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Giona Bernardi – Old Boy
Esposizione personale
Comunicato stampa
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Cosa succede quando sopra una grande città esplode un ordigno nucleare? Che ne è dell'essere umano una volta che la reazione nucleare lo ha scomposto in atomi? È una domanda che può ossessionare, se non altro perché rischia di rimanere senza risposta. Malgrado la fine della guerra fredda ci appaia oggi come un fatto acquisito, il tema del nucleare ha ancora una forte valenza simbolica in quest'era moderna che da più di vent'anni ci apprestiamo a lasciare alle nostre spalle. Certo, oggi sono le fonti di paura più "limitate" a tenerci sull'attenti, dappertutto esplodono atti di terrorismo, calamità naturali (Tsunami, Katrina, ...), ma non bombe nucleari. Forse perché queste insurrezioni originate da un caos non meglio definito ci appaiono più ragionevoli, più attuali, se applicate alla realtà geopolitica di oggi.
Eppure le nazioni militarizzate continuano la loro corsa agli armamenti e dispositivi nucleari, sempre più sofisticati e potenti riempiono i magazzini delle basi militari. La coscienza della nostra fragile esistenza - di fronte alla potenza espressiva di un mezzo offensivo che può addirittura cancellarci dalla faccia della terra, annullarci, superando ogni nostra possibilità d'immaginazione - ci allontana dalla carne, quasi che la relazione compressa tra spazio e tempo superi in tal misura l'umano da apparirci impossibile da contenere. Il momento della detonazione è troppo vicino a quello della diffusione dell'onda d'urto e lo spazio viene per un momento annientato, una simile esperienza supera persino l'idea di paradiso, è la dissoluzione purificante dell'essere nell'assoluto. La nostra esistenza e l'idea di morte sono compresse in una manciata di secondi.
Come a questo punto si può ben immaginare, il "tema visivo" di questa prima esposizione personale di Giona Bernardi alla rada è quello di un'esplosione nucleare. Due lunghi paesaggi metroplolitani si dissolvono nel gesto veloce e in forme talmente incerte da lasciarne solo presagire i soggetti. Da una parte le forme lievi, dissolte nel bianco opaco della carta, che fanno pensare allo scorrere di un grigio panorama metropolitano attraverso il finestrino di un treno in corsa, i contorni di case e grattaceli sono uniformizzati e tradotti in linee orizzontali; la dove il pennello indugia per un attimo in più, lasciando sul foglio una macchia di colore più scuro, ci potremmo azzardare a leggere anfratti di vegetazione, spigoli di edifici, ombre di palazzi. Un altro più lungo paesaggio dall'atmosfera lugubre si compone di forme liquefatte ed oleose, color pece - uno scenario post atomico appunto - forse ancora in fiamme, o forse solo immerso nella fuliggine. Nell'aria ancora viva di detriti polverosi alcuni edifici sono rimasti in piedi, confinati allo stato di reperti di un passato ancora presente.
Paura, velocità e ossessione sono alcuni degli elementi essenziali di questa esposizione. Lo si percepisce in maniera ancora più netta nei loop di animazione proiettati nella nostra sala video, nei quali troviamo però molto più di quella varietà infinita di espressioni e simboli di cui è ricca la vita umana, dal sesso alla meditazione, passando per elementi dell'iconografia mediata del nostro presente (motivi arabeggianti, kalascnikov, bombe ed erotismo).
Un derviscio gira su se stesso, si trasforma in un albero, in un sole e poi torna ad essere un derviscio; la figurina di un uomo che salta, corre, si dimena, traccia il percorso scoppiettante di una miccia che giunta alla fine del suo percorso da origine a un'esplosione, la testa di un uomo esplode.
Le figure si sdoppiano, mutano e scompaiono, non ci sono soggetti, perché tutto il messaggio passa in secondo piano, è subliminale, o forse non c'è messaggio. Ci lasciamo irradiare, è quasi piacevole. Ogni spezzone dura una manciata di secondi poi si ripete in modo ossessivo, ma non facciamo a tempo ad assimilarne i contenuti che già é partito il prossimo.
Eppure le nazioni militarizzate continuano la loro corsa agli armamenti e dispositivi nucleari, sempre più sofisticati e potenti riempiono i magazzini delle basi militari. La coscienza della nostra fragile esistenza - di fronte alla potenza espressiva di un mezzo offensivo che può addirittura cancellarci dalla faccia della terra, annullarci, superando ogni nostra possibilità d'immaginazione - ci allontana dalla carne, quasi che la relazione compressa tra spazio e tempo superi in tal misura l'umano da apparirci impossibile da contenere. Il momento della detonazione è troppo vicino a quello della diffusione dell'onda d'urto e lo spazio viene per un momento annientato, una simile esperienza supera persino l'idea di paradiso, è la dissoluzione purificante dell'essere nell'assoluto. La nostra esistenza e l'idea di morte sono compresse in una manciata di secondi.
Come a questo punto si può ben immaginare, il "tema visivo" di questa prima esposizione personale di Giona Bernardi alla rada è quello di un'esplosione nucleare. Due lunghi paesaggi metroplolitani si dissolvono nel gesto veloce e in forme talmente incerte da lasciarne solo presagire i soggetti. Da una parte le forme lievi, dissolte nel bianco opaco della carta, che fanno pensare allo scorrere di un grigio panorama metropolitano attraverso il finestrino di un treno in corsa, i contorni di case e grattaceli sono uniformizzati e tradotti in linee orizzontali; la dove il pennello indugia per un attimo in più, lasciando sul foglio una macchia di colore più scuro, ci potremmo azzardare a leggere anfratti di vegetazione, spigoli di edifici, ombre di palazzi. Un altro più lungo paesaggio dall'atmosfera lugubre si compone di forme liquefatte ed oleose, color pece - uno scenario post atomico appunto - forse ancora in fiamme, o forse solo immerso nella fuliggine. Nell'aria ancora viva di detriti polverosi alcuni edifici sono rimasti in piedi, confinati allo stato di reperti di un passato ancora presente.
Paura, velocità e ossessione sono alcuni degli elementi essenziali di questa esposizione. Lo si percepisce in maniera ancora più netta nei loop di animazione proiettati nella nostra sala video, nei quali troviamo però molto più di quella varietà infinita di espressioni e simboli di cui è ricca la vita umana, dal sesso alla meditazione, passando per elementi dell'iconografia mediata del nostro presente (motivi arabeggianti, kalascnikov, bombe ed erotismo).
Un derviscio gira su se stesso, si trasforma in un albero, in un sole e poi torna ad essere un derviscio; la figurina di un uomo che salta, corre, si dimena, traccia il percorso scoppiettante di una miccia che giunta alla fine del suo percorso da origine a un'esplosione, la testa di un uomo esplode.
Le figure si sdoppiano, mutano e scompaiono, non ci sono soggetti, perché tutto il messaggio passa in secondo piano, è subliminale, o forse non c'è messaggio. Ci lasciamo irradiare, è quasi piacevole. Ogni spezzone dura una manciata di secondi poi si ripete in modo ossessivo, ma non facciamo a tempo ad assimilarne i contenuti che già é partito il prossimo.
16
dicembre 2006
Giona Bernardi – Old Boy
Dal 16 dicembre 2006 al 20 febbraio 2007
arte contemporanea
Location
LA RADA – SPAZIO PER L’ARTE CONTEMPORANEA
Locarno, via della Morettina, 2, (Locarno)
Locarno, via della Morettina, 2, (Locarno)
Orario di apertura
ma / gio - sa dalle 14:00 alle 19:00
Vernissage
16 Dicembre 2006, ore 18
Autore