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Giacomo Trécourt – Un capolavoro di realismo senza tempo
Restauro a cantiere aperto del gigantesco telero di Urgnano (cm 520 x 340), che segnò il massimo riconoscimento del maggior artista, dopo Piccio, nato a Bergamo nell’Ottocento.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Durante l’operazione di pulitura, visite guidate gratuite per offrire al pubblico e alle scuole l’opportunità di assistere in prima persona alla “rinascita” di un capolavoro.
Tutti i giovedì, dal 18 gennaio al 18 febbraio 2011
Urgnano (Bg) – Chiesa parrocchiale dei Santi Nazaro e Celso
Durata delle visite: 1 ora circa
Per informazioni e prenotazioni:
Segreteria parrocchiale, tel. 035.891047 (ore 10-12 e 14.30-17.30)
COMUNICATO STAMPA
A tre anni di distanza dal recupero della grande Pala di Zanica, a Bergamo attenzione nuovamente puntata su Giacomo Trécourt (Bergamo, 1812 – Pavia, 1882), probabilmente il maggior artista nato a Bergamo nell’Ottocento dopo il grande Piccio, suo grande amico e con il quale, secondo la tradizione, nel 1845 compì il mitico pellegrinaggio a piedi a Parigi.
Al centro, il restauro dell’opera che segnò per l’artista il culmine del riconoscimento: la grande e scenografica “macchina pittorica” che racconta nel coro della chiesa parrocchiale di Urgnano (Bg) l’Invenzione delle reliquie dei Santi Nazaro e Celso, eseguita nel 1843, in coincidenza con la svolta fondamentale nella biografia dell’artista, chiamato nel 1842, a soli trent’anni, alla direzione della Civica Scuola di Belle Arti di Pavia.
Ecco perché quando il dipinto fu presentato a Brera tutta l’attenzione della critica si concentrò su quest’opera, consacrando Giacomo Trécourt - fino ad allora considerato il miglior allievo di Giuseppe Diotti alla Scuola di Pittura dell’Accademia Carrara di Bergamo - come il più genuino interprete di un linguaggio che sapeva coniugare la “maniera” grande richiesta dalla pittura storica e sacra con quell’attenzione al “vero” che aveva caratterizzato la tradizione artistica lombarda.
Promosso dalla parrocchia di Urgnano nell’ambito dell’ambizioso programma di restauri voluto dal parroco Don Mariano Carrara, che coinvolge ben 60 tele custodite nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso, il recupero del grande telero di Giacomo Trècourt, affidato al restauratore Antonio Zaccaria con la direzione tecnico scientifica di Laura Paola Gnaccolini della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Milano, assume un significato particolare non solo per le dimensioni del dipinto – 520 x 340 cm – e perché è forse il capolavoro dell’artista, ma anche perché si tratta di un raro caso di “mai toccato”.
L’opera, cioè, è arrivata a noi senza aver mai subito alcun precedente intervento di restauro, scampando dunque alle drastiche puliture in uso nel passato, che spesso finivano per alterare o asportare elementi originali delle superfici pittoriche.
L’intervento attuale, dunque, condotto attraverso un diverso approccio metodologico che mette in campo accorgimenti mirati alla minima interferenza con i materiali costitutivi dell’opera, consentirà di veder riemergere, sotto l’originale film di protettivo steso da Trécourt e ormai notevolmente alterato, una pittura in splendido stato di conservazione.
Per tutti questi motivi il restauro del dipinto sarà realizzato in loco, nell’area del presbiterio della chiesa, e il parroco Don Mariano Carrara vuole offrire al pubblico e alle scuole di ogni ordine e grado l’opportunità di vivere l’emozione, solitamente riservata agli operatori, di assistere alla delicata fase di pulitura del dipinto, per veder passo passo venire alla luce quei brani cromatici e luminosi per i quali Trécourt divenne celebre.
Ad incantare dell’artista erano, infatti, la sensuale morbidezza degli incarnati, i capelli intrisi di luce, le monumentali anatomie e le pieghe delle vesti modellate da riverberi luminosi. Il tutto intessuto da una magistrale partitura di luci e ombre, diversamente dosate a far vibrare la tavolozza e a restituire l’atmosfera sentimentale e poetica di uno stato di grazia senza tempo.
Senza dimenticare la capacità di Trecourt di ideare una grande e complessa macchina compositiva per mettere in scena il rinvenimento delle reliquie dei martiri Nazaro e Celso.
Paolino, biografo di Sant’Ambrogio, riferisce che il vescovo di Milano ebbe un’ispirazione che lo guidò sulla tomba sconosciuta di due martiri, negli orti fuori città. Furono così rinvenuti, miracolosamente intatti, i corpi di Nazaro e Celso, poi trasportati con affettuoso concorso di popolo alla Basilica degli Apostoli, nei pressi di Porta Romana.
Trécourt racconta l’episodio con una sapiente regia: fulcro patetico della composizione è l’impressionante scorcio del cadavere racchiuso nel gelido avello di pietra da cui, con un gran colpo di teatro, viene innalzato il volto esangue del martire. Tutto intorno si dispiega una folla concitata di oltre trenta comparse, ciascuna fissata dall’artista in una diversa, e “naturalissima” reazione: alla gestualità enfatica di S. Ambrogio fanno da contrappunto la commozione delle donne che stringono i bimbi al seno, l’indifferenza degli scavatori, la sorpresa del mendicante, lo stupore che diventa preghiera.
Così Trécourt riuscì a dare nuovo respiro alle convenzionalità del genere sacro e della pittura storica, costruendo atmosfere pervase da un realismo senza tempo e dalla grazia dei piccoli e umanissimi affetti.
Ufficio stampa:
B@bele Comunicazione > Barbara Mazzoleni, tel. 320.8015469 > info@babelecomunicazione.it
Per scaricare materiali e immagini: www.babelecomunicazione.it
Giacomo Trécourt
Nato a Bergamo nel 1812, Giacomo già a sedici anni risulta iscritto ai corsi di pittura dell’Accademia Carrara di Bergamo, diretta da Giuseppe Diotti, alternando agli studi l’attività di garzone in un negozio di teleria. I primi risultati arrivano subito, con i premi del 1832-’33, e con l’esposizione, nel 1834, alla prima rassegna annuale degli allievi della Carrara, di un quadro d’invenzione, “Daniele nella fossa dei leoni”, che riscuote molto successo. Ormai considerato uno dei migliori allievi del Diotti, l’anno successivo ottiene la medaglia d’oro al Concorso di Colorito ed espone alla rassegna dell’Accademia bergamasca il quadro storico Zenobia salvata da alcuni pastori dalle acque del fiume Arasse, acquistato dal conte Leonino Secco Suardo. Sono anche gli anni in cui la frequentazione con Piccio si fa assidua, in nome di una sintonia anche artistica. A segnare una svolta definitiva è la partecipazione nel 1837, venticinquenne, alla rassegna annuale della Accademia di Belle Arti di Brera, con la pala d’altare con San Nicolò di Bari libera tre innocenti condannati a morte, una gran tela commissionata ancora dal conte Leonino Secco Suardo e destinata alla parrocchiale di Zanica (nel 1861 verrà inviata anche all’Esposizione Nazionale di Firenze). La sua rapida ascesa prosegue rapidamente e nel 1838 non solo Paolo Tosio, uno dei più illustri collezionisti dell’epoca, gli commissiona quattro lunette per una sala del proprio Palazzo (oggi sede dell’Ateneo di Brescia), ma un suo “studio dal vero” presentato all’esposizione di Brera viene acquistato dall’Imperatore Ferdinando I d’Austria, in visita a Milano per ricevere la corona ferrea. Nel 1839 viene nominato Socio Onorario dell’Accademia di Belle Arti di Brera e, su suggerimento del suo maestro Diotti, la parrocchiale di Urgnano gli commissiona la grande tela con l’Invenzione delle reliquie dei Santi Nazaro e Celso che, prima di essere collocata nella chiesa, viene presentata con grande successo all’esposizione dell’Accademia di Brera. Trécourt è all’apice della carriera, anche per il prestigioso incarico del 1842, a soli trent’anni, alla direzione della Civica Scuola di Belle Arti di Pavia. Nel 1845 la tradizione colloca il presunto viaggio a Parigi, a piedi insieme all’amico Piccio, a favore del quale Trecourt interverrà nel 1863 nella polemica suscitata dall’Agar del Carnovali rifiutata dalla Fabbriceria di Alzano Lombardo. Proseguono le commissioni sia di opere di arte sacra che di ritratti. Muore nel 1882 a Pavia, dove viene sepolto.
Tutti i giovedì, dal 18 gennaio al 18 febbraio 2011
Urgnano (Bg) – Chiesa parrocchiale dei Santi Nazaro e Celso
Durata delle visite: 1 ora circa
Per informazioni e prenotazioni:
Segreteria parrocchiale, tel. 035.891047 (ore 10-12 e 14.30-17.30)
COMUNICATO STAMPA
A tre anni di distanza dal recupero della grande Pala di Zanica, a Bergamo attenzione nuovamente puntata su Giacomo Trécourt (Bergamo, 1812 – Pavia, 1882), probabilmente il maggior artista nato a Bergamo nell’Ottocento dopo il grande Piccio, suo grande amico e con il quale, secondo la tradizione, nel 1845 compì il mitico pellegrinaggio a piedi a Parigi.
Al centro, il restauro dell’opera che segnò per l’artista il culmine del riconoscimento: la grande e scenografica “macchina pittorica” che racconta nel coro della chiesa parrocchiale di Urgnano (Bg) l’Invenzione delle reliquie dei Santi Nazaro e Celso, eseguita nel 1843, in coincidenza con la svolta fondamentale nella biografia dell’artista, chiamato nel 1842, a soli trent’anni, alla direzione della Civica Scuola di Belle Arti di Pavia.
Ecco perché quando il dipinto fu presentato a Brera tutta l’attenzione della critica si concentrò su quest’opera, consacrando Giacomo Trécourt - fino ad allora considerato il miglior allievo di Giuseppe Diotti alla Scuola di Pittura dell’Accademia Carrara di Bergamo - come il più genuino interprete di un linguaggio che sapeva coniugare la “maniera” grande richiesta dalla pittura storica e sacra con quell’attenzione al “vero” che aveva caratterizzato la tradizione artistica lombarda.
Promosso dalla parrocchia di Urgnano nell’ambito dell’ambizioso programma di restauri voluto dal parroco Don Mariano Carrara, che coinvolge ben 60 tele custodite nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso, il recupero del grande telero di Giacomo Trècourt, affidato al restauratore Antonio Zaccaria con la direzione tecnico scientifica di Laura Paola Gnaccolini della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Milano, assume un significato particolare non solo per le dimensioni del dipinto – 520 x 340 cm – e perché è forse il capolavoro dell’artista, ma anche perché si tratta di un raro caso di “mai toccato”.
L’opera, cioè, è arrivata a noi senza aver mai subito alcun precedente intervento di restauro, scampando dunque alle drastiche puliture in uso nel passato, che spesso finivano per alterare o asportare elementi originali delle superfici pittoriche.
L’intervento attuale, dunque, condotto attraverso un diverso approccio metodologico che mette in campo accorgimenti mirati alla minima interferenza con i materiali costitutivi dell’opera, consentirà di veder riemergere, sotto l’originale film di protettivo steso da Trécourt e ormai notevolmente alterato, una pittura in splendido stato di conservazione.
Per tutti questi motivi il restauro del dipinto sarà realizzato in loco, nell’area del presbiterio della chiesa, e il parroco Don Mariano Carrara vuole offrire al pubblico e alle scuole di ogni ordine e grado l’opportunità di vivere l’emozione, solitamente riservata agli operatori, di assistere alla delicata fase di pulitura del dipinto, per veder passo passo venire alla luce quei brani cromatici e luminosi per i quali Trécourt divenne celebre.
Ad incantare dell’artista erano, infatti, la sensuale morbidezza degli incarnati, i capelli intrisi di luce, le monumentali anatomie e le pieghe delle vesti modellate da riverberi luminosi. Il tutto intessuto da una magistrale partitura di luci e ombre, diversamente dosate a far vibrare la tavolozza e a restituire l’atmosfera sentimentale e poetica di uno stato di grazia senza tempo.
Senza dimenticare la capacità di Trecourt di ideare una grande e complessa macchina compositiva per mettere in scena il rinvenimento delle reliquie dei martiri Nazaro e Celso.
Paolino, biografo di Sant’Ambrogio, riferisce che il vescovo di Milano ebbe un’ispirazione che lo guidò sulla tomba sconosciuta di due martiri, negli orti fuori città. Furono così rinvenuti, miracolosamente intatti, i corpi di Nazaro e Celso, poi trasportati con affettuoso concorso di popolo alla Basilica degli Apostoli, nei pressi di Porta Romana.
Trécourt racconta l’episodio con una sapiente regia: fulcro patetico della composizione è l’impressionante scorcio del cadavere racchiuso nel gelido avello di pietra da cui, con un gran colpo di teatro, viene innalzato il volto esangue del martire. Tutto intorno si dispiega una folla concitata di oltre trenta comparse, ciascuna fissata dall’artista in una diversa, e “naturalissima” reazione: alla gestualità enfatica di S. Ambrogio fanno da contrappunto la commozione delle donne che stringono i bimbi al seno, l’indifferenza degli scavatori, la sorpresa del mendicante, lo stupore che diventa preghiera.
Così Trécourt riuscì a dare nuovo respiro alle convenzionalità del genere sacro e della pittura storica, costruendo atmosfere pervase da un realismo senza tempo e dalla grazia dei piccoli e umanissimi affetti.
Ufficio stampa:
B@bele Comunicazione > Barbara Mazzoleni, tel. 320.8015469 > info@babelecomunicazione.it
Per scaricare materiali e immagini: www.babelecomunicazione.it
Giacomo Trécourt
Nato a Bergamo nel 1812, Giacomo già a sedici anni risulta iscritto ai corsi di pittura dell’Accademia Carrara di Bergamo, diretta da Giuseppe Diotti, alternando agli studi l’attività di garzone in un negozio di teleria. I primi risultati arrivano subito, con i premi del 1832-’33, e con l’esposizione, nel 1834, alla prima rassegna annuale degli allievi della Carrara, di un quadro d’invenzione, “Daniele nella fossa dei leoni”, che riscuote molto successo. Ormai considerato uno dei migliori allievi del Diotti, l’anno successivo ottiene la medaglia d’oro al Concorso di Colorito ed espone alla rassegna dell’Accademia bergamasca il quadro storico Zenobia salvata da alcuni pastori dalle acque del fiume Arasse, acquistato dal conte Leonino Secco Suardo. Sono anche gli anni in cui la frequentazione con Piccio si fa assidua, in nome di una sintonia anche artistica. A segnare una svolta definitiva è la partecipazione nel 1837, venticinquenne, alla rassegna annuale della Accademia di Belle Arti di Brera, con la pala d’altare con San Nicolò di Bari libera tre innocenti condannati a morte, una gran tela commissionata ancora dal conte Leonino Secco Suardo e destinata alla parrocchiale di Zanica (nel 1861 verrà inviata anche all’Esposizione Nazionale di Firenze). La sua rapida ascesa prosegue rapidamente e nel 1838 non solo Paolo Tosio, uno dei più illustri collezionisti dell’epoca, gli commissiona quattro lunette per una sala del proprio Palazzo (oggi sede dell’Ateneo di Brescia), ma un suo “studio dal vero” presentato all’esposizione di Brera viene acquistato dall’Imperatore Ferdinando I d’Austria, in visita a Milano per ricevere la corona ferrea. Nel 1839 viene nominato Socio Onorario dell’Accademia di Belle Arti di Brera e, su suggerimento del suo maestro Diotti, la parrocchiale di Urgnano gli commissiona la grande tela con l’Invenzione delle reliquie dei Santi Nazaro e Celso che, prima di essere collocata nella chiesa, viene presentata con grande successo all’esposizione dell’Accademia di Brera. Trécourt è all’apice della carriera, anche per il prestigioso incarico del 1842, a soli trent’anni, alla direzione della Civica Scuola di Belle Arti di Pavia. Nel 1845 la tradizione colloca il presunto viaggio a Parigi, a piedi insieme all’amico Piccio, a favore del quale Trecourt interverrà nel 1863 nella polemica suscitata dall’Agar del Carnovali rifiutata dalla Fabbriceria di Alzano Lombardo. Proseguono le commissioni sia di opere di arte sacra che di ritratti. Muore nel 1882 a Pavia, dove viene sepolto.
18
gennaio 2011
Giacomo Trécourt – Un capolavoro di realismo senza tempo
Dal 18 gennaio al 18 febbraio 2011
incontro - conferenza
serata - evento
serata - evento
Location
CHIESA PARROCCHIALE SS NAZARO E CELSO
Urgnano, Piazza Libertà, (Bergamo)
Urgnano, Piazza Libertà, (Bergamo)
Orario di apertura
Tutti i giovedì Durata delle visite: 1 ora circa
Ufficio stampa
B@BELE
Autore