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Giovanna Torresin – Il rosso & il nero
Si tappezza di istoriazioni barocche – ma non gli usati e abusati tatuaggi. Va a cercare le piastre inchiavardate e i labirintici intrichi di ghirigori delle fastose corazze militari del Cinquecento e del Seicento e se ne riveste da capo a piedi
Comunicato stampa
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Dal testo critico di Ferruccio Giromini:
L’artista si pone interrogativi vitali con gli occhi sbarrati sul vuoto e, dopo la vertigine e lo sconcerto iniziale, sceglie di fare. Qualcosa. Non importa cosa, lì per lì; ci si penserà dopo, ci penseranno gli altri a cercar di capire. L’importante è fare, presto, hic et nunc. L’artista è artefice prima di tutto: colui che fa.
Giovanna Torresin fa soprattutto con se stessa. Non va a cercare lontano: fa l’arte col proprio corpo, dà voce alle proprie viscere usando la propria pelle. Fedele al tempo che la ospita, ne utilizza i mezzi più aggiornati, messi a disposizione dalla tecnologia. Si fotografa, si fa fotografare, in formato digitale, poi si mette davanti alle immagini realizzate, ora attraversate dalla luce di un monitor di computer, e pian piano le taglia, le ritocca, le adatta all’idea, le modifica compenetrandole con altre, le decolora, le ricolora, le illumina diversamente, le fa rinascere come nuove. È sempre lei, quel corpo, ma non è più lei: la donna come tante è diventata una donna unica, un paradigma di donna.
L’artista si trasforma: dapprima sotto i propri occhi, in seguito davanti ai nostri. Offre di sé un’immagine ideale, ma quella che di sé sente più reale. Un corpo accoccolato in se stesso, che si tiene caldo da solo. Sospeso in uno spazio senza tempo, in un tempo senza spazio. In una semioscurità dove la luce arriva appena ad accendere un piccolo particolare qui, una timida protuberanza lì. Un corpo che ci si offre inizialmente nudo, ma senza esibirsi in modi plateali. Anzi, si torce e raggomitola con discrezione, senza guardarci negli occhi, ancora in gran parte stretto in se stesso, dandoci spesso la schiena, nascondendosi in sé, sussurrandoci la propria presenza senza impudicizie. E intanto si ricopre di altri segni.
Si tappezza di istoriazioni barocche – ma non gli usati e abusati tatuaggi. Va a cercare le piastre inchiavardate e i labirintici intrichi di ghirigori delle fastose corazze militari del Cinquecento e del Seicento e se ne riveste da capo a piedi. Non si limita però ad appoggiarsi sopra i componenti cesellati: li incorpora letteralmente, li incista nell’epidermide mutandola per sempre: così la pelle si fa cuoio lavorato, si fa acciaio temperato, si fa barriera impenetrabile, difesa inattaccabile.
La donna assediata e corrosa dalla vita, quando questa è ingrata, adesso diviene superdonna, capace di resistere a sollecitazioni assassine e di prevalere nella battaglia diuturna con le avversità più subdole. Vince difendendosi, e non attaccando – da vera donna, appunto.
È indubbio che il conflitto sia e permanga drammatico. Lo testimoniano le tenebrosità dell’atmosfera, che sanno distinguere le durezze e gli sforzi della lotta. Il buio e il sangue. Il rosso e il nero dell’alchemica opera inesausta del solve et coagula, lento e silenzioso lavorio di trasformazione della materia in qualcosa di più, in ipermateria. Mutazione chimica, mutazione fisica, mutazione psichica, mutazione spirituale. Quanto mai complessa e faticosa.
L’artista si pone interrogativi vitali con gli occhi sbarrati sul vuoto e, dopo la vertigine e lo sconcerto iniziale, sceglie di fare. Qualcosa. Non importa cosa, lì per lì; ci si penserà dopo, ci penseranno gli altri a cercar di capire. L’importante è fare, presto, hic et nunc. L’artista è artefice prima di tutto: colui che fa.
Giovanna Torresin fa soprattutto con se stessa. Non va a cercare lontano: fa l’arte col proprio corpo, dà voce alle proprie viscere usando la propria pelle. Fedele al tempo che la ospita, ne utilizza i mezzi più aggiornati, messi a disposizione dalla tecnologia. Si fotografa, si fa fotografare, in formato digitale, poi si mette davanti alle immagini realizzate, ora attraversate dalla luce di un monitor di computer, e pian piano le taglia, le ritocca, le adatta all’idea, le modifica compenetrandole con altre, le decolora, le ricolora, le illumina diversamente, le fa rinascere come nuove. È sempre lei, quel corpo, ma non è più lei: la donna come tante è diventata una donna unica, un paradigma di donna.
L’artista si trasforma: dapprima sotto i propri occhi, in seguito davanti ai nostri. Offre di sé un’immagine ideale, ma quella che di sé sente più reale. Un corpo accoccolato in se stesso, che si tiene caldo da solo. Sospeso in uno spazio senza tempo, in un tempo senza spazio. In una semioscurità dove la luce arriva appena ad accendere un piccolo particolare qui, una timida protuberanza lì. Un corpo che ci si offre inizialmente nudo, ma senza esibirsi in modi plateali. Anzi, si torce e raggomitola con discrezione, senza guardarci negli occhi, ancora in gran parte stretto in se stesso, dandoci spesso la schiena, nascondendosi in sé, sussurrandoci la propria presenza senza impudicizie. E intanto si ricopre di altri segni.
Si tappezza di istoriazioni barocche – ma non gli usati e abusati tatuaggi. Va a cercare le piastre inchiavardate e i labirintici intrichi di ghirigori delle fastose corazze militari del Cinquecento e del Seicento e se ne riveste da capo a piedi. Non si limita però ad appoggiarsi sopra i componenti cesellati: li incorpora letteralmente, li incista nell’epidermide mutandola per sempre: così la pelle si fa cuoio lavorato, si fa acciaio temperato, si fa barriera impenetrabile, difesa inattaccabile.
La donna assediata e corrosa dalla vita, quando questa è ingrata, adesso diviene superdonna, capace di resistere a sollecitazioni assassine e di prevalere nella battaglia diuturna con le avversità più subdole. Vince difendendosi, e non attaccando – da vera donna, appunto.
È indubbio che il conflitto sia e permanga drammatico. Lo testimoniano le tenebrosità dell’atmosfera, che sanno distinguere le durezze e gli sforzi della lotta. Il buio e il sangue. Il rosso e il nero dell’alchemica opera inesausta del solve et coagula, lento e silenzioso lavorio di trasformazione della materia in qualcosa di più, in ipermateria. Mutazione chimica, mutazione fisica, mutazione psichica, mutazione spirituale. Quanto mai complessa e faticosa.
15
ottobre 2005
Giovanna Torresin – Il rosso & il nero
Dal 15 ottobre al 20 novembre 2005
arte contemporanea
Location
SABRINA RAFFAGHELLO ARTE CONTEMPORANEA
Ovada, Via Benedetto Cairoli, 42, (Alessandria)
Ovada, Via Benedetto Cairoli, 42, (Alessandria)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato dalle 10,30 alle 12,30 e dalle 16,30 alle 19,30; il venerdì sera del mese di luglio dalle 21 alle 23; la domenica su appuntamento
Vernissage
15 Ottobre 2005, ore 18
Autore