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Giacomo D’Aguanno – La Città Perduta
Gli scatti di D’Aguanno ci mettono davanti una città indifesa, violentata e malinconica, che riesce ad essere sempre poetica e bellissima, anche quando mostra le sue ferite, le sue complessità, le sue fragilità, e appare perduta
Comunicato stampa
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LA CITTA’ PERDUTA DI GIACOMO D’AGUANNO
Quando pensiamo alle città perdute ci vengono in mente le città scomparse del passato,
quelle distrutte da storiche calamità naturali, che sono state cancellate dal tempo,
dimenticate per secoli, segnate per sempre, che non esistono più o che sono
completamente disabitate, ma che ancora conservano un fascino fortissimo: tra miti e
leggende, penso ad Atlantide, a Machu Picchu, a Petra, Cartagine, Pompei… Ma la Città
Perduta di Giacomo d'Aguanno non è tra queste.
La sua è quella che lui da sempre vive, che ogni giorno osserva, che magistralmente
fotografa; è la sua città, è la sua Palermo.
Giacomo riesce a immortalarla sempre bellissima, splendida, poetica, anche quando
mostra le sue ferite, anche quando la ritrae nelle sue complessità e nelle sue fragilità: una
Palermo indifesa, violentata, malinconica e - per l’appunto - perduta.
La sua città da un lato ha il mare (la costa sud, il litorale di Sant’Erasmo, la spiaggia
depredata), dall’altro ha il centro popolato (le balate, le botteghe, i mercati e i suoi
abitanti). E’ una città avvolta dai fantasmi dei bombardamenti, dagli spiriti dei terremoti,
dagli spettri del “sacco”, che sopravvive tra sogni e utopie, tra macerie e poesie. Una
poesia silenziosa che non manca mai, nonostante da essa vengano fuori voci scomode,
spiazzanti, che rivelano una estetica della distruzione che il fotografo scopre negli scorci,
negli angoli, nei vicoli. Palermo tout court, quella che quotidianamente ci scorre davanti,
con le sue brutture, con le sue assurdità, con la sua triste, ma sempre fiera, bellezza.
Sono immagini che conosciamo bene, a cui siamo abituati, ma che attraverso lo sguardo
profondo e analitico del fotografo vediamo in modo nuovo.
Diceva Elliott Erwitt: “Quando è ben fatta, la fotografia è interessante. Quando è fatta molto
bene, diventa irrazionale e persino magica”. E nelle fotografie di Giacomo irrazionalità e
magia si arricchiscono di assurdità e follia. Sotto cieli plumbei l’anima più sensibile di
D’Aguanno scopre tracce abbandonate in riva al mare, pezzi di vita chissà di chi e chissà
con quale storia.
Il punto di vista è lo stesso dipinto dai paesaggisti siciliani dell’800, ma sono più di cento
gli anni che scorrono tra loro e lo sguardo di D’Aguanno, che si ritrova a testimoniare
quello che è diventato: un cimitero di memorie, con quegli elementi discordanti e fuori
luogo, ladri dell’incanto e della bellezza fermata da Catti, da Leto, da Lo Jacono, che rimane
immutata solo nella presenza immobile, lontana, ma imponente, del “promontorio più
bello del mondo”.
Il sentimento pittorico convive con uno spirito documentaristico, e così nascono i suoi
“reportage emotivi”, che ci catapultano dentro ogni immagine, alla scoperta del “punctum”,
il dettaglio barthesiano che colpisce lo spettatore, emotivamente e irrazionalmente.
Giacomo ferma degli attimi, ruba gli sguardi, trattiene pensieri e riflessioni, genera senso
estetico dove razionalmente non ce n’è più, o per lo meno tenta di riesumarlo, e facendoci
vedere ciò che è perduto, in qualche modo ce lo fa ritrovare.
Tiziana Pantaleo
Quando pensiamo alle città perdute ci vengono in mente le città scomparse del passato,
quelle distrutte da storiche calamità naturali, che sono state cancellate dal tempo,
dimenticate per secoli, segnate per sempre, che non esistono più o che sono
completamente disabitate, ma che ancora conservano un fascino fortissimo: tra miti e
leggende, penso ad Atlantide, a Machu Picchu, a Petra, Cartagine, Pompei… Ma la Città
Perduta di Giacomo d'Aguanno non è tra queste.
La sua è quella che lui da sempre vive, che ogni giorno osserva, che magistralmente
fotografa; è la sua città, è la sua Palermo.
Giacomo riesce a immortalarla sempre bellissima, splendida, poetica, anche quando
mostra le sue ferite, anche quando la ritrae nelle sue complessità e nelle sue fragilità: una
Palermo indifesa, violentata, malinconica e - per l’appunto - perduta.
La sua città da un lato ha il mare (la costa sud, il litorale di Sant’Erasmo, la spiaggia
depredata), dall’altro ha il centro popolato (le balate, le botteghe, i mercati e i suoi
abitanti). E’ una città avvolta dai fantasmi dei bombardamenti, dagli spiriti dei terremoti,
dagli spettri del “sacco”, che sopravvive tra sogni e utopie, tra macerie e poesie. Una
poesia silenziosa che non manca mai, nonostante da essa vengano fuori voci scomode,
spiazzanti, che rivelano una estetica della distruzione che il fotografo scopre negli scorci,
negli angoli, nei vicoli. Palermo tout court, quella che quotidianamente ci scorre davanti,
con le sue brutture, con le sue assurdità, con la sua triste, ma sempre fiera, bellezza.
Sono immagini che conosciamo bene, a cui siamo abituati, ma che attraverso lo sguardo
profondo e analitico del fotografo vediamo in modo nuovo.
Diceva Elliott Erwitt: “Quando è ben fatta, la fotografia è interessante. Quando è fatta molto
bene, diventa irrazionale e persino magica”. E nelle fotografie di Giacomo irrazionalità e
magia si arricchiscono di assurdità e follia. Sotto cieli plumbei l’anima più sensibile di
D’Aguanno scopre tracce abbandonate in riva al mare, pezzi di vita chissà di chi e chissà
con quale storia.
Il punto di vista è lo stesso dipinto dai paesaggisti siciliani dell’800, ma sono più di cento
gli anni che scorrono tra loro e lo sguardo di D’Aguanno, che si ritrova a testimoniare
quello che è diventato: un cimitero di memorie, con quegli elementi discordanti e fuori
luogo, ladri dell’incanto e della bellezza fermata da Catti, da Leto, da Lo Jacono, che rimane
immutata solo nella presenza immobile, lontana, ma imponente, del “promontorio più
bello del mondo”.
Il sentimento pittorico convive con uno spirito documentaristico, e così nascono i suoi
“reportage emotivi”, che ci catapultano dentro ogni immagine, alla scoperta del “punctum”,
il dettaglio barthesiano che colpisce lo spettatore, emotivamente e irrazionalmente.
Giacomo ferma degli attimi, ruba gli sguardi, trattiene pensieri e riflessioni, genera senso
estetico dove razionalmente non ce n’è più, o per lo meno tenta di riesumarlo, e facendoci
vedere ciò che è perduto, in qualche modo ce lo fa ritrovare.
Tiziana Pantaleo
15
aprile 2014
Giacomo D’Aguanno – La Città Perduta
Dal 15 al 27 aprile 2014
fotografia
Location
PALAZZO CHIARAMONTE-STERI
Palermo, Piazza Marina, 61, (Palermo)
Palermo, Piazza Marina, 61, (Palermo)
Orario di apertura
9.30-13 / 15-17 Il sabato e la domenica le mostre sono visitabili solo di mattina. Visite sospese il 20, 21 e 25 aprile
Autore
Curatore