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Gilberto Giovagnoli – Destrudo
Doppio appuntamento per D406 – Fedeli alla linea in occasione del “Festivalfilosofia 2013”. In galleria: Destrudo – Amore per la distruzione, mostra personale di Gilberto Giovagnoli. Open air: Live painting di Ericailcane e Bastardilla (Colombia) presso ex palasport
Comunicato stampa
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Tra i primi a provare un grande e sincero amore per la distruzione c’è Dada. Tristan Tzara: “che ogni uomo gridi: c’è un grande lavoro distruttivo, negativo da compiere. Spazzare via, pulire”. Richard Huelsenbeck: “Dada è ciò che danza al di sopra di tutte le morali”.
Dissoluzione, futilità, assurdità dei gesti e discorsi senza significato: Dada reagisce così a ciò che di distruttivo la modernità ha scatenato contro se stessa.
Distruggere ciò che distrugge, distruggere la guerra che ha distrutto la società. La prima guerra totale, mattatoio intercapitalistico generato dalla volontà di potenza delle borghesie e dei loro stati, si fa incubatrice del più sincero amore dadaista della distruzione.
L’arte cerca la strada per la tabula rasa: si tratta di distruggere ciò che continua a devastare la potenza comune dei corpi e delle menti; si tratta di evocare la forza di tutto ciò che si oppone alla barbarie del capitale. Dada diventa spartachista.
“L’ordine regna sopra Berlino”: i Freikorps della socialdemocrazia distruggono Spartaco e con lui la rivoluzione in Europa, ovvero l’amore per la distruzione.
Comunque Dada germina frutti: la migliore filosofia recepisce la sua lezione. Walter Benjamin pensa i lineamenti fondamentali del medesimo carattere distruttivo, dello stesso amore per la distruzione. “Il carattere distruttivo non vede alcunché di duraturo. E proprio per questo scorge ovunque vie d’uscita”.
Le macerie della guerra totale, invece, non lasciavano alcuna linea di fuga: strade chiuse dalle rovine, blocchi di pietra e cemento ad invadere piazze e strade.
Di nuovo Benjamin: “tuttavia proprio perché scorge ovunque una via d’uscita, il carattere distruttivo deve sgomberarsi ovunque la strada. Non sempre con la forza bruta, talora anche con raffinatezza”. Il fine era ancora costruire una forza politica, certo. Ma il carattere distruttivo si affina e sgombera le macerie, anche attraverso un uso fine e progressivo delle nuove potenze mediatiche – giornalismo, fotografia, cinema -; anche politicizzando l’arte contro l’estetizzazione della politica. Ancora la lezione di Dada - mentre la modernità si fa matura - ma questa volta contro il fascismo, nuova declinazione della mobilitazione totale, della distruzione per la distruzione; “distruzione creatrice”, dirà Schumpeter, al servizio come sempre del capitale.
Schumpeter pensa alla seconda guerra mondiale che ridurrà l’esistente in macerie per amore delle macerie, e non, come il carattere distruttivo, per amore della “via di uscita che le attraversa”. Bombardamenti in forma pura e scoperta per distruggere il morale della popolazione civile nemica, per praticare l’annichilimento dei corpi dei lavoratori nemici, dei loro luoghi, della loro storia, dei loro ambienti naturali. Non vi è qui alcun sacrificio per le vittime, perché per loro non vi è alcun obiettivo. Sono loro stesse l’obiettivo e la via. Via per l’affermazione della volontà di potenza che guiderà il futuro ordine del mondo.
Come in un gioco di specchi, di fronte alle parole lucidamente deliranti dell’amante dei lager, sul quale a Karl Kraus non veniva in mente nulla, si riflette la massima capacità distruttiva dell’area bombing di Churchill: “coloro i quali hanno scatenato quegli orrori contro il genere umano subiscono adesso in casa propria e sulla loro pelle i devastanti colpi di una giusta ritorsione”.
Giustizia poetica superiore, così – è Sebald che lo ricorda - la riteneva il Premier: cinico amore delle macerie per le macerie, distruzione in quanto tale amministrata dai vertici del Bomber Command nella persona di Sir Arthur Harris.
Sua è parte congrua del lavoro creativo all’opera nelle immagini contenute in questo libro. Rispetto ad un simile esito, Gilberto fa solo il suo lavoro: riattivare il carattere distruttivo. Fin troppo facile fraintenderlo, ma – ancora con Benjamin – “l’essere frainteso non gli nuoce”, perché “non è affatto interessato ad essere capito”. “Anzi egli provoca l’equivoco (…), lascia che lo si fraintenda”, dal momento che – ereditando l’attitudine a épater le bourgeois - mira a dissolvere la comodità dell’“uomo-custodia”, del cui involucro Gilberto è da sempre nemico. E’ quell’involucro infatti che permette all’uomo-astuccio, che anche noi siamo, di schermarsi da ciò che ancora oggi - dopo la fine dell’“equilibrio del terrore”, in un caos sistemico punteggiato di mattanze, e al tempo della dittatura finanziaria - continua a produrre macerie per amore delle macerie.
Distruggere quell’involucro allora significa, al modo dei cinici antichi, ereditare la pratica artistica dell’amore per la distruzione. Gilberto, il cinico, abita il carattere distruttivo perché tenta di rimuovere con la decisione della rivolta – una ben debole forza - ciò che ostacola le vie di fuga da percorrere perché nasca una nuova sensibilità. Non è poco nel tempo in cui questa viene sistematicamente aggredita dall’imporsi della concorrenza come norma della vita sociale e dall’accelerazione frenetica della vita della mente. Le energie nervose e la cooperazione sociale sono sempre più sacrificate sugli altari della valorizzazione capitalistica, che dalla ricchezza comune continua ad estrarre la propria linfa vitale. Prende così forma una nuova, aggiornata edizione della vecchia “povertà di esperienza” che, come sapeva Benjamin, fin da subito mina i tempi moderni.
Campo di battaglia e luogo di produzione delle rovine e dell’orrore del quotidiano è, oggi come ieri, la città che, nella rideclinazione rovesciata della sua formulazione classica - nel passaggio cioè dalla città da guerra alla città in guerra -, viene surrogata nella sua formulazione moderna come composta da edifici, architetture. In assenza apparente di civili, ma puntualmente a scapito loro e della loro sensibilità.
Sensibilità è facoltà di capire ciò che non può essere detto con le parole. Riattivarla, insieme all’empatia – condizione necessaria e non sufficiente per l’edificazione di un nuovo mondo comune - è il compito di un’arte depositaria del carattere distruttivo. Come suo compito è rendere saldo (e certo) l’amore per la distruzione. Saldo e certo almeno quanto sono immediate di fronte a noi le rovine generate con fermezza e continuità nel malfermo nome della “fine della storia”.
Con un’ultima avvertenza: il carattere distruttivo non si illude di vivere “per il sentimento che la vita meriti di essere vissuta, ma perché – come con tragica ironia avvisava Benjamin - non vale la pena di suicidarsi”.
Luca Morganti
Alessandro Simoncini
Dissoluzione, futilità, assurdità dei gesti e discorsi senza significato: Dada reagisce così a ciò che di distruttivo la modernità ha scatenato contro se stessa.
Distruggere ciò che distrugge, distruggere la guerra che ha distrutto la società. La prima guerra totale, mattatoio intercapitalistico generato dalla volontà di potenza delle borghesie e dei loro stati, si fa incubatrice del più sincero amore dadaista della distruzione.
L’arte cerca la strada per la tabula rasa: si tratta di distruggere ciò che continua a devastare la potenza comune dei corpi e delle menti; si tratta di evocare la forza di tutto ciò che si oppone alla barbarie del capitale. Dada diventa spartachista.
“L’ordine regna sopra Berlino”: i Freikorps della socialdemocrazia distruggono Spartaco e con lui la rivoluzione in Europa, ovvero l’amore per la distruzione.
Comunque Dada germina frutti: la migliore filosofia recepisce la sua lezione. Walter Benjamin pensa i lineamenti fondamentali del medesimo carattere distruttivo, dello stesso amore per la distruzione. “Il carattere distruttivo non vede alcunché di duraturo. E proprio per questo scorge ovunque vie d’uscita”.
Le macerie della guerra totale, invece, non lasciavano alcuna linea di fuga: strade chiuse dalle rovine, blocchi di pietra e cemento ad invadere piazze e strade.
Di nuovo Benjamin: “tuttavia proprio perché scorge ovunque una via d’uscita, il carattere distruttivo deve sgomberarsi ovunque la strada. Non sempre con la forza bruta, talora anche con raffinatezza”. Il fine era ancora costruire una forza politica, certo. Ma il carattere distruttivo si affina e sgombera le macerie, anche attraverso un uso fine e progressivo delle nuove potenze mediatiche – giornalismo, fotografia, cinema -; anche politicizzando l’arte contro l’estetizzazione della politica. Ancora la lezione di Dada - mentre la modernità si fa matura - ma questa volta contro il fascismo, nuova declinazione della mobilitazione totale, della distruzione per la distruzione; “distruzione creatrice”, dirà Schumpeter, al servizio come sempre del capitale.
Schumpeter pensa alla seconda guerra mondiale che ridurrà l’esistente in macerie per amore delle macerie, e non, come il carattere distruttivo, per amore della “via di uscita che le attraversa”. Bombardamenti in forma pura e scoperta per distruggere il morale della popolazione civile nemica, per praticare l’annichilimento dei corpi dei lavoratori nemici, dei loro luoghi, della loro storia, dei loro ambienti naturali. Non vi è qui alcun sacrificio per le vittime, perché per loro non vi è alcun obiettivo. Sono loro stesse l’obiettivo e la via. Via per l’affermazione della volontà di potenza che guiderà il futuro ordine del mondo.
Come in un gioco di specchi, di fronte alle parole lucidamente deliranti dell’amante dei lager, sul quale a Karl Kraus non veniva in mente nulla, si riflette la massima capacità distruttiva dell’area bombing di Churchill: “coloro i quali hanno scatenato quegli orrori contro il genere umano subiscono adesso in casa propria e sulla loro pelle i devastanti colpi di una giusta ritorsione”.
Giustizia poetica superiore, così – è Sebald che lo ricorda - la riteneva il Premier: cinico amore delle macerie per le macerie, distruzione in quanto tale amministrata dai vertici del Bomber Command nella persona di Sir Arthur Harris.
Sua è parte congrua del lavoro creativo all’opera nelle immagini contenute in questo libro. Rispetto ad un simile esito, Gilberto fa solo il suo lavoro: riattivare il carattere distruttivo. Fin troppo facile fraintenderlo, ma – ancora con Benjamin – “l’essere frainteso non gli nuoce”, perché “non è affatto interessato ad essere capito”. “Anzi egli provoca l’equivoco (…), lascia che lo si fraintenda”, dal momento che – ereditando l’attitudine a épater le bourgeois - mira a dissolvere la comodità dell’“uomo-custodia”, del cui involucro Gilberto è da sempre nemico. E’ quell’involucro infatti che permette all’uomo-astuccio, che anche noi siamo, di schermarsi da ciò che ancora oggi - dopo la fine dell’“equilibrio del terrore”, in un caos sistemico punteggiato di mattanze, e al tempo della dittatura finanziaria - continua a produrre macerie per amore delle macerie.
Distruggere quell’involucro allora significa, al modo dei cinici antichi, ereditare la pratica artistica dell’amore per la distruzione. Gilberto, il cinico, abita il carattere distruttivo perché tenta di rimuovere con la decisione della rivolta – una ben debole forza - ciò che ostacola le vie di fuga da percorrere perché nasca una nuova sensibilità. Non è poco nel tempo in cui questa viene sistematicamente aggredita dall’imporsi della concorrenza come norma della vita sociale e dall’accelerazione frenetica della vita della mente. Le energie nervose e la cooperazione sociale sono sempre più sacrificate sugli altari della valorizzazione capitalistica, che dalla ricchezza comune continua ad estrarre la propria linfa vitale. Prende così forma una nuova, aggiornata edizione della vecchia “povertà di esperienza” che, come sapeva Benjamin, fin da subito mina i tempi moderni.
Campo di battaglia e luogo di produzione delle rovine e dell’orrore del quotidiano è, oggi come ieri, la città che, nella rideclinazione rovesciata della sua formulazione classica - nel passaggio cioè dalla città da guerra alla città in guerra -, viene surrogata nella sua formulazione moderna come composta da edifici, architetture. In assenza apparente di civili, ma puntualmente a scapito loro e della loro sensibilità.
Sensibilità è facoltà di capire ciò che non può essere detto con le parole. Riattivarla, insieme all’empatia – condizione necessaria e non sufficiente per l’edificazione di un nuovo mondo comune - è il compito di un’arte depositaria del carattere distruttivo. Come suo compito è rendere saldo (e certo) l’amore per la distruzione. Saldo e certo almeno quanto sono immediate di fronte a noi le rovine generate con fermezza e continuità nel malfermo nome della “fine della storia”.
Con un’ultima avvertenza: il carattere distruttivo non si illude di vivere “per il sentimento che la vita meriti di essere vissuta, ma perché – come con tragica ironia avvisava Benjamin - non vale la pena di suicidarsi”.
Luca Morganti
Alessandro Simoncini
13
settembre 2013
Gilberto Giovagnoli – Destrudo
Dal 13 settembre al 27 ottobre 2013
arte contemporanea
Location
D406 ARTE CONTEMPORANEA
Modena, Via Cardinale Giovanni Morone, 31/3, (Modena)
Modena, Via Cardinale Giovanni Morone, 31/3, (Modena)
Orario di apertura
Orari per il Festivalfilosofia
venerdì 13 settembre ore 18/01
sabato 14 settembre ore 10,30/24
domenica 15 settembre ore 10,30/21
Vernissage
13 Settembre 2013, 18.00
Autore