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Gilad Efrat – Common Place
Ciclo di nuovi lavori pittorici in cui il colore viene tolto, sottratto dalla tela dove precedentemente era stato steso, come strati archeologici svelati meticolosamente
Comunicato stampa
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Brueghel’s two monkeys (Wislawa Szymborska)
“This is what I see in my dreams about final exams:
Two monkeys, chained to the floor, sit on the windowsill,
The sky behind them flutters,
The sea is taking its bath.
The exam is History of Mankind.
I stammer and hedge.
One monkey stares an listens with mocking disdain,
The other seems to be dreaming away-
But when it’s clear I don’t know what to say
He prompts me with a gentle
Clinking of his chain”
Il 9 dicembre alle 19 si inaugura a Roma, in via Reggio Emilia 24, presso la galleria OREDARIA “Common Place”, mostra personale di Gilad Efrat (Beer-Sheva, Israele, 1969. Vive e lavora a New York).
L’artista israeliano torna a Roma dopo quattro anni trascorsi prima a Houston (con una borsa di studio come artista residente presso il Museum of Fine Arts) e poi a New York. Attualmente si divide fra New York e Tel-Aviv dove insegna nello Shenkar College of Engineering and Design, in Ramat-Gan.
In questa occasione presenta un ciclo di nuovi lavori pittorici in cui il colore viene tolto, sottratto dalla tela dove precedentemente era stato steso, come strati archeologici svelati meticolosamente.
La mostra, composta da tre unità narrative diverse ma complementari, inizia lungo il corridoio dove piccole scimmie sembrano guardare lo spettatore: i loro sguardi interrogano, alienano e scombussolano.
Dopo questa visione, segnata da una sensazione straniante, i paesaggi lunari aumentano la percezione dell’assenza: “superfici piegate e crepate, pietre e sabbie leggere e pesanti, regioni aride. Assenza di un tempo definito, dove è impossibile riconoscere un passato, un presente o un futuro. Assenza di uno spazio concreto, di un’atmosfera identificabile, per cui si deve rinunciare a trovare una stabilità fisica. In tutte queste immagini, il soggetto è assente, non c’è traccia di storia, né contenuto, solo un pezzo di terreno, una superficie semplice. Senza nome o identità, sono luoghi di astinenza, di contemplazione, luoghi di una possibile intimità” 1.
Alla fine del percorso questo intimismo insolitamente lacerante viene potenziato con una rappresentazione pulita, asettica della prigione di Ansaar, testimonianza di uno spazio realmente esistente ma che allude principalmente alla nostra prigionia mentale.
1 Tratto da un testo di Ayelet Lilti(PH. D student in comparative literature at the University of Paris VII)
“This is what I see in my dreams about final exams:
Two monkeys, chained to the floor, sit on the windowsill,
The sky behind them flutters,
The sea is taking its bath.
The exam is History of Mankind.
I stammer and hedge.
One monkey stares an listens with mocking disdain,
The other seems to be dreaming away-
But when it’s clear I don’t know what to say
He prompts me with a gentle
Clinking of his chain”
Il 9 dicembre alle 19 si inaugura a Roma, in via Reggio Emilia 24, presso la galleria OREDARIA “Common Place”, mostra personale di Gilad Efrat (Beer-Sheva, Israele, 1969. Vive e lavora a New York).
L’artista israeliano torna a Roma dopo quattro anni trascorsi prima a Houston (con una borsa di studio come artista residente presso il Museum of Fine Arts) e poi a New York. Attualmente si divide fra New York e Tel-Aviv dove insegna nello Shenkar College of Engineering and Design, in Ramat-Gan.
In questa occasione presenta un ciclo di nuovi lavori pittorici in cui il colore viene tolto, sottratto dalla tela dove precedentemente era stato steso, come strati archeologici svelati meticolosamente.
La mostra, composta da tre unità narrative diverse ma complementari, inizia lungo il corridoio dove piccole scimmie sembrano guardare lo spettatore: i loro sguardi interrogano, alienano e scombussolano.
Dopo questa visione, segnata da una sensazione straniante, i paesaggi lunari aumentano la percezione dell’assenza: “superfici piegate e crepate, pietre e sabbie leggere e pesanti, regioni aride. Assenza di un tempo definito, dove è impossibile riconoscere un passato, un presente o un futuro. Assenza di uno spazio concreto, di un’atmosfera identificabile, per cui si deve rinunciare a trovare una stabilità fisica. In tutte queste immagini, il soggetto è assente, non c’è traccia di storia, né contenuto, solo un pezzo di terreno, una superficie semplice. Senza nome o identità, sono luoghi di astinenza, di contemplazione, luoghi di una possibile intimità” 1.
Alla fine del percorso questo intimismo insolitamente lacerante viene potenziato con una rappresentazione pulita, asettica della prigione di Ansaar, testimonianza di uno spazio realmente esistente ma che allude principalmente alla nostra prigionia mentale.
1 Tratto da un testo di Ayelet Lilti(PH. D student in comparative literature at the University of Paris VII)
09
dicembre 2008
Gilad Efrat – Common Place
Dal 09 dicembre 2008 al 21 febbraio 2009
arte contemporanea
Location
OREDARIA ARTI CONTEMPORANEE
Roma, Via Reggio Emilia, 22-24, (Roma)
Roma, Via Reggio Emilia, 22-24, (Roma)
Orario di apertura
martedi a sabato ore 10-13 e 16-19.30
Vernissage
9 Dicembre 2008, h 19
Autore