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Giovanna Melliconi / Boris Ruencic – O materna mia terra
doppia personale
Comunicato stampa
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Giovanna Melliconi
Inno all’utero
da una poesia di Livia Candiani
Il cane dei miracoli
da una poesia di Cristina Annino
Descrizione
Dauna poesia di Giovanna Frene
(testi poetici, acquerelli su carta)
“La voce è una cosa degli uomini: dei maschi. La voce dei maschi nomina certe cose, non è capace di nominarne altre. Il corpo che appare nella voce dei maschi è il corpo il corpo eroico: un corpo che sembra non avere confini, non avere limiti. Se il corpo nominato dalla voce dei maschi muore, la sua è una morte gloriosa: il corpo morto nominato dalla voce dei maschi è un corpo che la morte ha purificato, reso quasi divino. Invece, come tutti sanno, il corpo che appare nella voce delle donne – da quando le donne hanno cominciato a prendersi la voce – è un corpo-corpo, un corpo che non tenta, non vuole essere altro che ciò che è. Un corpo che affronta turbamenti, un corpo che dà la vita ad altri corpi con sofferenza e spargimento di sangue, un corpo che la morte rende debole, indifeso, bisognoso di cure estreme sia pur palliative. Un corpo, insomma, che vive sempre contornato dal confine della sua caducità, della sua finitezza, del suo essere a rischio, del suo comunicare con altri corpi a loro volta caduchi, finiti, a rischio” (Giovanna Melliconi).
Boris Ruencic
Crepacuore
(stampa su plastica antisdrucciolo, lama di luce laser)
Cenotafio
(installazione)
“Della terra si dice sempre che è una madre. Ma io sono nato dentro il corpo di mia madre: nella terra, invece, entrerò da morto. Da mia madre ho ricevuto alimento, cure, calore, carezze, contatto; per la terra-madre, invece, mi è stato chiesto – come è stato chiesto a tanti – di andare incontro alla morte, di produrre la morte di altri come-me. Di mia madre non so dire niente: è mia madre, punto. Non mi è possibile farla oggetto di un discorso. E’, semplicemente. La terra-madre, invece, è oggetto di interminabili discorsi, è un oggetto che esiste solo in quanto è possibile produrre discorsi che la nominano”. (Boris Ruencic).
“Boris Ruencic e Giovanna Melliconi sono due artisti schiettamente, francamente retorici. Boris usa la retorica della pesantezza, Giovanna la retorica della leggerezza. Boris produce oggetti ambigui, che possono suscitare tanto adesione quanto riprovazione, che tentano di produrre in noi sentimenti con i quali potremmo non essere d’accordo: come, ad esempio, la pietà verso un uomo considerato responsabile di crimini terribili. Giovanna produce oggetti univoci: sembra impossibile non partecipare dei suoi stessi sentimenti: la pietà verso un uomo qualsiasi – misero, e quindi beato e amabile proprio in quanto qualsiasi e misero -, la pietà verso le donne prigioniere della natura stessa del loro corpo, l’orrore per un divino-diabolico che appare in figura benedicente e animalesca.
Fa male all’arte, la retorica? O il rifuggere dalla retorica è, in verità, un rifuggere dal dire, per mezzo dell’arte, nell’arte e con l’arte cose che concernono il mondo? Non sarà che la bollatura di retorico si applica, difensivamente, proprio a quei tentativi d’arte che, in quanto eversivi in ciò che dicono e non nel come dicono, dovrebbero essere considerati del tutto antiretoricamente autentici?” (Bruno Lorini, Giulio Mozzi)
Inno all’utero
da una poesia di Livia Candiani
Il cane dei miracoli
da una poesia di Cristina Annino
Descrizione
Dauna poesia di Giovanna Frene
(testi poetici, acquerelli su carta)
“La voce è una cosa degli uomini: dei maschi. La voce dei maschi nomina certe cose, non è capace di nominarne altre. Il corpo che appare nella voce dei maschi è il corpo il corpo eroico: un corpo che sembra non avere confini, non avere limiti. Se il corpo nominato dalla voce dei maschi muore, la sua è una morte gloriosa: il corpo morto nominato dalla voce dei maschi è un corpo che la morte ha purificato, reso quasi divino. Invece, come tutti sanno, il corpo che appare nella voce delle donne – da quando le donne hanno cominciato a prendersi la voce – è un corpo-corpo, un corpo che non tenta, non vuole essere altro che ciò che è. Un corpo che affronta turbamenti, un corpo che dà la vita ad altri corpi con sofferenza e spargimento di sangue, un corpo che la morte rende debole, indifeso, bisognoso di cure estreme sia pur palliative. Un corpo, insomma, che vive sempre contornato dal confine della sua caducità, della sua finitezza, del suo essere a rischio, del suo comunicare con altri corpi a loro volta caduchi, finiti, a rischio” (Giovanna Melliconi).
Boris Ruencic
Crepacuore
(stampa su plastica antisdrucciolo, lama di luce laser)
Cenotafio
(installazione)
“Della terra si dice sempre che è una madre. Ma io sono nato dentro il corpo di mia madre: nella terra, invece, entrerò da morto. Da mia madre ho ricevuto alimento, cure, calore, carezze, contatto; per la terra-madre, invece, mi è stato chiesto – come è stato chiesto a tanti – di andare incontro alla morte, di produrre la morte di altri come-me. Di mia madre non so dire niente: è mia madre, punto. Non mi è possibile farla oggetto di un discorso. E’, semplicemente. La terra-madre, invece, è oggetto di interminabili discorsi, è un oggetto che esiste solo in quanto è possibile produrre discorsi che la nominano”. (Boris Ruencic).
“Boris Ruencic e Giovanna Melliconi sono due artisti schiettamente, francamente retorici. Boris usa la retorica della pesantezza, Giovanna la retorica della leggerezza. Boris produce oggetti ambigui, che possono suscitare tanto adesione quanto riprovazione, che tentano di produrre in noi sentimenti con i quali potremmo non essere d’accordo: come, ad esempio, la pietà verso un uomo considerato responsabile di crimini terribili. Giovanna produce oggetti univoci: sembra impossibile non partecipare dei suoi stessi sentimenti: la pietà verso un uomo qualsiasi – misero, e quindi beato e amabile proprio in quanto qualsiasi e misero -, la pietà verso le donne prigioniere della natura stessa del loro corpo, l’orrore per un divino-diabolico che appare in figura benedicente e animalesca.
Fa male all’arte, la retorica? O il rifuggere dalla retorica è, in verità, un rifuggere dal dire, per mezzo dell’arte, nell’arte e con l’arte cose che concernono il mondo? Non sarà che la bollatura di retorico si applica, difensivamente, proprio a quei tentativi d’arte che, in quanto eversivi in ciò che dicono e non nel come dicono, dovrebbero essere considerati del tutto antiretoricamente autentici?” (Bruno Lorini, Giulio Mozzi)
21
aprile 2006
Giovanna Melliconi / Boris Ruencic – O materna mia terra
Dal 21 aprile al 27 maggio 2006
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE ADO FURLAN
Pordenone, Via Giuseppe Mazzini, 49, (Pordenone)
Pordenone, Via Giuseppe Mazzini, 49, (Pordenone)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 17.00 – 19.30 e su appuntamento
Vernissage
21 Aprile 2006, ore 18.30
Autore
Curatore