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Gino De Dominicis – L’organizzazione della vita
In che modo affronta il paradosso della propria morte un artista il cui progetto, che lo impegna per tutta la vita, concerne l’idea di immortalità? È l’opera stessa un voluto paradosso, che sfida l’inevitabile fine tramite la doppia faccia della negazione e della conferma? Detto in altre parole, mentre il contesto del suo progetto era il tema dell’immortalità, il suo progetto, come quello di tutti gli artisti, aveva a che fare con il significato. Gino era un artista. La parola ‹‹artista›› è specifica e dice, dato l’ampio raggio delle attività umane, tanto quanto è necessario.
Comunicato stampa
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Chiarezza
‹‹La difficoltà che deve affrontare un essere vivente consiste nel dare alla propria vita quella continuità senza la quale tutte le cose semplicemente svaniscono››
S. Kierkegaard
‹‹Mi ostinai e asserii che la morte era la vera organizzatrice della vita››
I.Svevo
In che modo affronta il paradosso della propria morte un artista il cui progetto, che lo impegna per tutta la vita, concerne l’idea di immortalità? È l’opera stessa un voluto paradosso, che sfida l’inevitabile fine tramite la doppia faccia della negazione e della conferma? Detto in altre parole, mentre il contesto del suo progetto era il tema dell’immortalità, il suo progetto, come quello di tutti gli artisti, aveva a che fare con il significato. Gino era un artista. La parola ‹‹artista›› è specifica e dice, dato l’ampio raggio delle attività umane, tanto quanto è necessario. Gli artisti fanno varie cose, alcuni sono soliti anche dipingere. Che lo facciano o no, comunque, è meno significativo della loro attività vista nel suo insieme. Al suo interno, il come della produzione di un artista trova il suo significato effettivo nel perché, che quella tale opera manifesta. È ormai chiaro da molti anni che ci sono sia ‹‹pittori››, sia artisti i quali, tra le altre cose, occasionalmente usano anche la pittura. Ciò che si deve capire, se si vuole capire, è che gli artisti lavorano con il significato che è il loro effettivo materiale e che per produrlo essi fanno ciò che possono. Se uno dipinge solamente, il significato globale della sua attività si sposa con la tradizione dellla pittura stessa e parla di questa più di quanto il singolo artista potrebbe voler dire. In tal modo si perde il valore culturale e sociale (e in seguito il valore storico) che può offrire la vita di un artista che vive nel presente. Tutto ciò assume un significato particolare per un artista interessato al binomio mortalità/immortalità. Tra le altre sue attività, Gino a volte dipingeva. Per quanto mi riguarda, io esamino le divergenze tra un opera e l’altra per ‹‹vedere›› ciò che un artista sta dicendo, poiché è lì che si ha una migliore visione del processo del suo pensiero. Tutti i modi in cui Gino lavorava esprimeva quello che egli stava dicendo, persino quella parte che era indicibile. La pittura era una opzione importante, anche se di valenza conservatrice, tra le varie alternative che, delimitando una sorta di linguaggio avanguardistico, sebbene in modo diverso, rischiava di spersonalizzare le sue dichiarazioni sull’immortalità. Per essere credibili tali dichiarazioni dovevano essere radicate nella sfera personale della vita e del presente, il che spiega anche perché egli non dipingesse solamente. Si può forse sostenere che, essendo immerso nel mondo artistico degli anni ottanta, Gino fosse spinto in una direzione più lontana di quanto altrimenti sarebbe potuto andare. Di sicuro le sue dichiarazioni, che mi sembrano databili a quel periodo e che furono pubblicate nella loro forma definitiva il giorno della sua morte, rappresentano una risposta perversa e ironica – in un certo senso contradditoria – ai trenta anni di conversazione che abbiamo avuto assieme. Mi sbaglio o sento la sua risata? Mi si perdoni se la considererò come la sua ultima mossa del nostro singolare gioco. Ma io posso ancora parlare e ho intenzione di farlo: coloro che vogliono definire pittore un artista del genere dovranno eliminare la maggior parte delle sue opere più importati, opere fatte di cose di cui egli si è appropriato, ma che erano costruzioni con un significato fornito soltanto da lui. In verità queste opere, per l’uso di oggetti che hanno una vita propria nel mondo, abbracciano la realtà e, di conseguenza, avvalorano le sue domande rigurdanti la mortalità, poiché tali domande venivano poste nel luogo dove si svolge realmente la vita. Un quadro, che di necessità si basa su uno spazio fittizio, rimane distante dalla vita innanzitutto per questo motivo, e inoltre anche per il fatto che si separa dal significato della vita vissuta per prendere il proprio posto tra tutti gli altri quadri che sono stati dipinti. Se i quadri sono oggetti di questo mondo, essi sono oggetti che si autosacrificano, riducendosi al silenzio reciprocamente e all’unisono. Gino annunciò la propria morte nel 1969 – in un certo senso si tolse il pensiero – assicurandosi in tal modo una vita ‹‹immortale››, almeno all’interno delle problematiche della sua opera, per i successivi trent’anni. Se si è ‹‹morti›› ma ancora in circolazione, non si può fare a meno di sollevare la questione dell’immortalità. Questo gesto fu sicuramente più duchampiano di quanto Gino avrebbe mai ammesso, ma la cosa non è così semplice. L’atto di Duchamp di ‹‹mollare›› ( un altro modo di ‹‹morire›› come artista) è stato un gesto esteriore mente quello di Gino scaturì da un impulso interiore. Per Gino l’essere morto costituiva una strategia operativa, paragonabile alle ‹‹sculture viventi›› di Gilbert & George, più o meno dello stesso periodo. Naturalmente il paradosso è che nessun artista è mai sembrato più vivo di Gino, nessun sodalizio artistico più artificioso e meno vitale di Gilbert & George. È già stato notato che Gino è morto nel ‹‹mese dei morti››, lo stesso mese in cui trent’anni prima ne aveva dato l’annuncio. Nessuno è casuale rispetto alla morte, ma qui si tratta di un artista che lo è stato ancora meno poiché, tramite la sua opera, egli aveva integrato la propria vita con l’ineluttabilità della propria morte. Questa sarebbe stata anche qualcosa di più di una semplice fine o dell’interruzione di un processo: era inevitabile che sarebbe stata vista come un evento nella sua opera. Prima di dover venire a patti effettivamente con la propria morte, egli aveva affrontato l’idea della morte durante tutta la sua vita da artista. Non c’è posto per congetture fantastiche in questa storia, si tratta semplicemente di una delle forme che può assumere la chiarezza.
Joseph Kosuth*
(Tratto da “De Dominicis Raccolta di scritti sull’opera e l’artista, a cura di Gabriele Guercio, Umberto Allemandi & C.Traduzione dall’inglese di Adi Mineo e Gabiele Guercio)
* Joseph Kosuth è un artista che vive e lavora a Roma e New York
Gino De Dominicis (Ancona 1947 - Roma 1998) e' stato una figura carismatica ed enigmatica nella storia dell'arte italiana e internazionale degli ultimi 30 anni. Le sue opere sono state esposte in musei importanti: Museo di Capodimonte, Napoli; Museum of Modern Art, New York; Centro Nazionale d'Arte Contemporanea, Grenoble, rassegne internazionali come: Biennale di Venezia, Quadriennale, Roma; Documenta, Kassel e gallerie private tra cui l'Attico, Roma; Pio Monti, Roma; Franco Toselli, Milano; Emilio Mazzoli, Modena e Lia Rumma, Napoli. Recentemente la sua mostra itinerante e' stata ospitata da Villa Arson, Nizza; Fondazione Merz, Torino; PS1, New York.
Si ringraziano per la collaborazione: Emilio Mazzoli, Pio e Nicola Monti, G. P., Franco Toselli, Roberto Calvi, Mario Tomio, Edoardo Gnemmi, Norma Mangione e Elisabetta Vichi.
‹‹La difficoltà che deve affrontare un essere vivente consiste nel dare alla propria vita quella continuità senza la quale tutte le cose semplicemente svaniscono››
S. Kierkegaard
‹‹Mi ostinai e asserii che la morte era la vera organizzatrice della vita››
I.Svevo
In che modo affronta il paradosso della propria morte un artista il cui progetto, che lo impegna per tutta la vita, concerne l’idea di immortalità? È l’opera stessa un voluto paradosso, che sfida l’inevitabile fine tramite la doppia faccia della negazione e della conferma? Detto in altre parole, mentre il contesto del suo progetto era il tema dell’immortalità, il suo progetto, come quello di tutti gli artisti, aveva a che fare con il significato. Gino era un artista. La parola ‹‹artista›› è specifica e dice, dato l’ampio raggio delle attività umane, tanto quanto è necessario. Gli artisti fanno varie cose, alcuni sono soliti anche dipingere. Che lo facciano o no, comunque, è meno significativo della loro attività vista nel suo insieme. Al suo interno, il come della produzione di un artista trova il suo significato effettivo nel perché, che quella tale opera manifesta. È ormai chiaro da molti anni che ci sono sia ‹‹pittori››, sia artisti i quali, tra le altre cose, occasionalmente usano anche la pittura. Ciò che si deve capire, se si vuole capire, è che gli artisti lavorano con il significato che è il loro effettivo materiale e che per produrlo essi fanno ciò che possono. Se uno dipinge solamente, il significato globale della sua attività si sposa con la tradizione dellla pittura stessa e parla di questa più di quanto il singolo artista potrebbe voler dire. In tal modo si perde il valore culturale e sociale (e in seguito il valore storico) che può offrire la vita di un artista che vive nel presente. Tutto ciò assume un significato particolare per un artista interessato al binomio mortalità/immortalità. Tra le altre sue attività, Gino a volte dipingeva. Per quanto mi riguarda, io esamino le divergenze tra un opera e l’altra per ‹‹vedere›› ciò che un artista sta dicendo, poiché è lì che si ha una migliore visione del processo del suo pensiero. Tutti i modi in cui Gino lavorava esprimeva quello che egli stava dicendo, persino quella parte che era indicibile. La pittura era una opzione importante, anche se di valenza conservatrice, tra le varie alternative che, delimitando una sorta di linguaggio avanguardistico, sebbene in modo diverso, rischiava di spersonalizzare le sue dichiarazioni sull’immortalità. Per essere credibili tali dichiarazioni dovevano essere radicate nella sfera personale della vita e del presente, il che spiega anche perché egli non dipingesse solamente. Si può forse sostenere che, essendo immerso nel mondo artistico degli anni ottanta, Gino fosse spinto in una direzione più lontana di quanto altrimenti sarebbe potuto andare. Di sicuro le sue dichiarazioni, che mi sembrano databili a quel periodo e che furono pubblicate nella loro forma definitiva il giorno della sua morte, rappresentano una risposta perversa e ironica – in un certo senso contradditoria – ai trenta anni di conversazione che abbiamo avuto assieme. Mi sbaglio o sento la sua risata? Mi si perdoni se la considererò come la sua ultima mossa del nostro singolare gioco. Ma io posso ancora parlare e ho intenzione di farlo: coloro che vogliono definire pittore un artista del genere dovranno eliminare la maggior parte delle sue opere più importati, opere fatte di cose di cui egli si è appropriato, ma che erano costruzioni con un significato fornito soltanto da lui. In verità queste opere, per l’uso di oggetti che hanno una vita propria nel mondo, abbracciano la realtà e, di conseguenza, avvalorano le sue domande rigurdanti la mortalità, poiché tali domande venivano poste nel luogo dove si svolge realmente la vita. Un quadro, che di necessità si basa su uno spazio fittizio, rimane distante dalla vita innanzitutto per questo motivo, e inoltre anche per il fatto che si separa dal significato della vita vissuta per prendere il proprio posto tra tutti gli altri quadri che sono stati dipinti. Se i quadri sono oggetti di questo mondo, essi sono oggetti che si autosacrificano, riducendosi al silenzio reciprocamente e all’unisono. Gino annunciò la propria morte nel 1969 – in un certo senso si tolse il pensiero – assicurandosi in tal modo una vita ‹‹immortale››, almeno all’interno delle problematiche della sua opera, per i successivi trent’anni. Se si è ‹‹morti›› ma ancora in circolazione, non si può fare a meno di sollevare la questione dell’immortalità. Questo gesto fu sicuramente più duchampiano di quanto Gino avrebbe mai ammesso, ma la cosa non è così semplice. L’atto di Duchamp di ‹‹mollare›› ( un altro modo di ‹‹morire›› come artista) è stato un gesto esteriore mente quello di Gino scaturì da un impulso interiore. Per Gino l’essere morto costituiva una strategia operativa, paragonabile alle ‹‹sculture viventi›› di Gilbert & George, più o meno dello stesso periodo. Naturalmente il paradosso è che nessun artista è mai sembrato più vivo di Gino, nessun sodalizio artistico più artificioso e meno vitale di Gilbert & George. È già stato notato che Gino è morto nel ‹‹mese dei morti››, lo stesso mese in cui trent’anni prima ne aveva dato l’annuncio. Nessuno è casuale rispetto alla morte, ma qui si tratta di un artista che lo è stato ancora meno poiché, tramite la sua opera, egli aveva integrato la propria vita con l’ineluttabilità della propria morte. Questa sarebbe stata anche qualcosa di più di una semplice fine o dell’interruzione di un processo: era inevitabile che sarebbe stata vista come un evento nella sua opera. Prima di dover venire a patti effettivamente con la propria morte, egli aveva affrontato l’idea della morte durante tutta la sua vita da artista. Non c’è posto per congetture fantastiche in questa storia, si tratta semplicemente di una delle forme che può assumere la chiarezza.
Joseph Kosuth*
(Tratto da “De Dominicis Raccolta di scritti sull’opera e l’artista, a cura di Gabriele Guercio, Umberto Allemandi & C.Traduzione dall’inglese di Adi Mineo e Gabiele Guercio)
* Joseph Kosuth è un artista che vive e lavora a Roma e New York
Gino De Dominicis (Ancona 1947 - Roma 1998) e' stato una figura carismatica ed enigmatica nella storia dell'arte italiana e internazionale degli ultimi 30 anni. Le sue opere sono state esposte in musei importanti: Museo di Capodimonte, Napoli; Museum of Modern Art, New York; Centro Nazionale d'Arte Contemporanea, Grenoble, rassegne internazionali come: Biennale di Venezia, Quadriennale, Roma; Documenta, Kassel e gallerie private tra cui l'Attico, Roma; Pio Monti, Roma; Franco Toselli, Milano; Emilio Mazzoli, Modena e Lia Rumma, Napoli. Recentemente la sua mostra itinerante e' stata ospitata da Villa Arson, Nizza; Fondazione Merz, Torino; PS1, New York.
Si ringraziano per la collaborazione: Emilio Mazzoli, Pio e Nicola Monti, G. P., Franco Toselli, Roberto Calvi, Mario Tomio, Edoardo Gnemmi, Norma Mangione e Elisabetta Vichi.
18
maggio 2010
Gino De Dominicis – L’organizzazione della vita
Dal 18 maggio al primo luglio 2010
arte contemporanea
Location
CONDUITS / GEA POLITI
Milano, Viale Stelvio, 66, (Milano)
Milano, Viale Stelvio, 66, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 15-19 e su appuntamento.
Vernissage
18 Maggio 2010, ore 19:00
Autore