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Gianfranco Ferroni
Il percorso della mostra si focalizza su due decenni – Sessanta e Settanta – precisi e determinanti nella riflessione dell’autore segnati da uno stacco violento che ne determinò un’inversione di rotta linguistica e tematica, ma anche una virata dolorosa nella sua esperienza privata
Comunicato stampa
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Montrasio Arte, in collaborazione con la Galleria Ceribelli di Bergamo, è lieta di ospitare l’universo minimale e poetico di Gianfranco Ferroni (1927-2001). Dopo la grande mostra allestita a Palazzo Reale nel 2007 e dopo la grande retrospettiva appena conclusasi al Palazzo Mediceo di Seravezza, Ferroni torna al centro di una mostra che indaga un periodo preciso della sua produzione.
Il percorso si focalizza infatti su due decenni precisi e determinanti nella riflessione dell’autore segnati da uno stacco violento che ne determinò un’inversione di rotta linguistica e tematica, ma anche una virata dolorosa nella sua esperienza privata. Gli anni Sessanta evidenziano l’impegno politico, la sua adesione alle contestazioni del Sessantotto, le denunzie amare contro ogni forma di potere costituito. Gli anni Settanta affondano invece in un nuovo e necessario bisogno di ordine e pulizia, la sintesi formale della sua ricerca cerca nella pittura nuove soluzioni compositive, nuovi ritmi, nuovi silenzi. La frattura fra questi due decenni adiacenti è aspra e la mostra mira a indagare le radici di questo scarto affiancando, nella selezione serrata di una ventina di opere museali, i suoi quadri politici con le immagini sintetiche, misurate e mentali della stagione seguente. Come scrive Jacopo Galimberti «Tre quadri come Memoria d’ebreo, Arabo ferito, Omaggio a Malcolm X gettano luce sui dubbi e i fervori di questa ricerca di un universo culturale e politico, nonché estetico. Ferroni sonda eventi contemporanei senza dottrine né eresiarchi, in un’interrogazione che è ad un tempo creazione di pittura d’historia e il tentativo di innestare la propria personale “piccola storia” nella storia mondiale. Memoria d’ebreo è un dipinto realizzato nel 1963-1964, in una delle fasi più delicate per la coscienza europea. Dopo le condanne a morte di Norimberga nel 1946, il governo della Germania Occidentale aveva invocato la “normalizzazione” e la necessità storica di concedere l’amnistia a una parte consistente dei funzionari nazisti (…) Memoria d’ebreo riflette sul genocidio, ma all’altezza degli occhi, della “piccola storia” trattenuta nei ricordi di un individuo. L’ombra portata e lo sguardo ieratico e “giacomettiano” del protagonista agiscono come un flashback».
Dal testo di Chiara Gatti «Accadde in questo momento preciso che Ferroni, reggendo la sua linea come una stecca da biliardo, la sollevò verso l’alto, mentre lui si inginocchiava per impaginare la scena a livello del suolo, della polvere, dei brandelli di carta. Trascinato giù per terra, strisciando fra le fughe, inquadrando gocce di vernice e cavi elettrici strappati dalla presa, l’osservatore percepisce ora la prospettiva del pavimento inerpicarsi come un tramezzo fra sé e la scena schiacciata all’apice. Succede che la sedia del pittore, a volte, esca addirittura fuori dell’immagine, alludendo a uno spazio ulteriore, a una dimensione che prosegue. E succede anche che la parte superiore sparisca del tutto, concedendo a uno spigolo, a uno zoccolo di legno, al battente di una porta, di diventare protagonisti, come nella Analisi di un pavimento del 1979. Le mele di Cézanne non erano semplici frutti, così le ciotole di Morandi non erano solo scodelle. Anche i detriti familiari di Ferroni sono punti esatti che segnano ritmi e armonie sul diagramma cartesiano dell’esistenza, dove l’asse delle ascisse individua il limite di rottura fra la contingenza e l’assoluto».
Gianfranco Ferroni nasce a Livorno il 22 febbraio del 1927 e trascorre l’infanzia nelle Marche, dove la famglia si trasferisce per seguire l’attività del padre ingegnere. Nel 1944 la famiglia, sfollata per i bombardamenti, si trasferisce a Tradate, nei pressi di Varese. In quegli anni del primo dopoguerra, Ferroni vive un periodo travagliato e di grande solitudine che segnerà anche la sua produzione all’inizio degli anni Sessanta. Nel 1946 frequenta l’ambiente dell’Accademia di Brera e del bar Giamaica dove incontra il critico Franco Passoni e artisti come Dova, Crippa, Meloni, Ajmone, Morlotti, Francese e Chighine. Nel 1949 si iscrive al Partito comunista italiano ,ma nel 1956 straccerà la tessera come gesto di protesta in seguito alla rivolta di Ungheria. Nel 1952 Ferroni lascia la famiglia e si trasferisce a Milano dove frequenta un gruppo di giovani autori (allievi di Aldo Carpi), che saranno i portavoce del movimento del Realismo esistenziale, definito così da Marco Valsecchi. Sono Giuseppe Banchieri, Mino Ceretti, Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoni e Tino Vaglieri. Dopo la personale alla Galleria Schettini di Milano, esporrà alla Galleria Bergamini. Nel 1957 realizza la prima acquaforte, Periferia, di cui esiste un unico esemplare. Da quel momento, per tutto l’arco della vita, l’attività calcografica diventerà fondamentale nella sua esperienza, tanto da elevarne il corpus inciso (264 incisioni e 115 litografie) al livello, per valore e qualità, della produzione pittorica e fare di lui un maestro indiscusso della grafica del secondo Novecento. Nel 1957 Ferroni è invitato alla quinta edizione della rassegna “Italia-Francia”, a Torino e, l’anno successivo, alla Biennale di Venezia. Nel 1959 partecipa alla Quadriennale di Roma, alla Biennale del Mediterraneo di Alessandria d’Egitto ed è al centro di un’altra personale alla Galleria Nuova Pesa di Roma. Importante la partecipazione alla rassegna bolognese, del 1962, “Nuove prospettive della giovane pittura italiana” e a “Mitologia del nostro tempo”, curata ad Arezzo nel 1965 da Carluccio. Dopo l’ultima mostra alla Bergamini nel 1960 e la presenza alla Biennale di Tokyo nel 1964 e alla Quadriennale di Roma del 1965, Ferroni torna a Venezia per la Biennale del 1968 dove gli viene assegnata una sala personale. Decide tuttavia di aderire ai moti e alle proteste giovanili del momento ed espone i dipinti rivolti verso la parete per l’intera durata della mostra. Dal 1968 al 1972, Ferroni abita a Viareggio, dove dipinge e incide poco. Si tratta di un periodo, infatti, di attesa, passato accanto a nuovi amici, come il pittore e scrittore Sandro Luporini, ideatore con Giorgio Gaber di testi musicali e teatrali. Nel 1974 sposa Carla e nel 1975 nasce la figlia Francesca. Fra le principali esposizioni personali, spiccano quelle al Fante di Spade di Roma e Milano, all’Eunomia di Milano (1969 e 1970), alla Mulina di Modena (1966, 1968 e 1978), alla Galatea di Torino (1964, 1966 e 1970), alla Galleria Documenta di Torino (1974) e alla Galerie Du Dragon di Parigi (1977). Nel 1980 a Napoli allestisce la grande antologica che ripercorre per tappe tutta la sua attività, a partire dal 1958. Questo decennio è caratterizzato anche dall’adesione di Ferroni a un altro movimento, la Metacosa, nome che identifica un gruppo di autori riunitisi nel suo studio milanese già dal 1979 e sostenuti dal critico Roberto Tassi: Bartolini, Biagi, Luino, Mannocci, e Tonelli. Nel 1982 Ferroni è di nuovo a Venezia con una sala personale, scelto dai curatori (Dell’Acqua e Mascherpa). Negli anni Ottanta intensifica lo studio sull’incisione e la litografia e concentra molte esposizioni sull’opera incisa, come quella al Palazzo delle Albere di Trento nel 1985. Negli anni Novanta ogni travaglio sembra improvvisamente quietarsi e le immagini di Ferroni ne sono la prova; gli oggetti, costantemente protagonisti, fluttuano ora in un’aura di magia e sospensione. Insignito, nel 1993, del Premio Presidente della Repubblica dell’Accademia di San Luca, è protagonista nel 1994 di una vasta antologica alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, con una presentazione di Maurizio Fagiolo dell’Arco. In questo periodo si stabilisce a Bergamo, allestendo un nuovo studio, scenario privilegiato delle sue ultime ambientazioni. Nel 1995 è invitato ancora a Conegliano, alla mostra “Pittura come pittura” a cura di Marco Goldin, mentre risale al 1997 la retrospettiva a Palazzo Reale a Milano. Infine, nel 1999, è premiato alla Quadriennale d’Arte di Roma. Gianfranco Ferroni muore a Bergamo il 12 maggio del 2001. L’anno seguente, con la regia di Elisabetta Sgarbi, viene realizzato il mediometraggio La notte che si sposta – Gianfranco Ferroni, presentato alla 59° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2007 nelle sale del Palazzo Reale di Milano e del Palazzo della Ragione di Bergamo sono state allestite due importanti mostre antologiche in suo ricordo.
Il percorso si focalizza infatti su due decenni precisi e determinanti nella riflessione dell’autore segnati da uno stacco violento che ne determinò un’inversione di rotta linguistica e tematica, ma anche una virata dolorosa nella sua esperienza privata. Gli anni Sessanta evidenziano l’impegno politico, la sua adesione alle contestazioni del Sessantotto, le denunzie amare contro ogni forma di potere costituito. Gli anni Settanta affondano invece in un nuovo e necessario bisogno di ordine e pulizia, la sintesi formale della sua ricerca cerca nella pittura nuove soluzioni compositive, nuovi ritmi, nuovi silenzi. La frattura fra questi due decenni adiacenti è aspra e la mostra mira a indagare le radici di questo scarto affiancando, nella selezione serrata di una ventina di opere museali, i suoi quadri politici con le immagini sintetiche, misurate e mentali della stagione seguente. Come scrive Jacopo Galimberti «Tre quadri come Memoria d’ebreo, Arabo ferito, Omaggio a Malcolm X gettano luce sui dubbi e i fervori di questa ricerca di un universo culturale e politico, nonché estetico. Ferroni sonda eventi contemporanei senza dottrine né eresiarchi, in un’interrogazione che è ad un tempo creazione di pittura d’historia e il tentativo di innestare la propria personale “piccola storia” nella storia mondiale. Memoria d’ebreo è un dipinto realizzato nel 1963-1964, in una delle fasi più delicate per la coscienza europea. Dopo le condanne a morte di Norimberga nel 1946, il governo della Germania Occidentale aveva invocato la “normalizzazione” e la necessità storica di concedere l’amnistia a una parte consistente dei funzionari nazisti (…) Memoria d’ebreo riflette sul genocidio, ma all’altezza degli occhi, della “piccola storia” trattenuta nei ricordi di un individuo. L’ombra portata e lo sguardo ieratico e “giacomettiano” del protagonista agiscono come un flashback».
Dal testo di Chiara Gatti «Accadde in questo momento preciso che Ferroni, reggendo la sua linea come una stecca da biliardo, la sollevò verso l’alto, mentre lui si inginocchiava per impaginare la scena a livello del suolo, della polvere, dei brandelli di carta. Trascinato giù per terra, strisciando fra le fughe, inquadrando gocce di vernice e cavi elettrici strappati dalla presa, l’osservatore percepisce ora la prospettiva del pavimento inerpicarsi come un tramezzo fra sé e la scena schiacciata all’apice. Succede che la sedia del pittore, a volte, esca addirittura fuori dell’immagine, alludendo a uno spazio ulteriore, a una dimensione che prosegue. E succede anche che la parte superiore sparisca del tutto, concedendo a uno spigolo, a uno zoccolo di legno, al battente di una porta, di diventare protagonisti, come nella Analisi di un pavimento del 1979. Le mele di Cézanne non erano semplici frutti, così le ciotole di Morandi non erano solo scodelle. Anche i detriti familiari di Ferroni sono punti esatti che segnano ritmi e armonie sul diagramma cartesiano dell’esistenza, dove l’asse delle ascisse individua il limite di rottura fra la contingenza e l’assoluto».
Gianfranco Ferroni nasce a Livorno il 22 febbraio del 1927 e trascorre l’infanzia nelle Marche, dove la famglia si trasferisce per seguire l’attività del padre ingegnere. Nel 1944 la famiglia, sfollata per i bombardamenti, si trasferisce a Tradate, nei pressi di Varese. In quegli anni del primo dopoguerra, Ferroni vive un periodo travagliato e di grande solitudine che segnerà anche la sua produzione all’inizio degli anni Sessanta. Nel 1946 frequenta l’ambiente dell’Accademia di Brera e del bar Giamaica dove incontra il critico Franco Passoni e artisti come Dova, Crippa, Meloni, Ajmone, Morlotti, Francese e Chighine. Nel 1949 si iscrive al Partito comunista italiano ,ma nel 1956 straccerà la tessera come gesto di protesta in seguito alla rivolta di Ungheria. Nel 1952 Ferroni lascia la famiglia e si trasferisce a Milano dove frequenta un gruppo di giovani autori (allievi di Aldo Carpi), che saranno i portavoce del movimento del Realismo esistenziale, definito così da Marco Valsecchi. Sono Giuseppe Banchieri, Mino Ceretti, Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoni e Tino Vaglieri. Dopo la personale alla Galleria Schettini di Milano, esporrà alla Galleria Bergamini. Nel 1957 realizza la prima acquaforte, Periferia, di cui esiste un unico esemplare. Da quel momento, per tutto l’arco della vita, l’attività calcografica diventerà fondamentale nella sua esperienza, tanto da elevarne il corpus inciso (264 incisioni e 115 litografie) al livello, per valore e qualità, della produzione pittorica e fare di lui un maestro indiscusso della grafica del secondo Novecento. Nel 1957 Ferroni è invitato alla quinta edizione della rassegna “Italia-Francia”, a Torino e, l’anno successivo, alla Biennale di Venezia. Nel 1959 partecipa alla Quadriennale di Roma, alla Biennale del Mediterraneo di Alessandria d’Egitto ed è al centro di un’altra personale alla Galleria Nuova Pesa di Roma. Importante la partecipazione alla rassegna bolognese, del 1962, “Nuove prospettive della giovane pittura italiana” e a “Mitologia del nostro tempo”, curata ad Arezzo nel 1965 da Carluccio. Dopo l’ultima mostra alla Bergamini nel 1960 e la presenza alla Biennale di Tokyo nel 1964 e alla Quadriennale di Roma del 1965, Ferroni torna a Venezia per la Biennale del 1968 dove gli viene assegnata una sala personale. Decide tuttavia di aderire ai moti e alle proteste giovanili del momento ed espone i dipinti rivolti verso la parete per l’intera durata della mostra. Dal 1968 al 1972, Ferroni abita a Viareggio, dove dipinge e incide poco. Si tratta di un periodo, infatti, di attesa, passato accanto a nuovi amici, come il pittore e scrittore Sandro Luporini, ideatore con Giorgio Gaber di testi musicali e teatrali. Nel 1974 sposa Carla e nel 1975 nasce la figlia Francesca. Fra le principali esposizioni personali, spiccano quelle al Fante di Spade di Roma e Milano, all’Eunomia di Milano (1969 e 1970), alla Mulina di Modena (1966, 1968 e 1978), alla Galatea di Torino (1964, 1966 e 1970), alla Galleria Documenta di Torino (1974) e alla Galerie Du Dragon di Parigi (1977). Nel 1980 a Napoli allestisce la grande antologica che ripercorre per tappe tutta la sua attività, a partire dal 1958. Questo decennio è caratterizzato anche dall’adesione di Ferroni a un altro movimento, la Metacosa, nome che identifica un gruppo di autori riunitisi nel suo studio milanese già dal 1979 e sostenuti dal critico Roberto Tassi: Bartolini, Biagi, Luino, Mannocci, e Tonelli. Nel 1982 Ferroni è di nuovo a Venezia con una sala personale, scelto dai curatori (Dell’Acqua e Mascherpa). Negli anni Ottanta intensifica lo studio sull’incisione e la litografia e concentra molte esposizioni sull’opera incisa, come quella al Palazzo delle Albere di Trento nel 1985. Negli anni Novanta ogni travaglio sembra improvvisamente quietarsi e le immagini di Ferroni ne sono la prova; gli oggetti, costantemente protagonisti, fluttuano ora in un’aura di magia e sospensione. Insignito, nel 1993, del Premio Presidente della Repubblica dell’Accademia di San Luca, è protagonista nel 1994 di una vasta antologica alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, con una presentazione di Maurizio Fagiolo dell’Arco. In questo periodo si stabilisce a Bergamo, allestendo un nuovo studio, scenario privilegiato delle sue ultime ambientazioni. Nel 1995 è invitato ancora a Conegliano, alla mostra “Pittura come pittura” a cura di Marco Goldin, mentre risale al 1997 la retrospettiva a Palazzo Reale a Milano. Infine, nel 1999, è premiato alla Quadriennale d’Arte di Roma. Gianfranco Ferroni muore a Bergamo il 12 maggio del 2001. L’anno seguente, con la regia di Elisabetta Sgarbi, viene realizzato il mediometraggio La notte che si sposta – Gianfranco Ferroni, presentato alla 59° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2007 nelle sale del Palazzo Reale di Milano e del Palazzo della Ragione di Bergamo sono state allestite due importanti mostre antologiche in suo ricordo.
10
ottobre 2018
Gianfranco Ferroni
Dal 10 ottobre al 06 dicembre 2018
arte contemporanea
Location
MONTRASIO ARTE MILANO
Milano, via di Porta Tenaglia, 1, (Milano)
Milano, via di Porta Tenaglia, 1, (Milano)
Orario di apertura
mar - ven 11.00/18.00
Vernissage
10 Ottobre 2018, h 18.30
Autore
Curatore