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Geometrie della Memoria
Tra i luoghi e le immagini di Aldo Rossi e Luigi Ghirri
Comunicato stampa
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Geometrie della Memoria. Tra i luoghi e le immagini di Aldo Rossi e Luigi Ghirri
Chiara Visentin e Francesco Bortolini
Premessa
L’arte di ricordare
L’arte della memoria, si sa, ha una antichissima tradizione[1]. Ne parlava già Aristotele e, successivamente, ne hanno fatto esplicito riferimento, teorizzandone le regole, Cicerone, Quintiliano e altri ancora. Tutti gli uomini colti fino al ‘700 ne erano ben a conoscenza.
La mnemotecnica fu una delle più misteriose e considerevoli tecniche immaginative tra quelle che la tradizione ermetica rinascimentale assunse dall'antichità.
L’arte della memoria scompare nell’età di Leibniz[2]. Tra le ragioni del declino ovviamente la redazione di manuali di ogni genere, rubriche, enciclopedie, guide, dizionari, banche dati. Tutti compendi ordinati secondo regole e schemi.
Sono moltissimi i testi e gli autori che hanno fatto riferimento alla memoria e all’ars reminescendi, Giordano Bruno, Robert Fludd, Raimondo Lullo, Giulio Camillo Delminio, Cosma Rosselli, Agrippa, Cornelio Gemma, ma anche Andrea Palladio, Giorgio Vasari, Leon Battista Alberti e Pirro Ligorio.
Caratteristica nell'arte della memoria è l'organizzazione dei luoghi (topoi) in cui collocare determinate immagini da memorizzare. Non serve a ricordare i luoghi, essa è una memoria per luoghi: questi ultimi si organizzano, attraverso un ordine razionale, in elenchi dove la memoria attinge, secondo il bisogno, ad una immagine, funzione fondamentale della mnemotecnica ed elemento di riferimento dei luoghi.
Risulta per tale motivo quanto mai interessante rintracciare nel nostro contemporaneo coloro che in qualche modo si sono riferiti a questo antico metodo, se non seguendone esplicitamente la teoria, almeno avvicinandosi all’universalità del procedimento che combina tra loro i luoghi e le immagini.
La mostra infatti individua i nessi tra questa remota arte combinatoria e la realtà dell’idea attuale del ricordo. Per riscoprirla, adattandola al nostro quotidiano. Un quotidiano ormai abituato ad una tale quantità di informazioni già elaborate ed organizzate che non permette più al fruitore di selezionare, ricordare istanze, parti, momenti. Diventando passivi e superficiali rispetto al passato ma anche al presente. Abituandoci a dimenticare piuttosto che a ricordare.
Aldo Rossi e Luigi Ghirri, insieme a molti artisti e letterati, sono tra i più interessanti di coloro che hanno legato mnemonicamente il mondo della loro poetica interiorità al mondo esterno delle cose, delle immagini, delle forme.
Attraverso l’esperienza e la fantastica invenzione di un grande luogo architettonico quale poteva essere un ideale teatro della memoria, il rinascimentale Giulio Camillo diventa quindi contemporaneo ai due protagonisti principali della mostra. Il valore aggiunto di una analogia poetica entro la maglia rigorosa di un sapere storico scientifico è l’equilibrio nel quale, funambolici acrobati della loro esistenza, l’architetto Aldo Rossi e il fotografo Luigi Ghirri ci allontanano continuamente all’inavvertenza, all’automatismo della noia, all’inerzia della conoscenza, per farci ritrovare le tracce di un mondo che si lasci leggere e ricordare. Un mondo di memoria.
la memoria
Così come nella sua Idea del teatro Giulio Camillo (1480-1544) riprendeva la tradizione ermetica e neoplatonica di un cosmo unitario dove v’era perfetta corrispondenza fra parole e cose, fra realtà e simbolo, fra immagine e oggetto, ipotizzando la creazione di un gioco teatrale in grado di alimentare il sapere attraverso la mente umana, così Rossi e Ghirri hanno associato allusivamente le immagini e i luoghi.
I luoghi e le immagini sono i riferimenti della nostra memoria, che è anche la nostra conoscenza, il nostro sapere. Affiorano frammenti, ricordi, visioni, attraverso la casualità delle azioni quotidiane, attraverso l’incerta capacità di avanzare verso il proprio centro, verso noi stessi.
Isolati nel nostro sguardo addormentato dalla routine, inesperti nell’anima e assuefatti dall’ordinario, siamo pronti ad afferrare la mano protesa dell’artista, di colui che, dotato di una privilegiata sensibilità, ci conduce verso lo spirito inesplorato della nostra esistenza, rendendo geometricamente percorribile il flusso della nostra memoria.
Laddove sarebbe sufficiente ritrovare nei rapporti umani e professionali il legame tra le personalità artistiche di Aldo Rossi e Luigi Ghirri, acquista nuovo interesse l’affinità della loro visione del mondo, all’interno delle due diverse forme di figurazione: l’architettura e la fotografia.
Ispirati, in maniera distinta, ma a tratti convergente, a quei luoghi di coagulazione mnemonica elaborati da Giordano Bruno, Giulio Camillo e Robert Fludd, i due “artisti della memoria”, nel senso rinascimentale del termine, esprimono la loro poetica alla ricerca di una rappresentazione possibile dei luoghi e delle immagini di una memoria collettiva, attraverso l’inevitabile passaggio autobiografico.
E l’accostamento diventa ancora più interessante quando ci accorgiamo che dietro alla forma del loro lavoro vi è “l’inaggirabile rigore di una legge”[3], un’attenzione per l’equilibrio tra rilevazione e rivelazione, per la misura dello spazio e del tempo, per la “geometria intesa socraticamente come disciplina dell’anima”, capace di riaccendere l’osservazione interiore.
Se si pensa inoltre alla connessione intima tra memoria, poesia ed immagini (nel mito greco la memoria è una dea, Mnemosine, ad essa è affidato il compito di mantenere la sopravvivenza dell’identità umana) non si può non intravedere nel valore mnemonico dei lavori di Ghirri e Rossi un necessario potere evocativo ed emozionale: l’importanza memorabile di un testo, di un disegno, di un progetto, di una fotografia.
I luoghi e le immagini di Aldo Rossi
“L’immagine dell’architettura è costituita certamente da una trama di immagini, di ricordi collettivi e personali”[4]
Le corrispondenze tra ricordi e immagini in Aldo Rossi, sia negli scritti che nei progetti, sono da sempre legate alla memoria. Ne sono la prova le sue opere pittoriche e progettuali: esse narrano mondi analoghi e luoghi immaginifici. Scrive nell’Autobiografia scientifica: “Forse l’osservazione delle cose è stata la mia più importante educazione formale; poi l’osservazione si è tramutata in una memoria di queste cose. Ora mi sembra di vederle tutte disposte come utensili in bella fila; allineate come in un erbario, in un elenco, in un dizionario. Ma questo elenco tra immaginazione e memoria non è neutrale, esso ritorna sempre su alcuni oggetti e ne costituisce anche la deformazione o in qualche modo l’evoluzione”[5].
Il più importante ed iconografico di questi elenchi è senza dubbio la grande tavola della Città Analoga del 1976. Il percorso dell’architetto alla ricerca di un'essenzialità archetipa, parte da lì. Una rigorosa Ars Combinatoria della memoria: correspondance culturale, formale ed evocativa di immagini e ricordi, città e paesaggi, storia universale e memoria intimamente personale, le cui regole sono ordinate dai nessi con l’intorno[6].
Oggi, in occasione della mostra esibita nella Biblioteca Palatina, a trent’anni esatti dalla stesura della tavola analoga, il racconto tracciato attraverso la poetica combinatoria di Rossi comincia proprio da questa grande opera, allora presentata alla Biennale di Venezia e definita semplicemente da Rossi: “uno schizzo della situazione urbana”[7].
Interessante che l’opera abbia una forma circolare e che abbia in se una sorta di movimento, come i grandi teatri ed anfiteatri della classicità, come la grande machina spiritalis di Robert Fludd, o l’Horoscopium Universale Magneticum di Gaspare Scoto, o ancora l’Arte Cyclognomica di Cornelio Gemma e il Thesaurus artificiosae Memoriae di Cosma Rosselli.
In questo “teatro” rossiano c’è tutto, tutte le sue immagini, i ricordi, i riferimenti dalla storia e dalle sue esperienze culturali e personali. Una grande tavola per ricordare. Una grande opera di mnemotecnica, personale e collettiva insieme[8], dove l’uomo è collocato nel centro sotto un cielo di stelle[9].
Perché è l’uomo che ricorda. Rossi, un architetto che ha saputo pensare come un pittore[10], evocherà sempre, nei suoi progetti e nei suoi scritti, i ricordi. Rendendo continuamente percorribile e percepibile la dimensione dei ricordi personali: “Avvicinarsi alle ragioni profonde delle cose, agli aspetti privati si può induttivamente risalire alla dimensione generale”[11].
Gli immobili frames della Città Analoga contengono ed incorniciano le rappresentazioni possibili dei luoghi e delle immagini di Rossi, del passato e del futuro, cosicché anche le opere esposte in mostra, cronologicamente lontane e che precedono o seguono la Tavola del 1976, la contengono e ne derivano: i mille mondi analoghi dell’architetto, la sua spazialità euclidea, le forme geometriche, i frammenti, i fatti urbani e le geografie, fino al teatro come vasto luogo di memoria.
L’ordine classificatorio di Ghirri e Rossi presentato nel percorso espositivo, organizzato in schemi e ripetizioni di archetipi, parte verosimilmente per entrambi dalla formazione culturale tecnico-scientifica (se Aldo Rossi era un architetto, il fotografo Luigi Ghirri non solo era geometra per educazione ma per vari anni aveva esercitato tale professione). Quello che ne perviene è un sistema geometrico capace di stimolare la visione interiore e di connettere passato e presente.
Se si dovesse razionalizzare e ridurre la poeticità dei due autori potremmo pensare ad un banale procedimento pratico, dimenticando come la grande arte della memoria ha sempre necessitato di raffinati meccanismi associativi perché i luoghi e le immagini per essere ricordati devono essere, per forza di cose, organizzati in un sincretico ordine.
I luoghi e le immagini di Luigi Ghirri
“i luoghi sono come la carta, le immagini come la scrittura [...] i luoghi sono fissi e non li posso più cambiare, cioè, posso farlo, ma allora costruisco un altro sistema, le immagini sono mobili, sono come la scrittura sulla carta. In questa cosa l'arte della memoria consiste, nel collocare le immagini nei luoghi [….]”[12]
Percorrendo la realtà è possibile raccogliere immagini. Si costituisce un naturale archivio, una personale collezione di ricordi. E tutto può nascere dal caso, anche leggendo il titolo di un articolo di giornale con una frase evocativa (come pensare per immagini), trovato in terra al margine di un marciapiede[13].
Pensare per immagini, passando attraverso la suggestione del pensiero di Giordano Bruno, diventa per Luigi Ghirri, il motto fondamentale del suo sistema di visione. Un sistema che mette alla base della conoscenza il valore combinatorio e associativo, e che possiede la congerie di immagini e di luoghi di un’intensa esperienza personale.
E al pari di un antico cartografo del ‘500, rilevando la realtà e restituendola attraverso i suoi scatti, il fotografo emiliano ci fa ritrovare le tracce di un mondo perduto e dimenticato.
Nello scomporre porzioni di realtà, nell’inquadrare quest’ultima entro una griglia, nel serializzarla, nel cogliere proiezioni ortogonali naturali, nell’individuazione di simmetrie, nel gioco tra associazioni e accostamenti, nel confondere la finzione con la realtà, nel figurare i ricordi, nell’operare astrazioni, Ghirri mette ordine al caos informe delle cose umane, offrendoci l’opportunità di ascendere al celeste Infinito della conoscenza.
“Mettendoli in fila, un dopo l’altro, questi luoghi formano una specie di sequenza strana fatta di pietre, chiese, gesti, luci, nebbie, rami coperti di brina, mari azzurri, diventano il nostro paesaggio impossibile, senza scala, senza un ordine geografico per orientarci, un groviglio di monumenti, luci, pensieri, oggetti, momenti, analogie formano il nostro paesaggio della mente che andiamo a cercare, anche inconsciamente, tutte le volte che guardiamo fuori da una finestra…”[14].
Tutte le immagini e ogni pensiero del fotografo rientrano in una sorta di equilibrio chiaro ed esclusivo entro il quale tutto torna e tutto è contenuto: “come la resa prospettica dello spazio secondo le regole codificate nel De Pictura di Leon Battista Alberti e adottata come norma nella rappresentazione pittorica dell’Umanesimo, si presuppone che gli oggetti scaglionati in profondità, pur riducendosi dimensionalmente rimangono sempre perfettamente nitidi, diversamente dall’effetto introdotto dalla prospettiva aerea leonardesca, così Ghirri educato all’uso della prospettiva architettonica che discende direttamente da quella albertiana, privilegia il fuoco all’infinito e solo raramente sfoca gli sfondi” [15].
La griglia, lo schema geometrico nel quale il procedimento artistico è realizzato è persistente, quasi ossessivo e ben evidente nella narrazione espositiva della mostra. Insieme anche alla grande creatività ed immaginazione: non è semplice intrecciare le ragioni universali della storia, della memoria, del quotidiano fondendole oggettivamente alle pulsioni individuali, fortemente autobiografiche.
Sia Ghirri che Rossi, attraverso la ripetizione, ci trasmettono una garanzia della loro poetica, un sigillo, un modo di vivere. E anche quando il tutto viene dagli stessi autori scompaginato e scomposto, è ancora opera d’arte totale e frammento dell’inventario: come per Aldo Rossi, con l’acquaforte del 1975 Ora questo è perduto e il suo malinconico microcosmo distrutto, così per Luigi Ghirri con le sue ultime fotografie[16], dove una fitta nebbia padana avvolge il riquadro dell’immagine trasformando le cose in incerte e confuse.
Alla fine tutto si ricompone, anche la catastrofe o il realismo nostalgico dei cascinali abbandonati nella nebbia, in una struttura che sistema una singolare ed unitaria visione del mondo.
È interessante la tesi di Gianni Contessi quando parla di una malinconia tutta italiana, la stessa di quella impressa sulla tela da Giorgio De Chirico: stesse malinconie, medesimi misteri e memorie nelle ambientazioni delle piazze italiane e del paesaggio padano[17].
Questo spleen è presente sia nei disegni di Rossi che nelle foto di Luigi Ghirri. È presente nella loro esistenza e nella produzione artistica. Quasi fossero ancora degli artisti rinascimentali, uomini sotto il segno di Saturno. “Mercurio è il patrono dei vivaci e realistici uomini d’azione. Secondo la tradizione antica gli artigiani, fra gli altri, nascono sotto il suo segno. Saturno è il pianeta dei malinconici, e i filosofi del Rinascimento scoprirono che gli artisti emancipati del loro tempo mostravano le caratteristiche del temperamento saturnino: erano contemplativi, assorti, cogitabondi, solitari e creatori. La nuova immagine dell’artista alienato nasce in questo momento critico della storia”[18].
[1] Sull’arte della memoria e sui temi ad essa connessi: Frances Amelia Yates, The Art of Memory, London 1966, trad. it. L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1972; Paolo Rossi, Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Ricciardi, Milano-Napoli 1960; Lina Bolzoni, Il teatro della memoria: studi su Giulio Camillo, Liviana, Padova 1984, id. La stanza della Memoria, modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Einaudi, Torino 1995; Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta, Laterza, Roma-Bari 1993;
[2] vedasi La Cultura della Memoria, a cura di Lina Bolzoni e Pietro Corsi, Il Mulino, Bologna 1992;
[3] Gyorgy Lukacs, L'anima e le forme, Se, Milano 1991;
[4] Aldo Rossi, Teatro del Mondo, Cluva, Venezia 1982, p. 12;
[5] Aldo Rossi, Autobiografia Scientifica, Pratiche Editrice, Parma 1990, p.27;
[6] Walter Benjamin ha scritto “io però sono deformato dai nessi con tutto ciò che mi circonda”, in Walter Benjamin, Il dramma del barocco tedesco (prima ed. 1928), Einaudi, Torino 1999;
[7] “perché ho tracciato questo schizzo della situazione urbana? Perché se devo parlare dell’architettura oggi, della mia o di quella degli altri, ritengo sia importante illuminare i fili che riconducono la fantasia alla realtà e l’una e l’altra alla libertà. Non esiste invenzione, complessità, persino irrazionalità che non sia vista dalla parte della ragione, o almeno, dalla parte della dialettica del concreto. E io credo alla capacità dell’immaginazione come cosa concreta”, Aldo Rossi, La città analoga: tavola, in “Lotus International”, n. 13, Milano 1976, pp. 4-9;
[8] “All’ultima Biennale di Venezia ho esposto una grande tavola intitolata appunto la città analoga, un’opera, come ho detto, collettiva. Quest’opera [il saggio apparso su Lotus n.13, n.d.r.] non è la spiegazione della città analoga anche perché non crediamo che esistano spiegazioni. (…) Mi sembra comunque chiaro che la tavola renda in modo abbastanza plastico l’immagine del significato diverso che progetti distinti producono attraverso un montaggio relativamente arbitrario; per togliere ogni valore meccanico o di meccanismo a questa costruzione gli autori, più o meno automaticamente, hanno introdotto cose, oggetti, ricordi cercando di esprimere una dimensione dell’intorno e della memoria”, Aldo Rossi, La città analoga: tavola, op.cit., pp.6-7;
[9] “tornati a Zurigo fu subito trovata l’immagine da collocare al centro, quella attorno alla quale tutto ruota. Prendemmo le piccole figure inserite nella prospettiva per San Nazario dei Burgundi: quattro figure (quattro come gli autori) e le abbandonammo in un deserto. Da allora camminano lungo un orizzonte, sotto le Pleiadi annotate da Galileo. Sono stelle indifferenti come tutte le altre ma sono stelle illuminate dal desiderio di conoscenza”, tratto dall’intervista di Annalisa Trentin a Fabio Reinhart, in “D’Architettura. Dopo Aldo Rossi”, n. 23 2004, pp.179-182;
[10] “[Aldo Rossi] è un architetto ma anche un artista figurativo, tanto da tradurre in icone uniche ed indimenticabili il dispiegarsi di una ars combinatoria che solo i detrattori potevano ritenere meccanica”, in Gianni Contessi, Vite al limite. Giorgio Morandi, Aldo Rossi, Mark Rothko, Marinotti, Milano 2004, p.153;
[11] Daniele Vitale, L’azzurro del Cielo, in A.A.V.V., Per Aldo Rossi, Marsilio Editore, Venezia 1998, pp.53-54;
[12] Paolo Rossi, intervista redatta da Sergio Benvenuto nel 1994 per http://www.emsf.rai.it/articoli/;
[13] tutto questo compare nella fotografia intitolata Roma 1978 e pubblicata in: Luigi Ghirri, Kodachrome, Punto & Virgola, Modena 1978;
[14] Luigi Ghirri, Il paesaggio impossibile, dattiloscritto, s.d., presso Archivio Ghirri, Reggio Emilia;
[15] Massimo Mussini, Vera fotografia o dell’Ambiguità, in Luigi Ghirri, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Catalogo della mostra tenuta a Ferrara, Palazzo dei Diamanti (11 maggio - 24 giugno 1980), STIG, Parma 1979, p. 18;
[16] come la serie di fotografie di Luigi Ghirri pubblicate in: Arturo Carlo Quintavalle, Viaggio dentro un antico labirinto, D’Adamo, Bergamo 1991;
[17] Gianni Contessi, Vite al limite, op.cit.;
[18] Rudolf Wittkower, Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’Antichità alla Rivoluzione francese, Einaudi, Torino 1968, p.8. Edizione originale: London 1963.
Chiara Visentin e Francesco Bortolini
Premessa
L’arte di ricordare
L’arte della memoria, si sa, ha una antichissima tradizione[1]. Ne parlava già Aristotele e, successivamente, ne hanno fatto esplicito riferimento, teorizzandone le regole, Cicerone, Quintiliano e altri ancora. Tutti gli uomini colti fino al ‘700 ne erano ben a conoscenza.
La mnemotecnica fu una delle più misteriose e considerevoli tecniche immaginative tra quelle che la tradizione ermetica rinascimentale assunse dall'antichità.
L’arte della memoria scompare nell’età di Leibniz[2]. Tra le ragioni del declino ovviamente la redazione di manuali di ogni genere, rubriche, enciclopedie, guide, dizionari, banche dati. Tutti compendi ordinati secondo regole e schemi.
Sono moltissimi i testi e gli autori che hanno fatto riferimento alla memoria e all’ars reminescendi, Giordano Bruno, Robert Fludd, Raimondo Lullo, Giulio Camillo Delminio, Cosma Rosselli, Agrippa, Cornelio Gemma, ma anche Andrea Palladio, Giorgio Vasari, Leon Battista Alberti e Pirro Ligorio.
Caratteristica nell'arte della memoria è l'organizzazione dei luoghi (topoi) in cui collocare determinate immagini da memorizzare. Non serve a ricordare i luoghi, essa è una memoria per luoghi: questi ultimi si organizzano, attraverso un ordine razionale, in elenchi dove la memoria attinge, secondo il bisogno, ad una immagine, funzione fondamentale della mnemotecnica ed elemento di riferimento dei luoghi.
Risulta per tale motivo quanto mai interessante rintracciare nel nostro contemporaneo coloro che in qualche modo si sono riferiti a questo antico metodo, se non seguendone esplicitamente la teoria, almeno avvicinandosi all’universalità del procedimento che combina tra loro i luoghi e le immagini.
La mostra infatti individua i nessi tra questa remota arte combinatoria e la realtà dell’idea attuale del ricordo. Per riscoprirla, adattandola al nostro quotidiano. Un quotidiano ormai abituato ad una tale quantità di informazioni già elaborate ed organizzate che non permette più al fruitore di selezionare, ricordare istanze, parti, momenti. Diventando passivi e superficiali rispetto al passato ma anche al presente. Abituandoci a dimenticare piuttosto che a ricordare.
Aldo Rossi e Luigi Ghirri, insieme a molti artisti e letterati, sono tra i più interessanti di coloro che hanno legato mnemonicamente il mondo della loro poetica interiorità al mondo esterno delle cose, delle immagini, delle forme.
Attraverso l’esperienza e la fantastica invenzione di un grande luogo architettonico quale poteva essere un ideale teatro della memoria, il rinascimentale Giulio Camillo diventa quindi contemporaneo ai due protagonisti principali della mostra. Il valore aggiunto di una analogia poetica entro la maglia rigorosa di un sapere storico scientifico è l’equilibrio nel quale, funambolici acrobati della loro esistenza, l’architetto Aldo Rossi e il fotografo Luigi Ghirri ci allontanano continuamente all’inavvertenza, all’automatismo della noia, all’inerzia della conoscenza, per farci ritrovare le tracce di un mondo che si lasci leggere e ricordare. Un mondo di memoria.
la memoria
Così come nella sua Idea del teatro Giulio Camillo (1480-1544) riprendeva la tradizione ermetica e neoplatonica di un cosmo unitario dove v’era perfetta corrispondenza fra parole e cose, fra realtà e simbolo, fra immagine e oggetto, ipotizzando la creazione di un gioco teatrale in grado di alimentare il sapere attraverso la mente umana, così Rossi e Ghirri hanno associato allusivamente le immagini e i luoghi.
I luoghi e le immagini sono i riferimenti della nostra memoria, che è anche la nostra conoscenza, il nostro sapere. Affiorano frammenti, ricordi, visioni, attraverso la casualità delle azioni quotidiane, attraverso l’incerta capacità di avanzare verso il proprio centro, verso noi stessi.
Isolati nel nostro sguardo addormentato dalla routine, inesperti nell’anima e assuefatti dall’ordinario, siamo pronti ad afferrare la mano protesa dell’artista, di colui che, dotato di una privilegiata sensibilità, ci conduce verso lo spirito inesplorato della nostra esistenza, rendendo geometricamente percorribile il flusso della nostra memoria.
Laddove sarebbe sufficiente ritrovare nei rapporti umani e professionali il legame tra le personalità artistiche di Aldo Rossi e Luigi Ghirri, acquista nuovo interesse l’affinità della loro visione del mondo, all’interno delle due diverse forme di figurazione: l’architettura e la fotografia.
Ispirati, in maniera distinta, ma a tratti convergente, a quei luoghi di coagulazione mnemonica elaborati da Giordano Bruno, Giulio Camillo e Robert Fludd, i due “artisti della memoria”, nel senso rinascimentale del termine, esprimono la loro poetica alla ricerca di una rappresentazione possibile dei luoghi e delle immagini di una memoria collettiva, attraverso l’inevitabile passaggio autobiografico.
E l’accostamento diventa ancora più interessante quando ci accorgiamo che dietro alla forma del loro lavoro vi è “l’inaggirabile rigore di una legge”[3], un’attenzione per l’equilibrio tra rilevazione e rivelazione, per la misura dello spazio e del tempo, per la “geometria intesa socraticamente come disciplina dell’anima”, capace di riaccendere l’osservazione interiore.
Se si pensa inoltre alla connessione intima tra memoria, poesia ed immagini (nel mito greco la memoria è una dea, Mnemosine, ad essa è affidato il compito di mantenere la sopravvivenza dell’identità umana) non si può non intravedere nel valore mnemonico dei lavori di Ghirri e Rossi un necessario potere evocativo ed emozionale: l’importanza memorabile di un testo, di un disegno, di un progetto, di una fotografia.
I luoghi e le immagini di Aldo Rossi
“L’immagine dell’architettura è costituita certamente da una trama di immagini, di ricordi collettivi e personali”[4]
Le corrispondenze tra ricordi e immagini in Aldo Rossi, sia negli scritti che nei progetti, sono da sempre legate alla memoria. Ne sono la prova le sue opere pittoriche e progettuali: esse narrano mondi analoghi e luoghi immaginifici. Scrive nell’Autobiografia scientifica: “Forse l’osservazione delle cose è stata la mia più importante educazione formale; poi l’osservazione si è tramutata in una memoria di queste cose. Ora mi sembra di vederle tutte disposte come utensili in bella fila; allineate come in un erbario, in un elenco, in un dizionario. Ma questo elenco tra immaginazione e memoria non è neutrale, esso ritorna sempre su alcuni oggetti e ne costituisce anche la deformazione o in qualche modo l’evoluzione”[5].
Il più importante ed iconografico di questi elenchi è senza dubbio la grande tavola della Città Analoga del 1976. Il percorso dell’architetto alla ricerca di un'essenzialità archetipa, parte da lì. Una rigorosa Ars Combinatoria della memoria: correspondance culturale, formale ed evocativa di immagini e ricordi, città e paesaggi, storia universale e memoria intimamente personale, le cui regole sono ordinate dai nessi con l’intorno[6].
Oggi, in occasione della mostra esibita nella Biblioteca Palatina, a trent’anni esatti dalla stesura della tavola analoga, il racconto tracciato attraverso la poetica combinatoria di Rossi comincia proprio da questa grande opera, allora presentata alla Biennale di Venezia e definita semplicemente da Rossi: “uno schizzo della situazione urbana”[7].
Interessante che l’opera abbia una forma circolare e che abbia in se una sorta di movimento, come i grandi teatri ed anfiteatri della classicità, come la grande machina spiritalis di Robert Fludd, o l’Horoscopium Universale Magneticum di Gaspare Scoto, o ancora l’Arte Cyclognomica di Cornelio Gemma e il Thesaurus artificiosae Memoriae di Cosma Rosselli.
In questo “teatro” rossiano c’è tutto, tutte le sue immagini, i ricordi, i riferimenti dalla storia e dalle sue esperienze culturali e personali. Una grande tavola per ricordare. Una grande opera di mnemotecnica, personale e collettiva insieme[8], dove l’uomo è collocato nel centro sotto un cielo di stelle[9].
Perché è l’uomo che ricorda. Rossi, un architetto che ha saputo pensare come un pittore[10], evocherà sempre, nei suoi progetti e nei suoi scritti, i ricordi. Rendendo continuamente percorribile e percepibile la dimensione dei ricordi personali: “Avvicinarsi alle ragioni profonde delle cose, agli aspetti privati si può induttivamente risalire alla dimensione generale”[11].
Gli immobili frames della Città Analoga contengono ed incorniciano le rappresentazioni possibili dei luoghi e delle immagini di Rossi, del passato e del futuro, cosicché anche le opere esposte in mostra, cronologicamente lontane e che precedono o seguono la Tavola del 1976, la contengono e ne derivano: i mille mondi analoghi dell’architetto, la sua spazialità euclidea, le forme geometriche, i frammenti, i fatti urbani e le geografie, fino al teatro come vasto luogo di memoria.
L’ordine classificatorio di Ghirri e Rossi presentato nel percorso espositivo, organizzato in schemi e ripetizioni di archetipi, parte verosimilmente per entrambi dalla formazione culturale tecnico-scientifica (se Aldo Rossi era un architetto, il fotografo Luigi Ghirri non solo era geometra per educazione ma per vari anni aveva esercitato tale professione). Quello che ne perviene è un sistema geometrico capace di stimolare la visione interiore e di connettere passato e presente.
Se si dovesse razionalizzare e ridurre la poeticità dei due autori potremmo pensare ad un banale procedimento pratico, dimenticando come la grande arte della memoria ha sempre necessitato di raffinati meccanismi associativi perché i luoghi e le immagini per essere ricordati devono essere, per forza di cose, organizzati in un sincretico ordine.
I luoghi e le immagini di Luigi Ghirri
“i luoghi sono come la carta, le immagini come la scrittura [...] i luoghi sono fissi e non li posso più cambiare, cioè, posso farlo, ma allora costruisco un altro sistema, le immagini sono mobili, sono come la scrittura sulla carta. In questa cosa l'arte della memoria consiste, nel collocare le immagini nei luoghi [….]”[12]
Percorrendo la realtà è possibile raccogliere immagini. Si costituisce un naturale archivio, una personale collezione di ricordi. E tutto può nascere dal caso, anche leggendo il titolo di un articolo di giornale con una frase evocativa (come pensare per immagini), trovato in terra al margine di un marciapiede[13].
Pensare per immagini, passando attraverso la suggestione del pensiero di Giordano Bruno, diventa per Luigi Ghirri, il motto fondamentale del suo sistema di visione. Un sistema che mette alla base della conoscenza il valore combinatorio e associativo, e che possiede la congerie di immagini e di luoghi di un’intensa esperienza personale.
E al pari di un antico cartografo del ‘500, rilevando la realtà e restituendola attraverso i suoi scatti, il fotografo emiliano ci fa ritrovare le tracce di un mondo perduto e dimenticato.
Nello scomporre porzioni di realtà, nell’inquadrare quest’ultima entro una griglia, nel serializzarla, nel cogliere proiezioni ortogonali naturali, nell’individuazione di simmetrie, nel gioco tra associazioni e accostamenti, nel confondere la finzione con la realtà, nel figurare i ricordi, nell’operare astrazioni, Ghirri mette ordine al caos informe delle cose umane, offrendoci l’opportunità di ascendere al celeste Infinito della conoscenza.
“Mettendoli in fila, un dopo l’altro, questi luoghi formano una specie di sequenza strana fatta di pietre, chiese, gesti, luci, nebbie, rami coperti di brina, mari azzurri, diventano il nostro paesaggio impossibile, senza scala, senza un ordine geografico per orientarci, un groviglio di monumenti, luci, pensieri, oggetti, momenti, analogie formano il nostro paesaggio della mente che andiamo a cercare, anche inconsciamente, tutte le volte che guardiamo fuori da una finestra…”[14].
Tutte le immagini e ogni pensiero del fotografo rientrano in una sorta di equilibrio chiaro ed esclusivo entro il quale tutto torna e tutto è contenuto: “come la resa prospettica dello spazio secondo le regole codificate nel De Pictura di Leon Battista Alberti e adottata come norma nella rappresentazione pittorica dell’Umanesimo, si presuppone che gli oggetti scaglionati in profondità, pur riducendosi dimensionalmente rimangono sempre perfettamente nitidi, diversamente dall’effetto introdotto dalla prospettiva aerea leonardesca, così Ghirri educato all’uso della prospettiva architettonica che discende direttamente da quella albertiana, privilegia il fuoco all’infinito e solo raramente sfoca gli sfondi” [15].
La griglia, lo schema geometrico nel quale il procedimento artistico è realizzato è persistente, quasi ossessivo e ben evidente nella narrazione espositiva della mostra. Insieme anche alla grande creatività ed immaginazione: non è semplice intrecciare le ragioni universali della storia, della memoria, del quotidiano fondendole oggettivamente alle pulsioni individuali, fortemente autobiografiche.
Sia Ghirri che Rossi, attraverso la ripetizione, ci trasmettono una garanzia della loro poetica, un sigillo, un modo di vivere. E anche quando il tutto viene dagli stessi autori scompaginato e scomposto, è ancora opera d’arte totale e frammento dell’inventario: come per Aldo Rossi, con l’acquaforte del 1975 Ora questo è perduto e il suo malinconico microcosmo distrutto, così per Luigi Ghirri con le sue ultime fotografie[16], dove una fitta nebbia padana avvolge il riquadro dell’immagine trasformando le cose in incerte e confuse.
Alla fine tutto si ricompone, anche la catastrofe o il realismo nostalgico dei cascinali abbandonati nella nebbia, in una struttura che sistema una singolare ed unitaria visione del mondo.
È interessante la tesi di Gianni Contessi quando parla di una malinconia tutta italiana, la stessa di quella impressa sulla tela da Giorgio De Chirico: stesse malinconie, medesimi misteri e memorie nelle ambientazioni delle piazze italiane e del paesaggio padano[17].
Questo spleen è presente sia nei disegni di Rossi che nelle foto di Luigi Ghirri. È presente nella loro esistenza e nella produzione artistica. Quasi fossero ancora degli artisti rinascimentali, uomini sotto il segno di Saturno. “Mercurio è il patrono dei vivaci e realistici uomini d’azione. Secondo la tradizione antica gli artigiani, fra gli altri, nascono sotto il suo segno. Saturno è il pianeta dei malinconici, e i filosofi del Rinascimento scoprirono che gli artisti emancipati del loro tempo mostravano le caratteristiche del temperamento saturnino: erano contemplativi, assorti, cogitabondi, solitari e creatori. La nuova immagine dell’artista alienato nasce in questo momento critico della storia”[18].
[1] Sull’arte della memoria e sui temi ad essa connessi: Frances Amelia Yates, The Art of Memory, London 1966, trad. it. L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1972; Paolo Rossi, Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Ricciardi, Milano-Napoli 1960; Lina Bolzoni, Il teatro della memoria: studi su Giulio Camillo, Liviana, Padova 1984, id. La stanza della Memoria, modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Einaudi, Torino 1995; Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta, Laterza, Roma-Bari 1993;
[2] vedasi La Cultura della Memoria, a cura di Lina Bolzoni e Pietro Corsi, Il Mulino, Bologna 1992;
[3] Gyorgy Lukacs, L'anima e le forme, Se, Milano 1991;
[4] Aldo Rossi, Teatro del Mondo, Cluva, Venezia 1982, p. 12;
[5] Aldo Rossi, Autobiografia Scientifica, Pratiche Editrice, Parma 1990, p.27;
[6] Walter Benjamin ha scritto “io però sono deformato dai nessi con tutto ciò che mi circonda”, in Walter Benjamin, Il dramma del barocco tedesco (prima ed. 1928), Einaudi, Torino 1999;
[7] “perché ho tracciato questo schizzo della situazione urbana? Perché se devo parlare dell’architettura oggi, della mia o di quella degli altri, ritengo sia importante illuminare i fili che riconducono la fantasia alla realtà e l’una e l’altra alla libertà. Non esiste invenzione, complessità, persino irrazionalità che non sia vista dalla parte della ragione, o almeno, dalla parte della dialettica del concreto. E io credo alla capacità dell’immaginazione come cosa concreta”, Aldo Rossi, La città analoga: tavola, in “Lotus International”, n. 13, Milano 1976, pp. 4-9;
[8] “All’ultima Biennale di Venezia ho esposto una grande tavola intitolata appunto la città analoga, un’opera, come ho detto, collettiva. Quest’opera [il saggio apparso su Lotus n.13, n.d.r.] non è la spiegazione della città analoga anche perché non crediamo che esistano spiegazioni. (…) Mi sembra comunque chiaro che la tavola renda in modo abbastanza plastico l’immagine del significato diverso che progetti distinti producono attraverso un montaggio relativamente arbitrario; per togliere ogni valore meccanico o di meccanismo a questa costruzione gli autori, più o meno automaticamente, hanno introdotto cose, oggetti, ricordi cercando di esprimere una dimensione dell’intorno e della memoria”, Aldo Rossi, La città analoga: tavola, op.cit., pp.6-7;
[9] “tornati a Zurigo fu subito trovata l’immagine da collocare al centro, quella attorno alla quale tutto ruota. Prendemmo le piccole figure inserite nella prospettiva per San Nazario dei Burgundi: quattro figure (quattro come gli autori) e le abbandonammo in un deserto. Da allora camminano lungo un orizzonte, sotto le Pleiadi annotate da Galileo. Sono stelle indifferenti come tutte le altre ma sono stelle illuminate dal desiderio di conoscenza”, tratto dall’intervista di Annalisa Trentin a Fabio Reinhart, in “D’Architettura. Dopo Aldo Rossi”, n. 23 2004, pp.179-182;
[10] “[Aldo Rossi] è un architetto ma anche un artista figurativo, tanto da tradurre in icone uniche ed indimenticabili il dispiegarsi di una ars combinatoria che solo i detrattori potevano ritenere meccanica”, in Gianni Contessi, Vite al limite. Giorgio Morandi, Aldo Rossi, Mark Rothko, Marinotti, Milano 2004, p.153;
[11] Daniele Vitale, L’azzurro del Cielo, in A.A.V.V., Per Aldo Rossi, Marsilio Editore, Venezia 1998, pp.53-54;
[12] Paolo Rossi, intervista redatta da Sergio Benvenuto nel 1994 per http://www.emsf.rai.it/articoli/;
[13] tutto questo compare nella fotografia intitolata Roma 1978 e pubblicata in: Luigi Ghirri, Kodachrome, Punto & Virgola, Modena 1978;
[14] Luigi Ghirri, Il paesaggio impossibile, dattiloscritto, s.d., presso Archivio Ghirri, Reggio Emilia;
[15] Massimo Mussini, Vera fotografia o dell’Ambiguità, in Luigi Ghirri, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Catalogo della mostra tenuta a Ferrara, Palazzo dei Diamanti (11 maggio - 24 giugno 1980), STIG, Parma 1979, p. 18;
[16] come la serie di fotografie di Luigi Ghirri pubblicate in: Arturo Carlo Quintavalle, Viaggio dentro un antico labirinto, D’Adamo, Bergamo 1991;
[17] Gianni Contessi, Vite al limite, op.cit.;
[18] Rudolf Wittkower, Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’Antichità alla Rivoluzione francese, Einaudi, Torino 1968, p.8. Edizione originale: London 1963.
23
ottobre 2006
Geometrie della Memoria
Dal 23 ottobre al 03 novembre 2006
architettura
fotografia
fotografia
Location
BIBLIOTECA PALATINA
Parma, Piazza Della Pilotta, 3, (Parma)
Parma, Piazza Della Pilotta, 3, (Parma)
Vernissage
23 Ottobre 2006, ore 17
Autore
Curatore