’humus ligure, in particolare fra l’artista e Genova, porta con sé la concezione di “luogo” radicato nella sensibilità e nel cuore dell’artista, che a lungo si è nutrito dei versi di Camillo Sbarbaro. Così come Eugenio Montale, Fabrizio De André e Arturo Martini (ligure d’adozione) hanno instillato un seme nell’opera dell’autore che con gesti aerei e lievi produce visioni e paesaggi incantanti che si risvegliano in materializzazioni improvvise grazie ad accenti e messe a fuoco di piccoli riquadri immersi in atmosfere rarefatte. Non è importante sapere se questi panorami siano frutto dell’osservazione della realtà o figli di una memoria intrisa di sogno e immaginazione, perché è evidente che la natura rappresentata da queste opere è traslata su un piano interiore, espressione di un temperamento teso a recuperare i veri e semplici sentimenti umani.
Come dichiarato all’inizio, quattro artisti, quattro linguaggi, un chiostro antico: ingredienti prettamente liguri che ci regalano una visione dell’arte contemporanea in un’atmosfera dove il tempo sembra dilatarsi tra presente e passato in una terra appoggiata sul mare e abbracciata dalle montagne.
In occasione della mostra sarà disponibile una sintetica pubblicazione contenente immagini delle opere esposte corredate dai testi: "Segno e materia" di Germano Beringheli per Enzo L'Acqua", "Truka" di Riccardo Zelatore per Giorgio Laveri, Configurazioni in continuo divenire" di Claudio Cerritelli per Vincenzo Marsiglia e per finire "Le radici del sogno" di Silvio Riolfo Marengo per Sergio Palladini.
In un contenitore la cui architettura sfocia da sé nell’arte, il concreto e il sogno si accostano nelle rappresentazioni di quattro artisti liguri contemporanei il cui filo conduttore è apparentemente solo il territorio: la Liguria, aspra e dolce terra di mare musa ispiratrice di molti.
I paesaggi onirici di Sergio Palladini e le immagini evocatrici, a volte provocatorie, di Giorgio Laveri tramite verso il sogno in simbolico contrasto con la concretezza espressa dall’esaltazione della materia di Enzo L’Acqua e la modularità di Vincenzo Marsiglia.
Quattro artisti di natura differente difficilmente accostabili, se non “ascoltando” il linguaggio che l’arte offre come a tradurre da idiomi diversi la realtà artistica dei nostri tempi che, nel suo fermentare di nuove forme, rende difficile un orientamento, ma denota chiari segni di rinnovamento.
Ceramica, carta, ferro, legno e altri materiali utilizzati da Enzo l’Acqua in un rapporto estremamente rigoroso e logico che caratterizza tutto il lavoro pittorico dell’autore. La materia protagonista, e l’uso di forme semplici e modulari richiamano un mondo arcaico e primitivo da cui traspare l’allineamento fra simbolico e materico. Inizia la sua esperienza artistica negli anni ’60 frequentando i laboratori di ceramica locali dove numerosi artisti dell’avanguardia storica realizzavano radicali cambiamenti nel “fare ceramica”. Dal ’68 in poi – dichiara L’Acqua - ho iniziato a dedicare particolare attenzione al materiale ceramico, evidenziando prima di tutto le possibilità fisiche ed estetiche attraverso
un’operatività logica dettata dal materiale stesso; un concetto che mi ha permesso di realizzare opere significative come i “frammenti”, i “progetti-oggetti” e la “texture”. Da quegli anni iniziano le occasioni critiche ed espositive per l’artista, che negli anni si espandono nel territorio nazionale ed internazionale. Oggi L’Acqua partecipa alle più significative fiere d’Europa.
Si passa al sogno con Giorgio Laveri, artista savonese che nasce come regista, infatti la sua pittura richiama da sempre questa sua prima vocazione. La serie “Nostra signora delle pellicole”, acrilici su tela, testimonia queste sue radici: volti di donna circondati per trasparente sovrapposizione da strisce di celluloide, che evocano il fantasma della rappresentazione, il desiderio di fuga nel sogno che si esprime nel buio della sala cinematografica. L’evoluzione dell’autore si sposta verso la scultura che, con la ceramica del terzo fuoco, arriva a soluzioni tecniche interessanti e dove i soggetti rappresentati, i rullini fotografici, assumono una forza espressiva che rimanda all’objet trouvè alla pop art. Nella serie “Discorso da sviluppare” prevale non lo splendore evocativo dell’oggetto, bensì la sua deformazione ed eliminazione dopo l’uso; un messaggio sublimato dalla grazia della ceramica che ci dimostra che “noi siamo quello che consumiamo” . Ultima felice serie di Giorgio Laveri è “Truka”: rossetti in ceramica di varie dimensioni (fino al metro e ottanta di altezza) che rappresentano e ostentano l’attuale necessità del “Trucco” come strumento, maschera e trasformazioni di noi stessi nel palcoscenico della vita. Opere forti che trascendono la loro realtà iniziale per cambiare secondo la loro collocazione negli spazi e negli ambienti, mai definiti ma completi solo nel continuo divenire delle simbologie che rappresentano. L’artista porta avanti ancora oggi la sua attività cinematografica e teatrale, con il “Giardino del Mago” , fondato nel 1996 con il Dipartimento di Salute Mentale di Genova. Con questo gruppo Laveri da vita a moltissimi lavori sperimentali in Italia ed in Francia, dove affronta le tematiche relative al disagio della persona.
Arte concreta, invece, quella proposta da Vincenzo Marsiglia, giovane e affermato artista ligure, immediatamente riconoscibile dal modulo-logo “STELLA” tramite il quale ha cercato e voluto creare un propria identità. La modularità diventa struttura stessa moltiplicandosi nello spazio; tale spazio viene inteso sia in senso ideale ma anche concreto. Come lui stesso dice Mai nulla é lasciato al caso, tutto viene pensato e costruito secondo una metodologia della progettazione. Una progettazione intesa non solo come metodo di lavoro, ma soprattutto come struttura portante dell´idea. Progettazione, materiali, concetto di struttura, idea dello spazio: questi sono i fondamenti dell’opera di Marsiglia.
La scelta dei materiali è ed è sempre stata eterogenea. Punto di partenza la pittura acrilica (di concetto americano) fatta di stesure piatte e velature, con l’intento di creare una pittura oggettuale. Dalla pittura è passato gradualmente alla ricerca di tecniche e materiali più innovativi (feltri, feltri glitter, vinilici, paillettes, swarovski, etc...) sempre nell´intento di colpire la percezione visiva e di dare un´effetto "glamour". Come ultima esperienza recente la ceramica. Una ricerca legata al passato, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista concettuale decorativo (Barocco). Non meno importanti dei materiali sono forma e struttura, che a volte sfiorano forme inconsuete per l´arte Concreta, tanto da arrivare ad
un’espressione concettuale-ironica, come ad esempio le saponette; queste ultime nascono dall´omonimia con il mio cognome da qui si sviluppa la tematica della riconoscibilità. La collocazione nello spazio dell’opera di Marsiglia porta l’artista ad evadere dai confini consueti della cornice, per dirigersi verso il design con la trasposizione delle sue forme nella carta da parati per trasformare l’ambiente in parte medesima dell’opera come in un’installazione permanente.
E si ritorna nel sogno con Sergio Palladini che così risponde alla richiesta di parlare di sé: Ero bello, giovane, biondo e avevo gli occhi azzurri. Volevo fare l’attore non mi fu possibile perché un certo cugino, invidioso non so perché, mi impedì l’accesso al mondo dello spettacolo.
Trascorsi la mia giovinezza in via Trento dove lo sguardo abbracciava una Genova autentica e assoluta; ne fui vittima illustre e portatore di quella realtà e mondo di sogno.
Và da sé che il mio essere pittore genovese e il mio raccontare questa realtà di sogno, mi ha consentito di arrampicarmi sugli alberi narrando la storia più bella e inverosimile della mia città.
Vorrei rammentare che in famiglia mia sorella era negata per il pianoforte, mio fratello l’esatto opposto di Paganini; violino e pianoforte giacciono in cantina, io dipingo.
Queste righe rivelano l’anima delle sue opere prima di goderne con la vista, nonché la sensibile evoluzione dell’iter poetico e tematico dell’artista genovese. Il forte legame fra Palladini e l’humus ligure, in particolare fra l’artista e Genova, porta con sé la concezione di “luogo” radicato nella sensibilità e nel cuore dell’artista, che a lungo si è nutrito dei versi di Camillo Sbarbaro. Così come Eugenio Montale, Fabrizio De André e Arturo Martini (ligure d’adozione) hanno instillato un seme nell’opera dell’autore che con gesti aerei e lievi produce visioni e paesaggi incantanti che si risvegliano in materializzazioni improvvise grazie ad accenti e messe a fuoco di piccoli riquadri immersi in atmosfere rarefatte. Non è importante sapere se questi panorami siano frutto dell’osservazione della realtà o figli di una memoria intrisa di sogno e immaginazione, perché è evidente che la natura rappresentata da queste opere è traslata su un piano interiore, espressione di un temperamento teso a recuperare i veri e semplici sentimenti umani.
Come dichiarato all’inizio, quattro artisti, quattro linguaggi, un chiostro antico: ingredienti prettamente liguri che ci regalano una visione dell’arte contemporanea in un’atmosfera dove il tempo sembra dilatarsi tra presente e passato in una terra appoggiata sul mare e abbracciata dalle montagne.
In occasione della mostra sarà disponibile una sintetica pubblicazione contenente immagini delle opere esposte corredate dai testi: "Segno e materia" di Germano Beringheli per Enzo L'Acqua", "Truka" di Riccardo Zelatore per Giorgio Laveri, Configurazioni in continuo divenire" di Claudio Cerritelli per Vincenzo Marsiglia e per finire "Le radici del sogno" di Silvio Riolfo Marengo per Sergio Palladini.
07
agosto 2004
Gente di Liguria – Il sogno oltre il concreto
Dal 07 agosto al 12 settembre 2004
arte contemporanea
Location
COMPLESSO MONUMENTALE DI SANTA CATERINA
Finale Ligure, Piazza Santa Caterina, (Savona)
Finale Ligure, Piazza Santa Caterina, (Savona)
Orario di apertura
Dalle 18 alle 23
Lunedì e martedì chiuso
Vernissage
7 Agosto 2004, ore 18