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Giorgio Cirillo – La riscoperta del segno
L’Arte, e in particolare la pittura, nasce dal desiderio dell’uomo, consapevole della propria mortalità, o, se non altro, della inevitabile corruzione legata al trascorrere del tempo, di fissare l’attimo, il momento, l’evento destinato a sopravvivergli…
Comunicato stampa
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L’Arte, e in particolare alla pittura, nasce (senza voler togliere nulla agli esperti e agli storici della materia) dal desiderio dell’uomo, consapevole della propria mortalità, o, se non altro, della inevitabile corruzione legata al trascorrere del tempo, di fissare l’attimo, il momento, l’evento destinato a sopravvivergli. Per secoli dunque quell’attimo, quel momento, quell’evento, così come quel giovane volto destinato a subire gli assalti del tempo, quel sorriso destinato a spegnersi nel corso degli anni, quella fluente chioma destinata ad incanutirsi, l’artista ha voluto renderli non somiglianti, ma addirittura identici, pur senza sconfinare necessariamente nell’iperrealismo.
Poi arriva la fotografia e la pittura, quasi senza rendersene conto, si ritrova più libera, meno legata alla rappresentazione della realtà, al documento il più possibile vicino al vero: finalmente può vagabondare su altri piani, in altri universi; può addirittura esprimersi prescindendo dall’oggettivo.
Ad immortalare la realtà provvede l’altro e nuovo mezzo di espressione e la pittura diventa così idea pura, fantasia scatenata, sentimento e idea essenziale: Dada, Cubismo, Surrealismo provvedono ben volentieri a sezionare, deformare, stravolgere la figura: l’astrattismo, addirittura, la ripudia o, comunque, ne fa volentieri a meno. Il colore fa da padrone e, da solo, senza aver più bisogno di esaltare figure e ritratti, riempie la tela: basti pensare in particolare alle libere pennellate di Jakson Pollock e alle diverse forme dell’astrattismo.
Con tutto il rispetto per le avanguardie del XX secolo (e a quelle della sua seconda metà in qualche modo riferendosi) questa mostra nasce dal desiderio di recuperare quel dimenticato protagonista, quel negletto elemento che è alla fine diventato il disegno, il tratto, il segno stesso (vedasi ad esempio quei mattoncini, tratteggiati appunto uno per uno, che costituiscono la parete di sfondo dei vari “nudi in un interno”), senza tuttavia necessariamente tornare ad una rappresentazione realistica.
E’ dunque il disegno, in qualche caso nella sua elementare ed essenziale semplicità, il vero protagonista della mostra.
Ma c’è dell’altro, poiché, sebbene la fotografia abbia spezzato, come dicevamo, certe catene, lasciando l’artista più libero di esprimersi, essa può addirittura mettersi al servizio dell’arte, fornendo all’artista stesso il mezzo, il modo e l’occasione di andare oltre la sua opera, il suo “disegno” appunto, reinterpretandolo, trasformandolo, rielaborandolo. Tali reinterpretazioni, trasformazioni e rielaborazioni vengono dunque esposte accanto al “quadro madre”, definiamolo così, offrendo comunque nuovi spazi, nuovi piani e nuovi universi a quel disegno che, dell’esposizione, rimane il protagonista assoluto.
Giorgio Cirillo
Appartenendo a quella generazione di giornalisti che hanno iniziato la loro carriera battendo sui tasti della leggendaria “lettera 22”, quando giornalismo significava scrittura, piombo, impaginazione e stampa, Giorgio Cirillo ha visto il concetto stesso di giornalismo estendersi, nel corso degli anni, ad altre forme, ad altre modalità di comunicazione, soprattutto visiva. Passato dalla stampa ad altre esperienze, come quella radiofonica e televisiva, ha poi esplorato ulteriori tecniche di informazione, come quella immediata ed essenziale che offre la fotografia, fino a pubblicare nel 2006 un libro appunto fotografico, in cui ha sperimentato la fusione tra immagine e testo.
Non senza qualche nostalgia per quella carta stampata che, a suo parere, resta la Regina dell’informazione e non dimentico della vera e propria arte del “menabò”, parola in disuso che altro non significa se non il “disegno” della pagina attraverso il non sempre facile equilibrio di volumi e di forme (nella fattispecie titoli, colonne di testo e immagini) e, soprattutto, non dimentico del fatto di essere passato anche attraverso l’esperienza della vignetta satirica (altro essenziale ed immediato mezzo di comunicazione, capace di esprimere in pochi tratti di matita ciò che un corsivo, per quanto breve, esprime inevitabilmente in più ampi spazi), si è infine dedicato a pennelli e tavolozza creando quella che può essere considerata come un’estrema sintesi delle esperienze professionali fin qui vissute. I suoi lavori, infatti, realizzati con tecniche miste, ad altro non aspirano se non ad una fusione tra disegno, pittura, fotografia e grafica. Il che, in fondo, rientra comunque nel novero della comunicazione o dei “mass media” (come abbiamo imparato a dire), anche se ciò che si vuole comunicare non è necessariamente una notizia, quanto piuttosto una più immediata emozione visiva ed estetica.
Poi arriva la fotografia e la pittura, quasi senza rendersene conto, si ritrova più libera, meno legata alla rappresentazione della realtà, al documento il più possibile vicino al vero: finalmente può vagabondare su altri piani, in altri universi; può addirittura esprimersi prescindendo dall’oggettivo.
Ad immortalare la realtà provvede l’altro e nuovo mezzo di espressione e la pittura diventa così idea pura, fantasia scatenata, sentimento e idea essenziale: Dada, Cubismo, Surrealismo provvedono ben volentieri a sezionare, deformare, stravolgere la figura: l’astrattismo, addirittura, la ripudia o, comunque, ne fa volentieri a meno. Il colore fa da padrone e, da solo, senza aver più bisogno di esaltare figure e ritratti, riempie la tela: basti pensare in particolare alle libere pennellate di Jakson Pollock e alle diverse forme dell’astrattismo.
Con tutto il rispetto per le avanguardie del XX secolo (e a quelle della sua seconda metà in qualche modo riferendosi) questa mostra nasce dal desiderio di recuperare quel dimenticato protagonista, quel negletto elemento che è alla fine diventato il disegno, il tratto, il segno stesso (vedasi ad esempio quei mattoncini, tratteggiati appunto uno per uno, che costituiscono la parete di sfondo dei vari “nudi in un interno”), senza tuttavia necessariamente tornare ad una rappresentazione realistica.
E’ dunque il disegno, in qualche caso nella sua elementare ed essenziale semplicità, il vero protagonista della mostra.
Ma c’è dell’altro, poiché, sebbene la fotografia abbia spezzato, come dicevamo, certe catene, lasciando l’artista più libero di esprimersi, essa può addirittura mettersi al servizio dell’arte, fornendo all’artista stesso il mezzo, il modo e l’occasione di andare oltre la sua opera, il suo “disegno” appunto, reinterpretandolo, trasformandolo, rielaborandolo. Tali reinterpretazioni, trasformazioni e rielaborazioni vengono dunque esposte accanto al “quadro madre”, definiamolo così, offrendo comunque nuovi spazi, nuovi piani e nuovi universi a quel disegno che, dell’esposizione, rimane il protagonista assoluto.
Giorgio Cirillo
Appartenendo a quella generazione di giornalisti che hanno iniziato la loro carriera battendo sui tasti della leggendaria “lettera 22”, quando giornalismo significava scrittura, piombo, impaginazione e stampa, Giorgio Cirillo ha visto il concetto stesso di giornalismo estendersi, nel corso degli anni, ad altre forme, ad altre modalità di comunicazione, soprattutto visiva. Passato dalla stampa ad altre esperienze, come quella radiofonica e televisiva, ha poi esplorato ulteriori tecniche di informazione, come quella immediata ed essenziale che offre la fotografia, fino a pubblicare nel 2006 un libro appunto fotografico, in cui ha sperimentato la fusione tra immagine e testo.
Non senza qualche nostalgia per quella carta stampata che, a suo parere, resta la Regina dell’informazione e non dimentico della vera e propria arte del “menabò”, parola in disuso che altro non significa se non il “disegno” della pagina attraverso il non sempre facile equilibrio di volumi e di forme (nella fattispecie titoli, colonne di testo e immagini) e, soprattutto, non dimentico del fatto di essere passato anche attraverso l’esperienza della vignetta satirica (altro essenziale ed immediato mezzo di comunicazione, capace di esprimere in pochi tratti di matita ciò che un corsivo, per quanto breve, esprime inevitabilmente in più ampi spazi), si è infine dedicato a pennelli e tavolozza creando quella che può essere considerata come un’estrema sintesi delle esperienze professionali fin qui vissute. I suoi lavori, infatti, realizzati con tecniche miste, ad altro non aspirano se non ad una fusione tra disegno, pittura, fotografia e grafica. Il che, in fondo, rientra comunque nel novero della comunicazione o dei “mass media” (come abbiamo imparato a dire), anche se ciò che si vuole comunicare non è necessariamente una notizia, quanto piuttosto una più immediata emozione visiva ed estetica.
13
febbraio 2010
Giorgio Cirillo – La riscoperta del segno
Dal 13 al 27 febbraio 2010
arte contemporanea
Location
ART’S MOMENT
Roma, Via Della Greca, 5, (Roma)
Roma, Via Della Greca, 5, (Roma)
Orario di apertura
ore 10.00-12.00 e 16.30-19.00
Vernissage
13 Febbraio 2010, ore 18.30
Autore
Curatore