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Giorgios Papaevangeliou – Segno e trama
13 disegni su cartoncino nero, un tappeto in cotone (300×150 cm) e un arazzo in lana (200×200 cm) realizzati in Sardegna da Vilma Ghiani – Su Tessìngiu Seulo con la tecnica a pibiones,
Comunicato stampa
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Sono esposti presso la Galleria Embrice, dal 16 al 30 giugno 2023, i recenti lavori di Giorgios Papaevangeliou, architetto e artista italo-greco. La mostra è rappresentativa di un percorso tra arte e artigianato, tra segni mutevoli e trame architettoniche, una ricerca della semplicità che avviene proprio attraverso le pieghe, le increspature, i diradamenti, le sottrazioni. La galleria ospiterà una serie di 13 disegni su cartoncino nero, un tappeto in cotone (300x150 cm) e un arazzo in lana (200x200 cm) realizzati in Sardegna da Vilma Ghiani - Su Tessìngiu Seulo con la tecnica a pibiones, grazie al progetto di recupero dell'artigianato sardo Mustras, promosso dall’associazione Abbicultura e curato da Fabrizio Felici, Alberto Olmo e Martina Carcangiu.
L’architetto artista, o l’artista architetto, sono specie particolari che si sono spesso incontrate nel giardino delle idee. Se André Bloc, avocando sé le qualità dell’architetto dello scultore e del pittore, a metà dell’altro secolo le riuniva tutte nella sua “Architecture d’Aujour’hui, altri geni dividevano invece con la regolarità del metronomo il momento dell’arte da quello dell’architettura, relegando a quest’ultimo il pomeriggio e donando all’arte, invece, il momento più creativo del giorno. Sempre in quegli anni fatali però, si era capito come l‘operazione artistica o l’elemento d’arte siano sempre il frutto di un progetto. E che, se il linguaggio diventava diverso tra un’operazione e l’altra, l’artista, anzi il progettista, ne era sempre l’autore. A prescindere dal mezzo, dall’immagine, dal linguaggio, da quello che a lungo è stato definito stile, sia se avesse prodotto qualcosa con le sue mani o delegato l’esecuzione dell’opera ad altri.
L’arte di Giorgios Papaevangeliou (architetto, artista) appartiene a quella che viene definita, ci pare, analitica ed è l’esito di un processo rigorosissimo che ha come campo il supporto orizzontale: carta, cartone, arazzo, i cui elementi avrebbero potuto essere congelati e ripetuti dall’elettronica, e sono invece il risultato di una lunga e maniacale processualità.
Come suggerito dallo sgranarsi del rosario d’ambra al cui ritmo si pensa e si lavora in certe parti del Mediterraneo, l’artista (architetto) lavora su blocchi di fogli tutti uguali, definiti da lui in una grandezza precisa e non usuale, dove disegna all’interno di una dimensione da cui non deroga mai. Sono queste le prime idee del progetto? O piuttosto si ripetono per astrazione come l’esercizio immutevole e necessario della musica o della danza?
La mostra si estende nello spazio espositivo della galleria su fogli di cartone nero, sui quali figure geometriche d’invenzione si accostano o si allontano tra di loro e su grandi arazzi. Perché definiamo quest’arte analitica? Perché queste geometrie, all’apparenza silenti e magiche come composizioni geometriche orientali, sono formate da migliaia di linee accostate dall’autore l’una all’altra, con una distanza precisa e secondo una regola costruttiva che lo stesso artista si è dato. Seguendo la dualità della costruzione del mondo nell’antitesi primaria yin e yang, esse sono costituite dall’alternarsi di due opposti: una linea geometrica, tecnica, effettuale, in qualche modo artificiale, perché creata da uno strumento come la squadra, e una linea emotiva, alla lettera fatta a mano, con le sue minime sbavature o variazioni infinitesimali di segno. Che le figure appaiano bellissime dal punto di vista estetico è forse persino ininfluente e ci sembra che il nucleo dell’opera sia il ritmo delle linee che si presenta come una vibrazione di luce ossessiva e musicale. In seguito, nella costruzione delle grandi opere, con uno scarto successivo rispetto alla creazione del disegno, quest’ultimo viene ulteriormente raffreddato, acquistando una suprema bellezza sotto forma di arazzo, realizzato al telaio con tecniche antiche, in Sardegna. È negli arazzi che al complicarsi del ritmo delle linee, corrisponde la vibrazione dell’immagine geometrica che si adatta splendidamente alla musica di Arvo Pärt, il compositore estone che Papaevangeliou ama ascoltare mentre disegna.
È indicativo che si parli di Pärt (lo fa Jan Brokken in Anime Baltiche) come di qualcuno che riempiva interi volumi di musica “come un monaco amanuense”. Ci ricorda l’esercizio continuo del disegno di Papaevangeliou. Già Klee aveva evidenziato l’importanza del respiro e della musica. La musica possiede una risonanza che influisce sulla sua costruzione del disegno e forse viceversa. Come il respiro, come la danza. Perciò la ricerca ossessiva di Papaevangeliou, benché così contemporanea nell’approccio e negli esiti, ci fa pensare agli inizi dell’avanguardia, agli esperimenti del Monte Verità alla ricerca sulle potenzialità del segno e al suo “risuonare” nell’operazione artistica. Ancora e sempre, oggi a “migliaia” di anni di distanza da quell’inizio del novecento, ed è solo un secolo, che sembra ancora affascinarci.
L’architetto artista, o l’artista architetto, sono specie particolari che si sono spesso incontrate nel giardino delle idee. Se André Bloc, avocando sé le qualità dell’architetto dello scultore e del pittore, a metà dell’altro secolo le riuniva tutte nella sua “Architecture d’Aujour’hui, altri geni dividevano invece con la regolarità del metronomo il momento dell’arte da quello dell’architettura, relegando a quest’ultimo il pomeriggio e donando all’arte, invece, il momento più creativo del giorno. Sempre in quegli anni fatali però, si era capito come l‘operazione artistica o l’elemento d’arte siano sempre il frutto di un progetto. E che, se il linguaggio diventava diverso tra un’operazione e l’altra, l’artista, anzi il progettista, ne era sempre l’autore. A prescindere dal mezzo, dall’immagine, dal linguaggio, da quello che a lungo è stato definito stile, sia se avesse prodotto qualcosa con le sue mani o delegato l’esecuzione dell’opera ad altri.
L’arte di Giorgios Papaevangeliou (architetto, artista) appartiene a quella che viene definita, ci pare, analitica ed è l’esito di un processo rigorosissimo che ha come campo il supporto orizzontale: carta, cartone, arazzo, i cui elementi avrebbero potuto essere congelati e ripetuti dall’elettronica, e sono invece il risultato di una lunga e maniacale processualità.
Come suggerito dallo sgranarsi del rosario d’ambra al cui ritmo si pensa e si lavora in certe parti del Mediterraneo, l’artista (architetto) lavora su blocchi di fogli tutti uguali, definiti da lui in una grandezza precisa e non usuale, dove disegna all’interno di una dimensione da cui non deroga mai. Sono queste le prime idee del progetto? O piuttosto si ripetono per astrazione come l’esercizio immutevole e necessario della musica o della danza?
La mostra si estende nello spazio espositivo della galleria su fogli di cartone nero, sui quali figure geometriche d’invenzione si accostano o si allontano tra di loro e su grandi arazzi. Perché definiamo quest’arte analitica? Perché queste geometrie, all’apparenza silenti e magiche come composizioni geometriche orientali, sono formate da migliaia di linee accostate dall’autore l’una all’altra, con una distanza precisa e secondo una regola costruttiva che lo stesso artista si è dato. Seguendo la dualità della costruzione del mondo nell’antitesi primaria yin e yang, esse sono costituite dall’alternarsi di due opposti: una linea geometrica, tecnica, effettuale, in qualche modo artificiale, perché creata da uno strumento come la squadra, e una linea emotiva, alla lettera fatta a mano, con le sue minime sbavature o variazioni infinitesimali di segno. Che le figure appaiano bellissime dal punto di vista estetico è forse persino ininfluente e ci sembra che il nucleo dell’opera sia il ritmo delle linee che si presenta come una vibrazione di luce ossessiva e musicale. In seguito, nella costruzione delle grandi opere, con uno scarto successivo rispetto alla creazione del disegno, quest’ultimo viene ulteriormente raffreddato, acquistando una suprema bellezza sotto forma di arazzo, realizzato al telaio con tecniche antiche, in Sardegna. È negli arazzi che al complicarsi del ritmo delle linee, corrisponde la vibrazione dell’immagine geometrica che si adatta splendidamente alla musica di Arvo Pärt, il compositore estone che Papaevangeliou ama ascoltare mentre disegna.
È indicativo che si parli di Pärt (lo fa Jan Brokken in Anime Baltiche) come di qualcuno che riempiva interi volumi di musica “come un monaco amanuense”. Ci ricorda l’esercizio continuo del disegno di Papaevangeliou. Già Klee aveva evidenziato l’importanza del respiro e della musica. La musica possiede una risonanza che influisce sulla sua costruzione del disegno e forse viceversa. Come il respiro, come la danza. Perciò la ricerca ossessiva di Papaevangeliou, benché così contemporanea nell’approccio e negli esiti, ci fa pensare agli inizi dell’avanguardia, agli esperimenti del Monte Verità alla ricerca sulle potenzialità del segno e al suo “risuonare” nell’operazione artistica. Ancora e sempre, oggi a “migliaia” di anni di distanza da quell’inizio del novecento, ed è solo un secolo, che sembra ancora affascinarci.
16
giugno 2023
Giorgios Papaevangeliou – Segno e trama
Dal 16 al 30 giugno 2023
architettura
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
GALLERIA EMBRICE
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Orario di apertura
dal 16 al 24 giugno dalle 18 alle 20, domenica chiuso.
dal 26 al 30 giugno su appuntamento: tel. +39 3473839972
Vernissage
16 Giugno 2023, dalle 18:00 inaugurazione
dalle 19.00 : proiezione del cortometraggio “OGNI LINEA. Disegnando con Giorgios
Papaevangeliou”, di Maria Luisa Priori.
Autore
Curatore
Autore testo critico
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