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Ghiglia. Classico&Moderno
La mostra si prefigge di delineare, attraverso una sceltissima selezione di circa 50 dipinti tra capolavori celebri e opere fondamentali non viste da tempo, la complessa vicenda di Oscar Ghiglia (1876-1945) uno tra i pittori più originali e controversi del Novecento.
Comunicato stampa
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L’appuntamento estivo del Centro Matteucci per l’Arte Moderna è, quest’anno, riservato ad Oscar Ghiglia, il più italiano ed insieme il più europeo degli artisti italiani d’inizio Novecento.
A rendere ancor più imperdibile la mostra, giunge ora la notizia del prestito di due celebri opere di Modigliani, L’enfant gras e Tête de femme rousse, eccezionalmente concesse rispettivamente dalla Pinacoteca di Brera e dalla GAM di Torino.
La loro presenza permetterà di cogliere le reciproche influenze dei due artisti, sulla base della loro formazione giovanile a Livorno. Possiamo dunque affermare che è una delle prime volte in cui verranno presi in esame gli stretti legami tra Ghiglia e Modigliani, nonché la considerazione nutrita da quest’ultimo per il più maturo amico, anche dopo il trasferimento a Parigi.
Questa selezionatissima monografica - accanto ai capolavori più noti di colui che, in modo del tutto personale, ha saputo aggiornare la lezione di Fattori - espone per la prima volta, una ventina di opere fondamentali, che sino ad ora, mai erano uscite dai raffinati salotti di un collezionista d’eccezione.
“Oscar Ghiglia. Classico e moderno”, la mostra curata da Elisabetta Matteucci, sarà visibile al Centro Matteucci dal 6 luglio al 4 novembre.
“In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”. La nota affermazione di Modigliani, riferita da Anselmo Bucci nei “Ricordi parigini” (1931), contrasta con il silenzio venutosi a creare attorno a Ghiglia dopo la morte. Condizione riservata, come osservava Carlo Ludovico Ragghianti nel 1967 in occasione della mostra “Arte Moderna in
Italia. 1915-1935”, a quell’intera generazione d’artisti penalizzata dal “giudizio negativo sul fascismo”.
È con gli studi di Raffaele Monti e Renato Barilli della metà degli anni settanta, confluiti in una serie di mostre monografiche rivelatrici di un grande talento, che il livornese comincia ad essere preso in considerazione, rappresentando un “caso” che incarna, in termini esemplari, la cultura figurativa dei primi decenni del Novecento. Una pittura, la sua, priva di contaminazioni anche per il tratto umbratile e scontroso del personaggio, non molto aperto alle relazioni, spesso in contrasto anche con amici vicini, come Giovanni Papini e Amedeo Modigliani.
Se del primo, dopo la condivisione delle idee attraverso la collaborazione con Spadini, Borgese e Prezzolini al “Leonardo”, mal digerì la svolta futurista, della frattura con il secondo sfuggono le ragioni. A testimonianza di un sodalizio, che per i riflessi sull’opera appare tra i più fertili e intensi dell’arte moderna, restano le famose cinque lettere inviate, nel 1901, durante il soggiorno a Venezia e Capri, da Modigliani a Ghiglia; il tono è di un giovane che, aprendosi al mondo, intravede nell’artista più maturo il proprio alter ego.
Formatosi nella Firenze “modernista” delle mostre rivoluzionarie della Promotrice e di Palazzo Corsini, da autodidatta di grande talento Ghiglia si rivela tra i più ricettivi alle nuove istanze cosmopolite, declinanti in una pittura di pura invenzione, dove classico e moderno idealmente si fondono. A cogliere in anticipo l’essenza di questo doppio registro è Llewelyn Lloyd che definisce l’arte dell’amico “originalissima non somigliante a nessun’altra, che non ha punti di riferimento né coi macchiaioli toscani né con l’impressionismo francese”. Nell’estrema generosità, il giudizio tralascia, però, i poli essenziali di riferimento: Fattori e Cézanne, dei quali Ghiglia ha percepito l’elevata caratura, rapportandovisi come ad un magistero più che come ad un modello.
Negli oltre quaranta capolavori in mostra tali radici emergono inequivocabilmente, sebbene il livornese non abbia mai smesso di guardare al di là delle Alpi.
In una lettera a Natali allora a Parigi scrive: “Perché non vai a trovare Rosso? Come italiano e giovine artista tu dovresti farlo (…) Digli che io lo saluto considerandolo una delle più grandi glorie di questo secolo e che spero di poterlo presto abbracciare. Sono contento che ti piaccia Van Gogh, ma cerca ancora di vedere Cézanne, ti convincerai che il passato, così, è l’avvenire”.
A rendere ancor più imperdibile la mostra, giunge ora la notizia del prestito di due celebri opere di Modigliani, L’enfant gras e Tête de femme rousse, eccezionalmente concesse rispettivamente dalla Pinacoteca di Brera e dalla GAM di Torino.
La loro presenza permetterà di cogliere le reciproche influenze dei due artisti, sulla base della loro formazione giovanile a Livorno. Possiamo dunque affermare che è una delle prime volte in cui verranno presi in esame gli stretti legami tra Ghiglia e Modigliani, nonché la considerazione nutrita da quest’ultimo per il più maturo amico, anche dopo il trasferimento a Parigi.
Questa selezionatissima monografica - accanto ai capolavori più noti di colui che, in modo del tutto personale, ha saputo aggiornare la lezione di Fattori - espone per la prima volta, una ventina di opere fondamentali, che sino ad ora, mai erano uscite dai raffinati salotti di un collezionista d’eccezione.
“Oscar Ghiglia. Classico e moderno”, la mostra curata da Elisabetta Matteucci, sarà visibile al Centro Matteucci dal 6 luglio al 4 novembre.
“In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”. La nota affermazione di Modigliani, riferita da Anselmo Bucci nei “Ricordi parigini” (1931), contrasta con il silenzio venutosi a creare attorno a Ghiglia dopo la morte. Condizione riservata, come osservava Carlo Ludovico Ragghianti nel 1967 in occasione della mostra “Arte Moderna in
Italia. 1915-1935”, a quell’intera generazione d’artisti penalizzata dal “giudizio negativo sul fascismo”.
È con gli studi di Raffaele Monti e Renato Barilli della metà degli anni settanta, confluiti in una serie di mostre monografiche rivelatrici di un grande talento, che il livornese comincia ad essere preso in considerazione, rappresentando un “caso” che incarna, in termini esemplari, la cultura figurativa dei primi decenni del Novecento. Una pittura, la sua, priva di contaminazioni anche per il tratto umbratile e scontroso del personaggio, non molto aperto alle relazioni, spesso in contrasto anche con amici vicini, come Giovanni Papini e Amedeo Modigliani.
Se del primo, dopo la condivisione delle idee attraverso la collaborazione con Spadini, Borgese e Prezzolini al “Leonardo”, mal digerì la svolta futurista, della frattura con il secondo sfuggono le ragioni. A testimonianza di un sodalizio, che per i riflessi sull’opera appare tra i più fertili e intensi dell’arte moderna, restano le famose cinque lettere inviate, nel 1901, durante il soggiorno a Venezia e Capri, da Modigliani a Ghiglia; il tono è di un giovane che, aprendosi al mondo, intravede nell’artista più maturo il proprio alter ego.
Formatosi nella Firenze “modernista” delle mostre rivoluzionarie della Promotrice e di Palazzo Corsini, da autodidatta di grande talento Ghiglia si rivela tra i più ricettivi alle nuove istanze cosmopolite, declinanti in una pittura di pura invenzione, dove classico e moderno idealmente si fondono. A cogliere in anticipo l’essenza di questo doppio registro è Llewelyn Lloyd che definisce l’arte dell’amico “originalissima non somigliante a nessun’altra, che non ha punti di riferimento né coi macchiaioli toscani né con l’impressionismo francese”. Nell’estrema generosità, il giudizio tralascia, però, i poli essenziali di riferimento: Fattori e Cézanne, dei quali Ghiglia ha percepito l’elevata caratura, rapportandovisi come ad un magistero più che come ad un modello.
Negli oltre quaranta capolavori in mostra tali radici emergono inequivocabilmente, sebbene il livornese non abbia mai smesso di guardare al di là delle Alpi.
In una lettera a Natali allora a Parigi scrive: “Perché non vai a trovare Rosso? Come italiano e giovine artista tu dovresti farlo (…) Digli che io lo saluto considerandolo una delle più grandi glorie di questo secolo e che spero di poterlo presto abbracciare. Sono contento che ti piaccia Van Gogh, ma cerca ancora di vedere Cézanne, ti convincerai che il passato, così, è l’avvenire”.
05
luglio 2018
Ghiglia. Classico&Moderno
Dal 05 luglio al 04 novembre 2018
arte moderna e contemporanea
arte moderna
arte moderna
Location
CENTRO MATTEUCCI PER L’ARTE MODERNA
Viareggio, Via Gabriele D'annunzio, 28, (Lucca)
Viareggio, Via Gabriele D'annunzio, 28, (Lucca)
Biglietti
intero € 8,00 ; ridotto € 5,00
Orario di apertura
dal 6 luglio al 9 settembre:
martedì-venerdì : 17.30-22.30
sabato-domenica : 10.00-13.00/17.30-22.30
lunedì chiuso
dal 11 settembre al 4 novembre:
martedì-mercoledì : visite per gruppi
giovedì-venerdì : 15.30-19.30
sabato-domenica : 10.00-13.00/15.30-19.30
lunedì chiuso
Vernissage
5 Luglio 2018, ore 18.00, su invito
Autore
Curatore