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Geografie
Geografie nasce come una collettiva sul viaggio, ma non inteso come fuga dal quotidiano o ricerca del lontano e dell’esotico
Comunicato stampa
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Geografie nasce come una collettiva sul viaggio, ma non inteso come fuga dal quotidiano o ricerca del lontano e dell’esotico. II viaggio di cui ci parlano le immagini e le narrazioni degli artisti in mostra consiste nel tipo di relazione che viene stabilita tra il soggetto e il contesto in cui egli si mette alla prova. Il soggetto è l’artista stesso che ponendosi dalla stessa parte del fruitore si immerge o ricerca il mondo non fatto di luoghi mitici, ma di luoghi definiti dalle persone che li abitano e li praticano. Il luogo di verifica per Christian Jankowski (Göttingen, 1968) in questo suo nuovo lavoro fotografico è la città di Hong Kong, la quale è sintesi perfetta dell’efficienza della modernità come modello occidentale e delle modalità di comunicazioni interpersonali del tempo di internet e dei telefoni cellulari. La città nel suo aspetto asettico e vuoto si fa set per un film fruibile solo attraverso le immagini delle fasi della sua realizzazione in cui si vedono i tecnici (i fuori scena) e il momento in cui gli attori discutono con il regista (interpretato dall’artista stesso). Per Rossella Biscotti (Molfetta, Bari, 1978) si tratta sempre di un confronto con la storia che, nel caso del progetto il sole splende a Kiev si materializza nell’evento del disastro nucleare di Cernobil. L’incidente non è citato e non è evidente nella serie di diapositive, testi e video prodotti dopo un lungo processo di ricerca, ma è usato come spunto per riflettere sul come si possano documentare fatti estremi, sul senso della memoria collettiva e su come essa agisca nella interpretazione delle immagini. Paolo Parisi (Catania, 1965), utilizzando l’astrazione del territorio in forma di mappa geografica, realizza una riflessione sulla pittura astratta e sulla percezione del paesaggio naturale per andar al di là di una visione ingenua o esclusivamente romantica. L’illusione dello spazio rappresentato all’interno del quadro viene annullata per mettere in evidenza lo spazio fisico entro cui lo spettatore osserva le opere creando un punto di vista condivisibile anche con gli altri. Per Roman Ondak (Zilina, Slovakia, 1966), che si confronta sempre con il momento e la situazione in cui le persone si incontrano per fruire della mostra, il tema che affronta è il concetto di casa, inteso come luogo del ritornare. Nel suo video Lucky day l’artista attraversa in silenzio la sua città fino alla fontana della piazza principale per gettarvi delle monetine ribaltando così l’usanza popolare con la quale il turista promette di ritornare nei luoghi visitati.
Le geografie che si danno in questa mostra non hanno niente a che fare con le mete pubblicitarie di svago e neppure con le geografie politiche delle emergenze (praticate e messe in evidenza con successo da molti artisti a partire dalla fine degli anni 90). Le immagini presenti narrano di luoghi con un’identità specifica, ma rappresentati con il filtro dell’esperienza di quella data situazione che hanno permesso che avvenisse e che poi hanno vissuto. Le opere in effetti non parlano tanto del viaggio in se, ma del modo con cui viene condiviso l’incontro con quel particolare luogo del mondo nel momento in cui il viaggio si è concluso. In questo caso l’idea del ritornare è più forte rispetto a quella del partire ed è proprio questa dimensione che consente di riflettere su cosa intendiamo per identità e comunità. L’attualità preme e si offre insistentemente a noi all’interno della mostra attraverso le immagini di varie parti del mondo proponendo un grado di coinvolgimento e condivisione non concesso solitamente ai mezzi di comunicazione. Proprio questa idea di documentare la realtà in tempo reale viene messa in discussione dagli artisti per il loro modo di organizzare le immagini che equivale al modo di raccontare e ripensare la loro esperienza. Allo stesso tempo il riflettere sul potere rappresentativo delle immagini da parte degli artisti invitati, li porta ad operare una necessaria riflessione sull’astrazione. Le immagini si saturano o si sbrecciano manifestando la faccia positiva di quella percentuale di incomprensibilità sempre insita in esse.
VIANUOVA arte contemporanea apre a Firenze con un approccio inedito per una galleria poiché punta a ripensare alle attuali modalità espositive e a riflettere sulla natura del contenitore d'arte e sul suo ruolo di mediazione con il pubblico. LA DISTANZA E' UNA FINZIONE è un ciclo di mostre che parte dalla riflessione sull’ipotetica eredità del moderno (codici, linguaggi, usi attuali, memorie), e su cosa intendiamo adesso per spazio pittorico. Tutte le mostre indagheranno le modalità che gli artisti dalla fine anni novanta usano per definire narrazioni e storie intime quanto condivisibili con lo spettatore, il quale sarà chiamato direttamente in causa dallo spazio/sensazione messo in atto dall'opera. Saranno mostre collettive che vogliono materializzare un'atmosfera e una sensazione ben precisa, più che mostre a tema, in cui ritrovare e stabilire con gesti minimi cosa è il mondo e come può manifestarsi in esso il singolo individuo (artista/spettatore).
La prima mostra che ha inaugurato lo spazio di VIANUOVA arte contemporanea è stata prendendo misure con Ian Kiaer, Didier Courbout e T-Yong Chung. La mostra puntava a ripensare alla città come spazio fisico e concreto in cui stabilire delle relazione con l'altro e non solo come idea, miraggio, o spazio funzionale di attraversamento. La seconda mostra è stata invece coincidenze con Martin Creed, Nedko Solakov, Koo Jeong-A e Jacopo Miliani e puantava a creare una condizione di stupore più che una sua rappresentazione e a stabilire un rapporto diretto con il momento della fruizione dell’opera e ad alzare il normale livello di immaginazione dello spettatore rispetto agli oggetti quotidiani con cui ha sempre a che fare. La terza mostra dal titolo piani sospetti invece puntava a far riflettere gli artisti invitati sul concetto di autoritratto come ricognizione sui codici linguistici del gruppo culturale a cui il soggetto appartiene o proviene. Mark Manders, Carsten Nicolai, Mai-thu Perret, Federico Pietrella, Marcello Simeone puntavano a realizzare un ritratto collettivo.
Le geografie che si danno in questa mostra non hanno niente a che fare con le mete pubblicitarie di svago e neppure con le geografie politiche delle emergenze (praticate e messe in evidenza con successo da molti artisti a partire dalla fine degli anni 90). Le immagini presenti narrano di luoghi con un’identità specifica, ma rappresentati con il filtro dell’esperienza di quella data situazione che hanno permesso che avvenisse e che poi hanno vissuto. Le opere in effetti non parlano tanto del viaggio in se, ma del modo con cui viene condiviso l’incontro con quel particolare luogo del mondo nel momento in cui il viaggio si è concluso. In questo caso l’idea del ritornare è più forte rispetto a quella del partire ed è proprio questa dimensione che consente di riflettere su cosa intendiamo per identità e comunità. L’attualità preme e si offre insistentemente a noi all’interno della mostra attraverso le immagini di varie parti del mondo proponendo un grado di coinvolgimento e condivisione non concesso solitamente ai mezzi di comunicazione. Proprio questa idea di documentare la realtà in tempo reale viene messa in discussione dagli artisti per il loro modo di organizzare le immagini che equivale al modo di raccontare e ripensare la loro esperienza. Allo stesso tempo il riflettere sul potere rappresentativo delle immagini da parte degli artisti invitati, li porta ad operare una necessaria riflessione sull’astrazione. Le immagini si saturano o si sbrecciano manifestando la faccia positiva di quella percentuale di incomprensibilità sempre insita in esse.
VIANUOVA arte contemporanea apre a Firenze con un approccio inedito per una galleria poiché punta a ripensare alle attuali modalità espositive e a riflettere sulla natura del contenitore d'arte e sul suo ruolo di mediazione con il pubblico. LA DISTANZA E' UNA FINZIONE è un ciclo di mostre che parte dalla riflessione sull’ipotetica eredità del moderno (codici, linguaggi, usi attuali, memorie), e su cosa intendiamo adesso per spazio pittorico. Tutte le mostre indagheranno le modalità che gli artisti dalla fine anni novanta usano per definire narrazioni e storie intime quanto condivisibili con lo spettatore, il quale sarà chiamato direttamente in causa dallo spazio/sensazione messo in atto dall'opera. Saranno mostre collettive che vogliono materializzare un'atmosfera e una sensazione ben precisa, più che mostre a tema, in cui ritrovare e stabilire con gesti minimi cosa è il mondo e come può manifestarsi in esso il singolo individuo (artista/spettatore).
La prima mostra che ha inaugurato lo spazio di VIANUOVA arte contemporanea è stata prendendo misure con Ian Kiaer, Didier Courbout e T-Yong Chung. La mostra puntava a ripensare alla città come spazio fisico e concreto in cui stabilire delle relazione con l'altro e non solo come idea, miraggio, o spazio funzionale di attraversamento. La seconda mostra è stata invece coincidenze con Martin Creed, Nedko Solakov, Koo Jeong-A e Jacopo Miliani e puantava a creare una condizione di stupore più che una sua rappresentazione e a stabilire un rapporto diretto con il momento della fruizione dell’opera e ad alzare il normale livello di immaginazione dello spettatore rispetto agli oggetti quotidiani con cui ha sempre a che fare. La terza mostra dal titolo piani sospetti invece puntava a far riflettere gli artisti invitati sul concetto di autoritratto come ricognizione sui codici linguistici del gruppo culturale a cui il soggetto appartiene o proviene. Mark Manders, Carsten Nicolai, Mai-thu Perret, Federico Pietrella, Marcello Simeone puntavano a realizzare un ritratto collettivo.
09
maggio 2007
Geografie
Dal 09 maggio al 30 luglio 2007
arte contemporanea
Location
VIANUOVA ARTE CONTEMPORANEA
Firenze, Via Del Porcellana, 1r, (Firenze)
Firenze, Via Del Porcellana, 1r, (Firenze)
Orario di apertura
ore 16-20
Vernissage
9 Maggio 2007, ore 18
Autore
Curatore