Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Gianna Carrano Sunè – Siamo tutti appesi a un filo
In occasione del PhotoFestival 2011, la Galleria La Torre Arte Moderna e Contemporanea, inaugura la mostra itinerante di Gianna Carrano Sunè: “Siamo tutti appesi a un filo”. Nelle sue immagini, l’artista sviluppa il tema dell’equilibrio e della sua precarietà visualizzando soggetti acrobaticamente.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
...poichè luce e spazio sono inscindibili, se si elimina la luce
il contenuto emotivo dello spazio scompare e diventa impossibile coglierlo.
Siegfried Giedion
Buio fitto. Nero senza fine. Corpi. Accesi e trapassati da una luce che cerca d’esorcizzarlo, quel buio. Corpi di uomini, donne, magri, grassi, alti, bassi. Sorpresi dall’obiettivo nel saporito fiore degli anni e nel cosciente spessore della maturità. Che oscillano, come fossero equilibristi, spostando i loro passi fra le insicurezze della vita. O rimangono fermi, sul filo, per imparare a conoscerne insidie e tentazioni. Gli uni e gli altri, che si muovano o restino fermi, non si portano appresso inutili zavorre. Ma la loro solitudine, questo sì. Soli: davanti al vuoto e all’abisso che li circonda. Mateo, seduto sul luminoso filo rosso, sembra sporgersi nel tentativo di intravvedere qualcuno, laggiù. Fino a farsi inghiottire dall’ignoto. Bet, invece, si mette a danzare sul filo. Ma i suoi sono movimenti soffocati, raggrumati, colti sulla difensiva. S.K.A., d’istinto, osa l’inosabile. Tanto vale rischiare. E balza al di là del filo, nel caos del vuoto. Ana sembra raccogliersi in preghiera, Iside non indugia e spicca il volo, Josè oscilla sul filo rosso come il più esperto fra tutti gli equilibristi. Mette in fila passi ragionati, uno dopo l’altro, con meticolosità. E poi Lola, Maria, Ale, Simone… Corpi che si incurvano e si distendono. Muscoli che si flettono. Dita intrecciate. Spasmi. Respiri. Paure. Desideri. Ansie. Gli scatti fotografici di Gianna Carrano Sunè (scatti non solo in senso tecnico ma “scattanti”, “sguscianti”: anche quando la psiche sembra avere la meglio sulla fisicità) raccontano destini in bianco (abbagliante o in penombra, a seconda dello stato d’animo di chi li vive) e nero (fitto, plumbeo, gonfio d’incognite come la notte) appesi a un filo sottile: rosso, luminoso, che attrae il nostro sguardo per poi condurlo nell’acrobatico “cuore” di ogni fotografia. Il filo, inteso come limite: fra realtà e sogno, vita e morte, bene e male, amore e odio, buono e cattivo. Un destino da calpestare con cautela, coraggio, sfrontatezza, timor panico. Dipende da loro. E dipende da noi, che li osserviamo mentre decidono cosa fare. E in ognuno di loro, ci immedesimiamo. Perché la loro precarietà, è anche la nostra. La perenne ricerca d’equilibrio sul filo del rasoio, equivale alla nostra instabilità nell’affrontare il mondo. E magari ci nascondiamo nell’ombra di false certezze per sottrarci alle nostre battaglie quotidiane. Interiori ed esteriori. Guardando questi giocatori d’azzardo dell’ignoto, penso agli angeli sopra Berlino di Wim Wenders. Ma Luis, Alejandra, Claudio, Mauro e gli altri corpi in bilico sull’abisso, non hanno ali. O forse le nascondono, in attesa di spiccare il volo al di qua o al di là del filo, infiammati da fasci di luce. Catturati dal magnetismo di queste immagini. Gianna Carrano Sunè, i suoi corpi, ce li fa percepire sia “fisicamente”, sia “spiritualmente”. Ed è bello poterli confrontare con l’“insostenibile leggerezza dell’essere” narrata da Milan Kundera. Ma se per il romanziere ceco la vita è insignificante e le decisioni che prendiamo hanno poca importanza (e quindi sono “leggere”, in quanto non ci legano), queste esistenze appese a un filo hanno concretezza, spessore, temperamento. Spinta decisionale. Lo scopo, per loro, sfidando le incognite di quel filo rosso, è raggiungere uno stato di cosciente armonia col mondo. D’altronde, a raccontarcelo per filo e per segno, oltre alla forza sprigionata da muscoli, tendini, ansie, insicurezze, c’è il battito del loro cuore. C’è la vita. E “Siamo tutti appesi a un filo”, riempiendosi di vita, si trasforma in una musica fatta di riso, pianto, gioia, rancore. In un mantra che trattiene il fiato. Per poi raccogliere le forze. E spiccare il volo.
il contenuto emotivo dello spazio scompare e diventa impossibile coglierlo.
Siegfried Giedion
Buio fitto. Nero senza fine. Corpi. Accesi e trapassati da una luce che cerca d’esorcizzarlo, quel buio. Corpi di uomini, donne, magri, grassi, alti, bassi. Sorpresi dall’obiettivo nel saporito fiore degli anni e nel cosciente spessore della maturità. Che oscillano, come fossero equilibristi, spostando i loro passi fra le insicurezze della vita. O rimangono fermi, sul filo, per imparare a conoscerne insidie e tentazioni. Gli uni e gli altri, che si muovano o restino fermi, non si portano appresso inutili zavorre. Ma la loro solitudine, questo sì. Soli: davanti al vuoto e all’abisso che li circonda. Mateo, seduto sul luminoso filo rosso, sembra sporgersi nel tentativo di intravvedere qualcuno, laggiù. Fino a farsi inghiottire dall’ignoto. Bet, invece, si mette a danzare sul filo. Ma i suoi sono movimenti soffocati, raggrumati, colti sulla difensiva. S.K.A., d’istinto, osa l’inosabile. Tanto vale rischiare. E balza al di là del filo, nel caos del vuoto. Ana sembra raccogliersi in preghiera, Iside non indugia e spicca il volo, Josè oscilla sul filo rosso come il più esperto fra tutti gli equilibristi. Mette in fila passi ragionati, uno dopo l’altro, con meticolosità. E poi Lola, Maria, Ale, Simone… Corpi che si incurvano e si distendono. Muscoli che si flettono. Dita intrecciate. Spasmi. Respiri. Paure. Desideri. Ansie. Gli scatti fotografici di Gianna Carrano Sunè (scatti non solo in senso tecnico ma “scattanti”, “sguscianti”: anche quando la psiche sembra avere la meglio sulla fisicità) raccontano destini in bianco (abbagliante o in penombra, a seconda dello stato d’animo di chi li vive) e nero (fitto, plumbeo, gonfio d’incognite come la notte) appesi a un filo sottile: rosso, luminoso, che attrae il nostro sguardo per poi condurlo nell’acrobatico “cuore” di ogni fotografia. Il filo, inteso come limite: fra realtà e sogno, vita e morte, bene e male, amore e odio, buono e cattivo. Un destino da calpestare con cautela, coraggio, sfrontatezza, timor panico. Dipende da loro. E dipende da noi, che li osserviamo mentre decidono cosa fare. E in ognuno di loro, ci immedesimiamo. Perché la loro precarietà, è anche la nostra. La perenne ricerca d’equilibrio sul filo del rasoio, equivale alla nostra instabilità nell’affrontare il mondo. E magari ci nascondiamo nell’ombra di false certezze per sottrarci alle nostre battaglie quotidiane. Interiori ed esteriori. Guardando questi giocatori d’azzardo dell’ignoto, penso agli angeli sopra Berlino di Wim Wenders. Ma Luis, Alejandra, Claudio, Mauro e gli altri corpi in bilico sull’abisso, non hanno ali. O forse le nascondono, in attesa di spiccare il volo al di qua o al di là del filo, infiammati da fasci di luce. Catturati dal magnetismo di queste immagini. Gianna Carrano Sunè, i suoi corpi, ce li fa percepire sia “fisicamente”, sia “spiritualmente”. Ed è bello poterli confrontare con l’“insostenibile leggerezza dell’essere” narrata da Milan Kundera. Ma se per il romanziere ceco la vita è insignificante e le decisioni che prendiamo hanno poca importanza (e quindi sono “leggere”, in quanto non ci legano), queste esistenze appese a un filo hanno concretezza, spessore, temperamento. Spinta decisionale. Lo scopo, per loro, sfidando le incognite di quel filo rosso, è raggiungere uno stato di cosciente armonia col mondo. D’altronde, a raccontarcelo per filo e per segno, oltre alla forza sprigionata da muscoli, tendini, ansie, insicurezze, c’è il battito del loro cuore. C’è la vita. E “Siamo tutti appesi a un filo”, riempiendosi di vita, si trasforma in una musica fatta di riso, pianto, gioia, rancore. In un mantra che trattiene il fiato. Per poi raccogliere le forze. E spiccare il volo.
24
marzo 2011
Gianna Carrano Sunè – Siamo tutti appesi a un filo
Dal 24 marzo al 16 aprile 2011
fotografia
Location
GALLERIA D’ARTE MODERNA LA TORRE
Milano, Via Lodovico Settala, 10, (Milano)
Milano, Via Lodovico Settala, 10, (Milano)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 15:30 - 19:30
Vernissage
24 Marzo 2011, ore 18:00
Ufficio stampa
PRESS & MEDIA
Autore
Curatore