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Giorgio Scalco
L’artista scledense, Maestro Emerito all’Accademia di Belle Arti di Roma, presenta nella sua Città natale una preziosa selezione dei propri dipinti: paesaggi, nature morte e ritratti di fanciulle.
Comunicato stampa
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SCENOGRAFO DELL’ANIMA, di VITTORIO SGARBI
Imperterrito contro le mode imperanti ha infine prevalso, giungendo a una meritata popolarità, la sua primordiale passione. Giorgio Scalco, abbandonati gli studi di Giurisprudenza, corre a Roma dove si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia a Cinecittà ottenendo la Borsa di Studio per il Corso di Scenografia, iniziando poi, dopo il Diploma, una regolare attività come Scenografo cinematografico. Poi, così come era cominciata, l’avventura a Cinecittà s’interrompe bruscamente per dare inizio a una nuova carriera,che certo non gli ha fatto rimpiangere quella precedente. Perché ricordare questo passato professionale di Scalco messo in sottordine anche dallo stesso artista? Credo che nella grande produzione di Scalco, partito da un incisivo espressionismo espressionista per giungere a un realismo analitico-metafisico, sia ravvisabile un comune denominatore che concepisce la pittura come la più alta e sublime delle scenografie possibili. Si fa scenografia quando, uscendo dal campo strettamente teatrale o cinematografico, quando l’immagine è il costante prodotto di una organizzazione nella quale ogni suo elemento costitutivo, dallo spazio alla luce, dall’inquadratura alla posa, viene posto sotto controllo e ordinato secondo determinati fini. Non vi sarebbe mai stata la grande pittura narrativa di Carpaccio, Raffaello o Poussin senza una adeguata coscienza scenografica dove la finzione pittorica riusciva a vincere i limiti materiali ai quali era sottoposta la finzione teatrale. Scalco ne ha preso atto ogni volta che ha elaborato le sue composizioni, che siano paesaggi o gli interni nei quali colloca la figlia Ginny e le sue dolci compagne, identificando in sostanza l’oggetto visivo della pittura con la scenografia. C’è piuttosto da chiedersi, se la scenografia è teatro, dunque narrazione, che cosa Scalco vuole narrare nei suoi dipinti? Qui le cose si complicano, perlomeno in teoria (nei dipinti invece tutto è chiarissimo) perché il teatro pittorico di Scalco è apparentemente un “antiteatro” nessuna azione, nessuna vicenda narrata niente che possa far pensare ad analogie persuasive con i modi della rappresentazione scenica comunemente intesi. In realtà il teatro di Scalco rappresenta qualcosa di strettamente, peculiarmente pittorico, rivendicando un’identità per niente assimilabile a quella di Talia e di Melpomene. In scena è prima di tutto la luce, il miracolo eterno della sua presenza, la rivelazione del divino nel quotidiano che essa riesce a produrre. La luce, nei dipinti di Scalco, protagonista e interprete di se stessa, la luce, nei dipinti di Scalco è materia straordinaria, pulviscolare come una stampa a stipple, densa come plancton è atmosfera, intensa e vibrante che avvolge le cose come fosse aria satura di vento, definisce le loro forme, ora accarezzandole ora scavandole in profondità, ora strappandole a tenebre che sembrano volerle risucchiare negli abissi dell’indistinto. La luce di Scalco è supremo silenzio, altro elemento “antiteatrale”, tempo fuori della fisicità del tempo reale, stasi di riflessione che si emancipa dalla fugacità degli eventi ordinari. La luce di Scalco è sentimento del vivere, emozione infinita, emozione del vivere, spirito della natura, flusso placido e penetrante che travolge senza annientare, un naufragare dolce nel mare sterminato del creato. Di tanto è capace l’arte preziosa di Giorgio Scalco, scenografo dell’anima.
Imperterrito contro le mode imperanti ha infine prevalso, giungendo a una meritata popolarità, la sua primordiale passione. Giorgio Scalco, abbandonati gli studi di Giurisprudenza, corre a Roma dove si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia a Cinecittà ottenendo la Borsa di Studio per il Corso di Scenografia, iniziando poi, dopo il Diploma, una regolare attività come Scenografo cinematografico. Poi, così come era cominciata, l’avventura a Cinecittà s’interrompe bruscamente per dare inizio a una nuova carriera,che certo non gli ha fatto rimpiangere quella precedente. Perché ricordare questo passato professionale di Scalco messo in sottordine anche dallo stesso artista? Credo che nella grande produzione di Scalco, partito da un incisivo espressionismo espressionista per giungere a un realismo analitico-metafisico, sia ravvisabile un comune denominatore che concepisce la pittura come la più alta e sublime delle scenografie possibili. Si fa scenografia quando, uscendo dal campo strettamente teatrale o cinematografico, quando l’immagine è il costante prodotto di una organizzazione nella quale ogni suo elemento costitutivo, dallo spazio alla luce, dall’inquadratura alla posa, viene posto sotto controllo e ordinato secondo determinati fini. Non vi sarebbe mai stata la grande pittura narrativa di Carpaccio, Raffaello o Poussin senza una adeguata coscienza scenografica dove la finzione pittorica riusciva a vincere i limiti materiali ai quali era sottoposta la finzione teatrale. Scalco ne ha preso atto ogni volta che ha elaborato le sue composizioni, che siano paesaggi o gli interni nei quali colloca la figlia Ginny e le sue dolci compagne, identificando in sostanza l’oggetto visivo della pittura con la scenografia. C’è piuttosto da chiedersi, se la scenografia è teatro, dunque narrazione, che cosa Scalco vuole narrare nei suoi dipinti? Qui le cose si complicano, perlomeno in teoria (nei dipinti invece tutto è chiarissimo) perché il teatro pittorico di Scalco è apparentemente un “antiteatro” nessuna azione, nessuna vicenda narrata niente che possa far pensare ad analogie persuasive con i modi della rappresentazione scenica comunemente intesi. In realtà il teatro di Scalco rappresenta qualcosa di strettamente, peculiarmente pittorico, rivendicando un’identità per niente assimilabile a quella di Talia e di Melpomene. In scena è prima di tutto la luce, il miracolo eterno della sua presenza, la rivelazione del divino nel quotidiano che essa riesce a produrre. La luce, nei dipinti di Scalco, protagonista e interprete di se stessa, la luce, nei dipinti di Scalco è materia straordinaria, pulviscolare come una stampa a stipple, densa come plancton è atmosfera, intensa e vibrante che avvolge le cose come fosse aria satura di vento, definisce le loro forme, ora accarezzandole ora scavandole in profondità, ora strappandole a tenebre che sembrano volerle risucchiare negli abissi dell’indistinto. La luce di Scalco è supremo silenzio, altro elemento “antiteatrale”, tempo fuori della fisicità del tempo reale, stasi di riflessione che si emancipa dalla fugacità degli eventi ordinari. La luce di Scalco è sentimento del vivere, emozione infinita, emozione del vivere, spirito della natura, flusso placido e penetrante che travolge senza annientare, un naufragare dolce nel mare sterminato del creato. Di tanto è capace l’arte preziosa di Giorgio Scalco, scenografo dell’anima.
14
gennaio 2017
Giorgio Scalco
Dal 14 gennaio al 02 aprile 2017
arte contemporanea
Location
PALAZZO FOGAZZARO
Schio, Via Fratelli Pasini, 44, (Vicenza)
Schio, Via Fratelli Pasini, 44, (Vicenza)
Orario di apertura
sabato e domenica 10.00 – 12.30 / 16.00 – 19.00
Nei giorni feriali, visite su appuntamento tel. 0445 691392,
cultura@comune.schio.vi.it
Vernissage
14 Gennaio 2017, h 17.00
Autore