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Giorgio Morandi – Silenzi
Venti nature morte di Giorgio Morandi (Bologna,1890 -1964), in parte inedite e provenienti da collezioni private.
Comunicato stampa
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Che cosa altro aggiungere a tutto quello che è stato detto su uno dei più grandi maestri del
Novecento? Quale nuova chiave di lettura proporre sull’opera di Giorgio Morandi? Sono le
domande che si è posta Daniela Ferretti curatrice insieme a Franco Calarota della mostra
“Silenzi” al museo di Palazzo Fortuny in programma a partire da settembre e per ben quattro
mesi nell’autorevole sede veneziana. Attraverso un’accurata selezione delle opere che va dal
1921 al 1963 e che propone dipinti provenienti da prestigiose collezioni, alcuni dei quali
raramente esposti, mette in evidenza una delle caratteristiche più importanti e misteriose di
Morandi, lasciando aperto il dialogo tra il dipinto e lo spettatore che lo osserva.
Come ricorda Francesco Poli all’interno del catalogo che accompagna la mostra edito da Skirà, l’opera
di Giorgio Morandi è oggi diventata “un’icona della cultura artistica”. Molte mostre sono state
organizzate nei più importanti musei del mondo e molte parole sono state spese sulla sua opera
artistica. Con piglio innovativo, l’obiettivo della mostra “Silenzi” a Palazzo Fortuny curata da Daniela
Ferretti insieme a Franco Calarota è quello di lasciare parlare i dipinti del maestro bolognese.
Presentati attraverso un’accurata selezione che copre un arco di tempo che va dal 1921 al 1963 e che
propone un gruppo di opere raramente esposte, la mostra vuole immergere il visitatore nello stesso
silenzio meditativo che Giorgio Morandi riservava alla realizzazione dei suoi dipinti. Come ricorda
Lamberto Vitali, infatti, Morandi sentiva la necessità di “vivere a lungo dinanzi ai motivi de propri quadri,
di farseli familiari, di meditarli” prima di riprodurre sulla tela quella “immutabilità di motivi che non
coincide mai con una monotonia di effetti”. Il primo silenzio è quindi quello dei curatori che propongono
al visitatore di addentrarsi nel dipinto per trovare una personale chiave di lettura, fosse anche solo
quella di interrogarsi sul significato di quei vasi e di quelle bottiglie, di quegli oggetti sempre uguali, ma
sempre diversi - come ha notato tra gli altri anche Umberto Eco -, sapientemente assemblati e riprodotti
che altri non sono se non un codice, l’alfabeto di cui Morandi si serve per esprimere la sua arte. Si
instaura così tra l’opera e lo spettatore un dialogo privo di filtri e di parole. Ma non è solo in questa
assenza di suoni udibili che va ricercato il silenzio morandiano, che non si presta a un’interpretazione
univoca e può essere di volta in volta letto e sentito in maniera differente. Quando si parla di Morandi
sarà infatti più corretto parlare di “Silenzi”, e da qui il titolo della mostra, accomunati esclusivamente
dall’essere uno dei possibili fil rouge della sua opera.
Arnaldo Beccaria, autore nel 1939 della prima monografia dedicata a Morandi, racconta della
preparazione ascetica “fatta di digiuni, di silenzi, di mortificazioni del colore” in cui “l’arte è l’espressione
dell’abito morale dell’artista” e di quelle “note di colore che si compongono nel silenzio del dipinto; e
quel silenzio è acceso di una musica intensa e segreta” che chiude l’opera “in un ordine assoluto” dove
“tutto è equipartito, secondo un connaturato calcolo, acutissimo e infallibile, una sublime equazione”
dove quei colori bruciano “come un incenso inconsumabile sacrificato al silenzio”. Mentre secondo
Francesco Arcangeli il silenzio è da ricercare in quello che Morandi decide di non rappresentare nella
sua opera, come nel caso della scomparsa della figura umana che il maestro “sembra rendere, forse
inconsapevolmente, col suo silenzio il supremo omaggio di un umanista ormai disperato a un’immagine
dell’uomo per ora irrestituibile”. Sempre dalla rappresentazione parte anche Roberto Longhi quando
suggerisce di cercare il silenzio nell’armonia e nell’equillibrio di quegli oggetti che nascondono una
realtà più profonda dello loro apparenza, così come Lionello Venturi precisa quando sostiene che
Morandi trasporta “l’oggetto al livello della poesia” e le sue nature morte diventano “meditazioni
poetiche sui rapporti di forma e colore”. Ma è Castor Seibel che evidenza come la pittura di Morandi
esprima “ciò che le parole non possono mai dire, cioè una poesia pittorica che esteriorizza
l’inafferrabile”. E precisa come il silenzio sia evidente anche agli occhi nell’opera del maestro quando
sostiene che “Morandi riesce a metamorfosare il silenzio, assenza di suoni, in un fenomeno visivo: la
luce del silenzio”.
Alessia Calarota
Novecento? Quale nuova chiave di lettura proporre sull’opera di Giorgio Morandi? Sono le
domande che si è posta Daniela Ferretti curatrice insieme a Franco Calarota della mostra
“Silenzi” al museo di Palazzo Fortuny in programma a partire da settembre e per ben quattro
mesi nell’autorevole sede veneziana. Attraverso un’accurata selezione delle opere che va dal
1921 al 1963 e che propone dipinti provenienti da prestigiose collezioni, alcuni dei quali
raramente esposti, mette in evidenza una delle caratteristiche più importanti e misteriose di
Morandi, lasciando aperto il dialogo tra il dipinto e lo spettatore che lo osserva.
Come ricorda Francesco Poli all’interno del catalogo che accompagna la mostra edito da Skirà, l’opera
di Giorgio Morandi è oggi diventata “un’icona della cultura artistica”. Molte mostre sono state
organizzate nei più importanti musei del mondo e molte parole sono state spese sulla sua opera
artistica. Con piglio innovativo, l’obiettivo della mostra “Silenzi” a Palazzo Fortuny curata da Daniela
Ferretti insieme a Franco Calarota è quello di lasciare parlare i dipinti del maestro bolognese.
Presentati attraverso un’accurata selezione che copre un arco di tempo che va dal 1921 al 1963 e che
propone un gruppo di opere raramente esposte, la mostra vuole immergere il visitatore nello stesso
silenzio meditativo che Giorgio Morandi riservava alla realizzazione dei suoi dipinti. Come ricorda
Lamberto Vitali, infatti, Morandi sentiva la necessità di “vivere a lungo dinanzi ai motivi de propri quadri,
di farseli familiari, di meditarli” prima di riprodurre sulla tela quella “immutabilità di motivi che non
coincide mai con una monotonia di effetti”. Il primo silenzio è quindi quello dei curatori che propongono
al visitatore di addentrarsi nel dipinto per trovare una personale chiave di lettura, fosse anche solo
quella di interrogarsi sul significato di quei vasi e di quelle bottiglie, di quegli oggetti sempre uguali, ma
sempre diversi - come ha notato tra gli altri anche Umberto Eco -, sapientemente assemblati e riprodotti
che altri non sono se non un codice, l’alfabeto di cui Morandi si serve per esprimere la sua arte. Si
instaura così tra l’opera e lo spettatore un dialogo privo di filtri e di parole. Ma non è solo in questa
assenza di suoni udibili che va ricercato il silenzio morandiano, che non si presta a un’interpretazione
univoca e può essere di volta in volta letto e sentito in maniera differente. Quando si parla di Morandi
sarà infatti più corretto parlare di “Silenzi”, e da qui il titolo della mostra, accomunati esclusivamente
dall’essere uno dei possibili fil rouge della sua opera.
Arnaldo Beccaria, autore nel 1939 della prima monografia dedicata a Morandi, racconta della
preparazione ascetica “fatta di digiuni, di silenzi, di mortificazioni del colore” in cui “l’arte è l’espressione
dell’abito morale dell’artista” e di quelle “note di colore che si compongono nel silenzio del dipinto; e
quel silenzio è acceso di una musica intensa e segreta” che chiude l’opera “in un ordine assoluto” dove
“tutto è equipartito, secondo un connaturato calcolo, acutissimo e infallibile, una sublime equazione”
dove quei colori bruciano “come un incenso inconsumabile sacrificato al silenzio”. Mentre secondo
Francesco Arcangeli il silenzio è da ricercare in quello che Morandi decide di non rappresentare nella
sua opera, come nel caso della scomparsa della figura umana che il maestro “sembra rendere, forse
inconsapevolmente, col suo silenzio il supremo omaggio di un umanista ormai disperato a un’immagine
dell’uomo per ora irrestituibile”. Sempre dalla rappresentazione parte anche Roberto Longhi quando
suggerisce di cercare il silenzio nell’armonia e nell’equillibrio di quegli oggetti che nascondono una
realtà più profonda dello loro apparenza, così come Lionello Venturi precisa quando sostiene che
Morandi trasporta “l’oggetto al livello della poesia” e le sue nature morte diventano “meditazioni
poetiche sui rapporti di forma e colore”. Ma è Castor Seibel che evidenza come la pittura di Morandi
esprima “ciò che le parole non possono mai dire, cioè una poesia pittorica che esteriorizza
l’inafferrabile”. E precisa come il silenzio sia evidente anche agli occhi nell’opera del maestro quando
sostiene che “Morandi riesce a metamorfosare il silenzio, assenza di suoni, in un fenomeno visivo: la
luce del silenzio”.
Alessia Calarota
03
settembre 2010
Giorgio Morandi – Silenzi
Dal 03 settembre 2010 al 09 gennaio 2011
arte contemporanea
Location
PALAZZO FORTUNY
Venezia, Campo San Beneto (San Marco), 3958, (Venezia)
Venezia, Campo San Beneto (San Marco), 3958, (Venezia)
Biglietti
Ingresso con il biglietto del museo
intero 9,00 euro
ridotto 6,00 euro
agazzi da 6 a 14 anni; studenti* dai 15 ai 25 anni; accompagnatori (max. 2) di gruppi di ragazzi o studenti; cittadini ultrasessantacinquenni; personale* del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; titolari di Carta Rolling Venice; soci FAI Gratuito
residenti e nati nel Comune di Venezia; bambini 0/5 anni; portatori di handicap con accompagnatore; guide autorizzate; interpreti turistici* che accompagnino gruppi
Orario di apertura
10/18 (biglietteria 10/17); chiuso martedì 25 dicembre e 1 gennaio
Vernissage
3 Settembre 2010, dalle ore 12-20
Editore
SKIRA
Ufficio stampa
LUCIA CRESPI
Autore
Curatore