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Geometrie variabili
L’insieme dei lavori esposti alla galleria Zamenhof – le geometrie – nelle diverse declinazioni prospettate – variabili – offre uno spaccato allettante delle innumerevoli potenzialità dell’astrattismo geometrico che ancora oggi, dopo un secolo dalle prime sperimentazioni, non smette di rinnovarsi.
Comunicato stampa
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Il riferimento ai rigorosi assiomi e ai complessi teoremi della geometria, ovvero a quella parte della scienza matematica che tratta di forme nel piano e nello spazio, appare in stridente contrasto con l’idea comune di arte, attività umana legata al mondo sensoriale delle emozioni. La diffidenza ad associare arte e geometria non è del tutto debellata neppure oggi, neppure dopo diverse, importanti “dimostrazioni”.
“Mentre il poeta può essere o no figurativo, il pittore deve esserlo sempre”: il pensiero di Gilbert, il personaggio di un saggio di Oscar Wilde pubblicato a fine Ottocento, non solo dimostra il comune spirito all’epoca delle sperimentazioni di Malevic e Mondrian, ma spesso traduce un sentimento diffuso ancora oggi. L’arte astratta risulta ancora difficile da “digerire”, l’astrattismo geometrico e le sue diverse declinazioni una negazione del concetto di arte, nei casi migliori un semplice esercizio, in quelli peggiori una forma di non arte. Manca ancora una predisposizione d’animo ed un’apertura di mente capace di andare oltre, capace di cogliere la profonda “sensibilità” dell’arte astratta.
Malevic inizia il Manifesto del suprematismo, pubblicato nel 1915, definendo il suprematismo come “la supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative”. L’idea che Malevic ha dell’arte astratta è quella di “un deserto dove nulla è riconoscibile, eccetto la sensibilità”. Così il quadrato nero sullo sfondo bianco è stata la prima “forma di espressione della sensibilità non oggettiva” in cui il quadrato rappresenta la sensibilità e il fondo bianco è il nulla, il deserto, ovvero ciò che è al di fuori della sensibilità.
Le intuizioni di Malevic, come quelle di Mondrian e di Kandinskj, introdussero un filone di ricerca e di sperimentazione che ebbe seguito durante tutto il secolo e che non si è esaurito neppure oggi: quello dell’arte astratta, non oggettiva. Con opportune differenze: Malevic – Mondrian posero i presupposti delle loro teorie su basi rigorose, ascetiche, tendenti a superare le fluttuazioni delle passioni troppo vicine al mondo reale, mentre Kandinskj fondava le proprie intuizioni sulle possibilità emotive, sul raggiungimento di un’estasi improvvisa, mistica che potesse congiungere l’uomo alla sostanza spirituale dell’universo.
Gli artisti oggi in mostra alla Zamenhof continuano percorso intrapreso dai pionieri di ieri ed aggiungono qualcosa di nuovo, di moderno e di attuale.
I lavori di Antonio Saporito, eleganti ed essenziali, sviluppando alcune intuizioni dei primi astrattisti geometrici, forse proprio di Klee ai tempi della Bauhaus, trasmettono un senso di serenità, di equilibrio e di ordine che lascia intuire una visione ottimistica del mondo. I giochi di luci ed ombre, le superfici levigate dell’alluminio interrotte qua e là da ordinate ferite di colore, le equilibrate alternanze di pieni e vuoti dimostrano la sapienza compositiva dell’artista ed il suo coraggioso modo di esprimersi teso ad esplorare i percorsi più nascosti dell’arte, lontani dal conoscibile e dal visibile.
I complessi ed elaborati lavori di Fiorenzo Barindelli in cui l’apparente ridotta policromia nasconde il sapiente utilizzo delle innumerevoli tonalità del colore continuano il discorso avviato da Vaserely. Giocose geometrie sublimate dall’estesi del colore riempiono, seguendo precise architetture, le ampie tele di Barindelli che sembrano dotate di una propria luminosità.
Meno geometrici appaiono i lavori di Marco Cressotti, le sue tele trattate che tendono al tridimensionale, i loro avvolgimenti, quelle pieghe che lasciano intravedere lo spazio oltre l’opera. In realtà ogni suo lavoro si caratterizza per spazi ben definiti, per un alternarsi armonioso di pieni e vuoti, di linee rette e nastri rotondeggianti che in qualche modo si riferiscono alla realtà di ogni giorno, di cui viene sapientemente tratteggiata la sua essenzialità.
Che i titoli dei lavori di Alberto Besson alludano ad un mondo reale che nella visione delle opere non è presente non è un caso. Non è un caso, infatti, che l’artista cerchi l’essenza delle cose attraverso una pittura astratta, caratterizzata da colori e forme la cui massa imponente fatta di tanti piccoli segni non nasconde, che richiede un’osservazione attenta, al di là di una visione fuggevole.
Della sua passione per la musica Alessandro Pedrini non tace nulla: l’armonia, la giocosità e l’equilibrio dei suoni appare evidente anche nei dipinti, festosi manifesti di astrazione geometrica in cui l’uso di colori accesi e vivaci e l’imporsi di curve e tondi esprime tutta la sua passionalità e vitalità.
I lavori di Carlo Ambrogio Crespi, i suoi grandi reticolati, risultano essere l’ultima fase della produzione del prolifico artista milanese che giunge alle forme astratte quale traguardo di una attiva e lunga carriera artistica. Da sempre artista figurativo affezionato alle rappresentazioni del paesaggio urbano, trova nell’astrazione la possibilità di una “visione dall’alto” della città, dei quartieri di periferia – i blocks, degli isolati che era abituato a dipingere “dal basso”. Questa diversa impostazione, dall’”alto”, allude forse anche ad una sintesi estrema del lavoro di una vita che attraverso una semplificazione estrema ed audace, tralasciando il particolare, mira a cogliere l’essenza, il cuore della metropoli tanto amata dal pittore.
Infine Fabrizio Pedrali, scultore. Non è un caso che sia stato il vincitore del premio “Lucio Fontana” per l’opera più originale all’interno del concorso d’arte “il Segno”. Bel riassume il senso del suo lavoro il giudizio espresso dalla giuria che definisce i suoi lavori “opera interattiva di grande rigore formale e piacevolezza estetica (che) si colloca coerentemente nell’alveo di una ricerca orientata alla sperimentazione del movimento e di un rapporto aperto, dinamico e inquieto tra le forme e lo spazio”.
L’insieme dei lavori esposti – le geometrie – nelle diverse declinazioni prospettate – variabili – offre uno spaccato allettante delle innumerevoli potenzialità dell’astrattismo geometrico che ancora oggi, dopo un secolo dalle prime sperimentazioni, non smette di rinnovarsi, svelando ancora momenti di piacevole sorpresa.
Stefano Quatrini
“Mentre il poeta può essere o no figurativo, il pittore deve esserlo sempre”: il pensiero di Gilbert, il personaggio di un saggio di Oscar Wilde pubblicato a fine Ottocento, non solo dimostra il comune spirito all’epoca delle sperimentazioni di Malevic e Mondrian, ma spesso traduce un sentimento diffuso ancora oggi. L’arte astratta risulta ancora difficile da “digerire”, l’astrattismo geometrico e le sue diverse declinazioni una negazione del concetto di arte, nei casi migliori un semplice esercizio, in quelli peggiori una forma di non arte. Manca ancora una predisposizione d’animo ed un’apertura di mente capace di andare oltre, capace di cogliere la profonda “sensibilità” dell’arte astratta.
Malevic inizia il Manifesto del suprematismo, pubblicato nel 1915, definendo il suprematismo come “la supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative”. L’idea che Malevic ha dell’arte astratta è quella di “un deserto dove nulla è riconoscibile, eccetto la sensibilità”. Così il quadrato nero sullo sfondo bianco è stata la prima “forma di espressione della sensibilità non oggettiva” in cui il quadrato rappresenta la sensibilità e il fondo bianco è il nulla, il deserto, ovvero ciò che è al di fuori della sensibilità.
Le intuizioni di Malevic, come quelle di Mondrian e di Kandinskj, introdussero un filone di ricerca e di sperimentazione che ebbe seguito durante tutto il secolo e che non si è esaurito neppure oggi: quello dell’arte astratta, non oggettiva. Con opportune differenze: Malevic – Mondrian posero i presupposti delle loro teorie su basi rigorose, ascetiche, tendenti a superare le fluttuazioni delle passioni troppo vicine al mondo reale, mentre Kandinskj fondava le proprie intuizioni sulle possibilità emotive, sul raggiungimento di un’estasi improvvisa, mistica che potesse congiungere l’uomo alla sostanza spirituale dell’universo.
Gli artisti oggi in mostra alla Zamenhof continuano percorso intrapreso dai pionieri di ieri ed aggiungono qualcosa di nuovo, di moderno e di attuale.
I lavori di Antonio Saporito, eleganti ed essenziali, sviluppando alcune intuizioni dei primi astrattisti geometrici, forse proprio di Klee ai tempi della Bauhaus, trasmettono un senso di serenità, di equilibrio e di ordine che lascia intuire una visione ottimistica del mondo. I giochi di luci ed ombre, le superfici levigate dell’alluminio interrotte qua e là da ordinate ferite di colore, le equilibrate alternanze di pieni e vuoti dimostrano la sapienza compositiva dell’artista ed il suo coraggioso modo di esprimersi teso ad esplorare i percorsi più nascosti dell’arte, lontani dal conoscibile e dal visibile.
I complessi ed elaborati lavori di Fiorenzo Barindelli in cui l’apparente ridotta policromia nasconde il sapiente utilizzo delle innumerevoli tonalità del colore continuano il discorso avviato da Vaserely. Giocose geometrie sublimate dall’estesi del colore riempiono, seguendo precise architetture, le ampie tele di Barindelli che sembrano dotate di una propria luminosità.
Meno geometrici appaiono i lavori di Marco Cressotti, le sue tele trattate che tendono al tridimensionale, i loro avvolgimenti, quelle pieghe che lasciano intravedere lo spazio oltre l’opera. In realtà ogni suo lavoro si caratterizza per spazi ben definiti, per un alternarsi armonioso di pieni e vuoti, di linee rette e nastri rotondeggianti che in qualche modo si riferiscono alla realtà di ogni giorno, di cui viene sapientemente tratteggiata la sua essenzialità.
Che i titoli dei lavori di Alberto Besson alludano ad un mondo reale che nella visione delle opere non è presente non è un caso. Non è un caso, infatti, che l’artista cerchi l’essenza delle cose attraverso una pittura astratta, caratterizzata da colori e forme la cui massa imponente fatta di tanti piccoli segni non nasconde, che richiede un’osservazione attenta, al di là di una visione fuggevole.
Della sua passione per la musica Alessandro Pedrini non tace nulla: l’armonia, la giocosità e l’equilibrio dei suoni appare evidente anche nei dipinti, festosi manifesti di astrazione geometrica in cui l’uso di colori accesi e vivaci e l’imporsi di curve e tondi esprime tutta la sua passionalità e vitalità.
I lavori di Carlo Ambrogio Crespi, i suoi grandi reticolati, risultano essere l’ultima fase della produzione del prolifico artista milanese che giunge alle forme astratte quale traguardo di una attiva e lunga carriera artistica. Da sempre artista figurativo affezionato alle rappresentazioni del paesaggio urbano, trova nell’astrazione la possibilità di una “visione dall’alto” della città, dei quartieri di periferia – i blocks, degli isolati che era abituato a dipingere “dal basso”. Questa diversa impostazione, dall’”alto”, allude forse anche ad una sintesi estrema del lavoro di una vita che attraverso una semplificazione estrema ed audace, tralasciando il particolare, mira a cogliere l’essenza, il cuore della metropoli tanto amata dal pittore.
Infine Fabrizio Pedrali, scultore. Non è un caso che sia stato il vincitore del premio “Lucio Fontana” per l’opera più originale all’interno del concorso d’arte “il Segno”. Bel riassume il senso del suo lavoro il giudizio espresso dalla giuria che definisce i suoi lavori “opera interattiva di grande rigore formale e piacevolezza estetica (che) si colloca coerentemente nell’alveo di una ricerca orientata alla sperimentazione del movimento e di un rapporto aperto, dinamico e inquieto tra le forme e lo spazio”.
L’insieme dei lavori esposti – le geometrie – nelle diverse declinazioni prospettate – variabili – offre uno spaccato allettante delle innumerevoli potenzialità dell’astrattismo geometrico che ancora oggi, dopo un secolo dalle prime sperimentazioni, non smette di rinnovarsi, svelando ancora momenti di piacevole sorpresa.
Stefano Quatrini
10
febbraio 2010
Geometrie variabili
Dal 10 febbraio al 07 marzo 2010
arte contemporanea
Location
ZAMENHOF
Milano, Via Ludovico Lazzaro Zamenhof, 11, (Milano)
Milano, Via Ludovico Lazzaro Zamenhof, 11, (Milano)
Orario di apertura
da mercoledì a domenica ore 15-19
Vernissage
10 Febbraio 2010, ore 18.30
Autore
Curatore