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Gianni Provenzano – Sul segno degli artisti
Dodici artisti, presentati nell’arco di un anno, con 12 lavori ciascuno e raccolti in un catalogo annuale. Lo zodiaco costituirà ciclicamente per 12 anni l’imprevedibile percorso di una lunga mostra sul segno astrale di 144 artisti prescelti, per un ammontare cabalistico di 1728 opere da esporre.
Comunicato stampa
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L'editore Salvatore Schembari, nonché direttore della comisana Galleria degli Archi, ha appena innescato un meccanismo che, più che un vero progetto, sarà un lungo work in progress, «come Sherazade che allontanava da sé la morte mi sono imbarcato in quest’impresa che potrà avere anche momenti esaltanti» ha detto in un'intervista rilasciata ad Alessandro Finocchiaro su la rivista d’arte «Nextl’Ink». Dodici anni sono un periodo lungo: già questo, ch’è l’anno d’inizio, ha visto un iniziale imprevedibile slittamento dovuto alla scomparsa del padre Vannino. Una bella figura, silente e mite, inseparabile dal figlio, che molti artisti hanno voluto ritrarre, due anni fa, per la festa del suo novantesimo compleanno e che Piero Guccione lo ha immortalato con la seguente dedica "al più amato Giovannino d'Italia", in un pastello, candido come un fiore, con i colori di un giglio.Nondimeno essi, padre e figlio devoti l'uno all'altro, sono stati assieme protagonisti del docufilm "Padre nostro" di Carlo Lo Giudice, premiato nel 2009 dal Bellaria film festival. L’irruzione degli eventi della vita, come sui set d’un film, non potrà che cambiare quindi il volto della futura mostra, una mostra che probabilmente nessuno ha mai tentato. Questa impresa potrà avere cadute e risalite, seguirà comunque la sua strada, se si vuole etica, «o per meglio intenderci, rispettosi – così dichiara Salvatore Schembari – della forma, come puro significante, autonoma dal significato estetico, e fedeli solo all'Arte libera dalla categoria dell'essere contemporanea per forza. La forma come unica coniugazione della sostanza nel fare l'arte o come l’opposto della dimensione temporale nell'essere dell'arte, una qualità insomma da ricercare non necessariamente nell'imperio orgiastico dei linguaggi creativi della "Contemporary Art", artificialmente plurali per statuto, ma più devoti, alla protervia dei curatori strapragmatici, votati ideologicamente al culto del fare, proiettati narcisisticamente nello specchio della competizione divorante e onnivora, dei gesti umani, della poesia e degli stessi atti di vita». I primi artisti invitati a esporre le loro dodici opere in questa lunga maratona sono, in ordine di tempo, Gianni Provenzano, Paolo Nicolosi, Safet Zec, seguiranno i tre giovani Sasha Vinci, Manlio Sacco e Salvatore Difranco, Giuseppe Colombo, Ding Yi, Franco Battiato, e infine Sandro Chia, Stefania Brandinelli e Botero, tutti nati sotto il segno del fuoco originario dell'ariete. Inizia così la curiosa iniziativa che accompagnerà, anzi costituirà quasi del tutto, l'attività della Galleria degli Archi per i prossimi dodici anni.
In sostanza si tratta di scegliere Dodici artisti da presentare nell'arco di un anno con 12 lavori ciascuno. Alla fine dell'anno sarà pubblicato un catalogo edito dalla Salarchi Immagini, nel segno degli (astri) artisti prescelti con 144 opere: esso costituirà ciclicamente per dodici anni il corpo morale di una sinestesia simbolica da deporre in una collana editoriale Sul segno degli artisti in dodici volumi, per un ammontare cabalistico di 1728 opere d'arte esposte da un totale di 144 artisti. Un’improbabile avventura, dunque, con la buona intenzione di abbinare, questa colossale impresa, principalmente, alla cura della Fondazione degli Archi. Fulcro fondamentale per la sviluppo di un’importante quadreria, da incrementare continuamente, con le donazioni ricevute dagli artisti.
«Voglio abbellire la mia vita con i tempi dell’arte, della musica, della poesia, con le pagine migliori dell’uomo – ripete ancora l'editore Schembari – come un Sancho Panza che si allunga come a un Don Chisciotte. Allo stesso modo di come svettano, antagoniste a un’abietta periferia, le due principali chiese della mia città: quella dell’Annunziata, concreta e popolare; e quella di Santa Maria delle Stelle, utopica e aristocratica. In mezzo a loro c’è il mio piccolo granducato intellettuale, per dirla con Gesualdo Bufalino, che vuole ridestare le meraviglie di un sognato giardino greco, fenicio, romano, arabo, aragonese, catalano, ebreo, francese, normanno e spagnolo, di un paese siciliano».
Il Primo appuntamento è con Gianni Provenzano, che presenta la produzione più recente, «sono opere datate 2010-2011, dodici composizioni dove nel loro accostamento – dichiara lo stesso artista – non c’è alcun nesso razionale e volontario. Il dato certo è la casualità, le mie scelte sono sempre dettate dall’istinto, lasciando libero corso a tutti i sentimenti e a tutte le sensazioni che mi capita di provare, non rifiutando nulla da cui sono naturalmente attratto.Io ho bisogno di aggredire il soggetto con una gestualità prepotente, con un arrembaggio alla tela presa sotto assedio da una esasperata espressività segnica e coloristica». Domenica 5 giugno alle ore 20 alla Galleria degli Archi di Comiso si potranno ammirare le opere più rappresentative di alcuni dei suoi temi pittorici fin qui sviluppati. L’artista agrigentino predilige, per esempio, con "Casacce", una pittura preziosa fra grumi materici e disegno in rilievo quasi a toccare, con risultati eccellenti, gli elementi scenografici di un bassorilievo (votata sicuramente ai grandissimi formati) in alternativa, però, ad un’altra pittura più espressionista decisamente dichiarata nelle nature morte e in particolare nella composizione simmetrica di due teste bovine, dove l’iconografia grottesca rappresentata si sfalda, via, via sempre più, nella stravaganza del segno, nello straordinario equilibrio formale e cromatico raggiunto. Provenzano ci fornisce, qui, in questa mostra, le prove che quando egli dipinge si muove a suo agio indifferentemente tra i piccoli e i grandi formati e che domina tutte le tecniche sperimentate, forse col solo intento di trasformare la materia inerte del colore in vita o in qualcos’altro che gli somiglia per commuoverci o per commuoversi dell’ineffabile cono di luce che ancora sta cercando, dell’impalpabile eros che ha sempre infuso alle sue creature di carne.
Dall'intervista a Gianni Provenzano
A.F. Da quello che conosco della sua arte credo essa non possa disgiungersi dal dato oggettivo, cioè il quadro è una descrizione della realtà osservata, anche se poi, per le caratteristiche proprie della pittura può significare altro. Il significante è infatti, nell’azione pittorica, soprattutto in una pittura con elementi gestuali quale è la sua, almeno importante quanto l’immagine stessa. Per fare un nome mi viene da pensare a Lucian Freud, pur nelle evidenti differenze del vostro modo di dipingere. Ci parli della sua pittura.
Gianni Provenzano Fin da piccolo manifesto uno spiccato interesse per il disegno, tanto da spingere i miei genitori a raccomandarmi alle cure di un decoratore-affreschista del paese. E’ da ricercare già in questi anni la fascinazione dell’antico, frequentare il vero, essere dentro le cose del paesaggio, scrutare i movimenti e i passaggi anche del reale immobile. L’impossessamento lirico della pietra, quelli della fiacca vegetazione, dei volti umani, delle architetture vecchie e nuove, della luce.
A partire dalla seconda metà degli anni novanta comincio ad allevare ed istruire l’idea di una intima teoria della pietra. L’osservazione e l’analisi del paesaggio siciliano con un attenzione particolare a quello Agrigentino, nella plasticità armonica offerta dall’ impatto della luce sulle emerse viscere secche della terra, cicatrizzate nel tufo, nelle arenarie morbide e nelle argille precarie.
A.F. Quale tecnica predilige?
G.P. Non ho particolari preferenze, utilizzo tutte le tecniche a me disponibili. Per quasi quindici anni ho dipinto adoperando colori acrilici, perché meglio rispondevano alle esigenze di quegli anni. Dal novanta sono tornato a lavorare prevalentemente con colori ad olio, affascinato dalla superfice della pittura ora grumosa, materica e tattile. Ho un curioso rapporto, con la pittura levigata, lucida, esageratamente pulita e incontaminata, ne sono respinto o quanto meno tediato. Io ho bisogno di aggredire il soggetto con una gestualità prepotente, con un arrembaggio alla tela presa sotto assedio da una esasperata espressività segnica e coloristica.
A.F. Ci sono degli autori che stima particolarmente di cui ci vorrebbe parlare?
G.P. Ho una viscerale passione per l’ottocento italiano, amo la pittura di Morelli, Favretto, Mancini, Michetti e Boldini, è un colloquio fitto d’interrogazioni ancora adesso, che ricalibrano ogni volta il mio equilibrio artistico, la mia proposizione stilistica. Nel panorama italiano ed internazionale, i pittori che hanno segnato e accompagnato il mio percorso artistico sono: Sironi, Campigli, Pirandello, Saroni, Soffiantino, Banchieri, Cappelli, Sughi, Vespignani e Bacon.
A.F. Che lavori presenterà alla Galleria degli Archi?
G.P. Presento la produzione più recente, sono opere datate 2010-2011, dodici composizioni dove nel loro accostamento non c’è alcun nesso razionale e volontario. Il dato certo è la casualità, le mie scelte sono sempre dettate dall’istinto, lasciando libero corso a tutti i sentimenti e a tutte le sensazioni che mi capita di provare, non rifiutando nulla da cui sono naturalmente attratto.
In sostanza si tratta di scegliere Dodici artisti da presentare nell'arco di un anno con 12 lavori ciascuno. Alla fine dell'anno sarà pubblicato un catalogo edito dalla Salarchi Immagini, nel segno degli (astri) artisti prescelti con 144 opere: esso costituirà ciclicamente per dodici anni il corpo morale di una sinestesia simbolica da deporre in una collana editoriale Sul segno degli artisti in dodici volumi, per un ammontare cabalistico di 1728 opere d'arte esposte da un totale di 144 artisti. Un’improbabile avventura, dunque, con la buona intenzione di abbinare, questa colossale impresa, principalmente, alla cura della Fondazione degli Archi. Fulcro fondamentale per la sviluppo di un’importante quadreria, da incrementare continuamente, con le donazioni ricevute dagli artisti.
«Voglio abbellire la mia vita con i tempi dell’arte, della musica, della poesia, con le pagine migliori dell’uomo – ripete ancora l'editore Schembari – come un Sancho Panza che si allunga come a un Don Chisciotte. Allo stesso modo di come svettano, antagoniste a un’abietta periferia, le due principali chiese della mia città: quella dell’Annunziata, concreta e popolare; e quella di Santa Maria delle Stelle, utopica e aristocratica. In mezzo a loro c’è il mio piccolo granducato intellettuale, per dirla con Gesualdo Bufalino, che vuole ridestare le meraviglie di un sognato giardino greco, fenicio, romano, arabo, aragonese, catalano, ebreo, francese, normanno e spagnolo, di un paese siciliano».
Il Primo appuntamento è con Gianni Provenzano, che presenta la produzione più recente, «sono opere datate 2010-2011, dodici composizioni dove nel loro accostamento – dichiara lo stesso artista – non c’è alcun nesso razionale e volontario. Il dato certo è la casualità, le mie scelte sono sempre dettate dall’istinto, lasciando libero corso a tutti i sentimenti e a tutte le sensazioni che mi capita di provare, non rifiutando nulla da cui sono naturalmente attratto.Io ho bisogno di aggredire il soggetto con una gestualità prepotente, con un arrembaggio alla tela presa sotto assedio da una esasperata espressività segnica e coloristica». Domenica 5 giugno alle ore 20 alla Galleria degli Archi di Comiso si potranno ammirare le opere più rappresentative di alcuni dei suoi temi pittorici fin qui sviluppati. L’artista agrigentino predilige, per esempio, con "Casacce", una pittura preziosa fra grumi materici e disegno in rilievo quasi a toccare, con risultati eccellenti, gli elementi scenografici di un bassorilievo (votata sicuramente ai grandissimi formati) in alternativa, però, ad un’altra pittura più espressionista decisamente dichiarata nelle nature morte e in particolare nella composizione simmetrica di due teste bovine, dove l’iconografia grottesca rappresentata si sfalda, via, via sempre più, nella stravaganza del segno, nello straordinario equilibrio formale e cromatico raggiunto. Provenzano ci fornisce, qui, in questa mostra, le prove che quando egli dipinge si muove a suo agio indifferentemente tra i piccoli e i grandi formati e che domina tutte le tecniche sperimentate, forse col solo intento di trasformare la materia inerte del colore in vita o in qualcos’altro che gli somiglia per commuoverci o per commuoversi dell’ineffabile cono di luce che ancora sta cercando, dell’impalpabile eros che ha sempre infuso alle sue creature di carne.
Dall'intervista a Gianni Provenzano
A.F. Da quello che conosco della sua arte credo essa non possa disgiungersi dal dato oggettivo, cioè il quadro è una descrizione della realtà osservata, anche se poi, per le caratteristiche proprie della pittura può significare altro. Il significante è infatti, nell’azione pittorica, soprattutto in una pittura con elementi gestuali quale è la sua, almeno importante quanto l’immagine stessa. Per fare un nome mi viene da pensare a Lucian Freud, pur nelle evidenti differenze del vostro modo di dipingere. Ci parli della sua pittura.
Gianni Provenzano Fin da piccolo manifesto uno spiccato interesse per il disegno, tanto da spingere i miei genitori a raccomandarmi alle cure di un decoratore-affreschista del paese. E’ da ricercare già in questi anni la fascinazione dell’antico, frequentare il vero, essere dentro le cose del paesaggio, scrutare i movimenti e i passaggi anche del reale immobile. L’impossessamento lirico della pietra, quelli della fiacca vegetazione, dei volti umani, delle architetture vecchie e nuove, della luce.
A partire dalla seconda metà degli anni novanta comincio ad allevare ed istruire l’idea di una intima teoria della pietra. L’osservazione e l’analisi del paesaggio siciliano con un attenzione particolare a quello Agrigentino, nella plasticità armonica offerta dall’ impatto della luce sulle emerse viscere secche della terra, cicatrizzate nel tufo, nelle arenarie morbide e nelle argille precarie.
A.F. Quale tecnica predilige?
G.P. Non ho particolari preferenze, utilizzo tutte le tecniche a me disponibili. Per quasi quindici anni ho dipinto adoperando colori acrilici, perché meglio rispondevano alle esigenze di quegli anni. Dal novanta sono tornato a lavorare prevalentemente con colori ad olio, affascinato dalla superfice della pittura ora grumosa, materica e tattile. Ho un curioso rapporto, con la pittura levigata, lucida, esageratamente pulita e incontaminata, ne sono respinto o quanto meno tediato. Io ho bisogno di aggredire il soggetto con una gestualità prepotente, con un arrembaggio alla tela presa sotto assedio da una esasperata espressività segnica e coloristica.
A.F. Ci sono degli autori che stima particolarmente di cui ci vorrebbe parlare?
G.P. Ho una viscerale passione per l’ottocento italiano, amo la pittura di Morelli, Favretto, Mancini, Michetti e Boldini, è un colloquio fitto d’interrogazioni ancora adesso, che ricalibrano ogni volta il mio equilibrio artistico, la mia proposizione stilistica. Nel panorama italiano ed internazionale, i pittori che hanno segnato e accompagnato il mio percorso artistico sono: Sironi, Campigli, Pirandello, Saroni, Soffiantino, Banchieri, Cappelli, Sughi, Vespignani e Bacon.
A.F. Che lavori presenterà alla Galleria degli Archi?
G.P. Presento la produzione più recente, sono opere datate 2010-2011, dodici composizioni dove nel loro accostamento non c’è alcun nesso razionale e volontario. Il dato certo è la casualità, le mie scelte sono sempre dettate dall’istinto, lasciando libero corso a tutti i sentimenti e a tutte le sensazioni che mi capita di provare, non rifiutando nulla da cui sono naturalmente attratto.
05
giugno 2011
Gianni Provenzano – Sul segno degli artisti
Dal 05 al 23 giugno 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEGLI ARCHI
Comiso, Via E. Calogero, 22, (Ragusa)
Comiso, Via E. Calogero, 22, (Ragusa)
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 17-20 o su appuntamento
Vernissage
5 Giugno 2011, ore 20.00
Autore
Curatore