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Giovanni Campus – Tempo in processo. Installazione
La mostra inaugurale della stagione 2009-2010 è dedicata a una installazione-ambiente, appositamente realizzata per la sede dell’Associazione, e all’opera grafica di uno degli artisti più significativi del nostro tempo, Giovanni Campus.
Comunicato stampa
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Con gli incontri Visioni di città, organizzati la scorsa primavera, il consiglio direttivo dell’AAB si è proposto di aprire l’Associazione ai fermenti e alle sollecitazioni che provengono dalla società civile e in particolare dai movimenti giovanili, dando così avvio a un nuovo ciclo di iniziative in ambiti poco praticati. Esso trova un riscontro determinante nella mostra inaugurale della stagione 2009-2010 dedicata a una installazione-ambiente e all’opera grafica di uno degli artisti più significativi del nostro tempo, Giovanni Campus, dalla lunga e prestigiosa carriera.
La mostra si propone come un evento aperto in stretto rapporto con l’intera comunità bresciana e specificamente con accademie e scuole d’arte. Infatti nel mese di maggio sono stati organizzati due incontri con gli studenti delle Accademie e dei Licei artistici, per dibattere i diversi problemi dell’arte contemporanea e i temi suggeriti dalla mostra stessa. La registrazione di tali incontri è stata utilizzata per redigere uno dei capitoli del catalogo, nella rielaborazione curata dallo stesso maestro Campus.
Inoltre l’installazione, che consiste nell’articolazione di dieci travi in legno, interposte e sovrapposte sul piano, le quali danno luogo all’assetto compositivo segnico, relazionato con i disegni, è stata allestita nel mese di luglio con la partecipazione di alcuni studenti. Il catalogo contiene anche la documentazione fotografica delle diverse fasi dell’allestimento.
Di seguito il testo critico di Giorgio Cortenova, curatore della mostra.
“La scultura occupa lo spazio, l’architettura lo delimita e lo distribuisce, la pittura lo simula o lo prefigura. Ma, in realtà, ciò che preme sotto la griglia spaziale dei segni è la cifra del tempo, che nelle arti visive sussiste solo in virtù dello spazio stesso. Un bel rompicapo: perché il tempo scorre infinito, ma si fa storia nella finitezza della memoria, nutre la malinconia nella squisitezza dei sentimenti, promuove le speranze o le utopie nella cocciuta volontà umana di progettare.
La prospettiva rinascimentale non conquista la superficie della tela o delle pareti a fresco per il desiderio di rappresentare “realisticamente” la realtà, ma per collocarla nel tempo individuale della memoria e in quello sociale della storia: là l’esperienza vissuta, qua quella in atto nel presente; là in fondo ciò che è accaduto – che ne so, la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre –, qua, vicino allo sguardo, la conseguente a noi più prossima – metti caso, l’annunciazione dell’angelo alla giovane Madonna, eterna ragazza stupita –.
Così vanno le cose nell’arte, e così vanno nella vita che scorre tra le dita come l’acqua che lambisce le chiglie. Giovanni Campus conosce bene la logica del tempo che non si lascia catturare facilmente. E tanto meno decifrare. Dal suo lavoro mi pare di capire che da sempre lo spia, appresta splendide “trappole”, lo attende paziente nella tela e sulla carta. Fino a trascinarlo a terra, nello spazio di un allestimento e nella calura intensa dell’emozione che ne deriva.
Altrimenti perché mai quell’aprirsi a forbice delle barre di ferro o quel loro prolungarsi oltre la superficie? Perché mai quell’incrociarsi del segno che di fatto determina la pulsione dei piani? Mi riferisco al fatto che Campus è tra i rari artisti che vogliono rendere concreto il tempo nell’astrazione della superficie. Appunto divarica, scolla, distanzia i piani: non sono ferite, ma invece pause, varchi della memoria, spazi oltre i quali il tempo sprofonda o si raggela o si esalta nella propria infinita imperscrutabilità.
Ciò appare ancora più evidente nelle carte, dove la texture del segno su segno, che sormonta e svanisce come un brivido dello sguardo, alimenta pertugi minuziosamente “scavati”. In questa trama sottile, e misteriosamente raccolta nei “fumi” della penombra, il tempo si mimetizza, slitta in profondità come una memoria antica, oppure emerge alla luce come un sortilegio che si rinnova.
Ma infine mi convince la decisione di agire nello spazio reale: non per istallarvi segni, tracce, carte e strutture, ma per immetterlo nel moto infinito del tempo, virando quella struttura tanto palpabile verso l’impalpabilità di ciò che nell’animo si muove con efficace consapevolezza.
Al di là di ciò che noi critici e storici si possa dire e scrivere, è quanto riusciamo a sentire che ha valore di contenuti. Perché sul piano della sensibilità, percepita e condivisa, i linguaggi infrangono le specifiche differenze e si avviano verso quel poco o quel tanto di verità che la vita concede di praticare. Ecco detto: il tempo determinato dallo spazio di Campus mi è famigliare. Esso fa parte di un bagaglio culturale che proviene dalla coscienza mitteleuropea dei valori e della crisi della storia: dai morbi, dalle delizie e dai fantasmi che l’attraversano. Mentre da sempre ci domandiamo dove nascano e dove vadano a morire le acque conturbanti dell’Istro.”
La mostra si propone come un evento aperto in stretto rapporto con l’intera comunità bresciana e specificamente con accademie e scuole d’arte. Infatti nel mese di maggio sono stati organizzati due incontri con gli studenti delle Accademie e dei Licei artistici, per dibattere i diversi problemi dell’arte contemporanea e i temi suggeriti dalla mostra stessa. La registrazione di tali incontri è stata utilizzata per redigere uno dei capitoli del catalogo, nella rielaborazione curata dallo stesso maestro Campus.
Inoltre l’installazione, che consiste nell’articolazione di dieci travi in legno, interposte e sovrapposte sul piano, le quali danno luogo all’assetto compositivo segnico, relazionato con i disegni, è stata allestita nel mese di luglio con la partecipazione di alcuni studenti. Il catalogo contiene anche la documentazione fotografica delle diverse fasi dell’allestimento.
Di seguito il testo critico di Giorgio Cortenova, curatore della mostra.
“La scultura occupa lo spazio, l’architettura lo delimita e lo distribuisce, la pittura lo simula o lo prefigura. Ma, in realtà, ciò che preme sotto la griglia spaziale dei segni è la cifra del tempo, che nelle arti visive sussiste solo in virtù dello spazio stesso. Un bel rompicapo: perché il tempo scorre infinito, ma si fa storia nella finitezza della memoria, nutre la malinconia nella squisitezza dei sentimenti, promuove le speranze o le utopie nella cocciuta volontà umana di progettare.
La prospettiva rinascimentale non conquista la superficie della tela o delle pareti a fresco per il desiderio di rappresentare “realisticamente” la realtà, ma per collocarla nel tempo individuale della memoria e in quello sociale della storia: là l’esperienza vissuta, qua quella in atto nel presente; là in fondo ciò che è accaduto – che ne so, la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre –, qua, vicino allo sguardo, la conseguente a noi più prossima – metti caso, l’annunciazione dell’angelo alla giovane Madonna, eterna ragazza stupita –.
Così vanno le cose nell’arte, e così vanno nella vita che scorre tra le dita come l’acqua che lambisce le chiglie. Giovanni Campus conosce bene la logica del tempo che non si lascia catturare facilmente. E tanto meno decifrare. Dal suo lavoro mi pare di capire che da sempre lo spia, appresta splendide “trappole”, lo attende paziente nella tela e sulla carta. Fino a trascinarlo a terra, nello spazio di un allestimento e nella calura intensa dell’emozione che ne deriva.
Altrimenti perché mai quell’aprirsi a forbice delle barre di ferro o quel loro prolungarsi oltre la superficie? Perché mai quell’incrociarsi del segno che di fatto determina la pulsione dei piani? Mi riferisco al fatto che Campus è tra i rari artisti che vogliono rendere concreto il tempo nell’astrazione della superficie. Appunto divarica, scolla, distanzia i piani: non sono ferite, ma invece pause, varchi della memoria, spazi oltre i quali il tempo sprofonda o si raggela o si esalta nella propria infinita imperscrutabilità.
Ciò appare ancora più evidente nelle carte, dove la texture del segno su segno, che sormonta e svanisce come un brivido dello sguardo, alimenta pertugi minuziosamente “scavati”. In questa trama sottile, e misteriosamente raccolta nei “fumi” della penombra, il tempo si mimetizza, slitta in profondità come una memoria antica, oppure emerge alla luce come un sortilegio che si rinnova.
Ma infine mi convince la decisione di agire nello spazio reale: non per istallarvi segni, tracce, carte e strutture, ma per immetterlo nel moto infinito del tempo, virando quella struttura tanto palpabile verso l’impalpabilità di ciò che nell’animo si muove con efficace consapevolezza.
Al di là di ciò che noi critici e storici si possa dire e scrivere, è quanto riusciamo a sentire che ha valore di contenuti. Perché sul piano della sensibilità, percepita e condivisa, i linguaggi infrangono le specifiche differenze e si avviano verso quel poco o quel tanto di verità che la vita concede di praticare. Ecco detto: il tempo determinato dallo spazio di Campus mi è famigliare. Esso fa parte di un bagaglio culturale che proviene dalla coscienza mitteleuropea dei valori e della crisi della storia: dai morbi, dalle delizie e dai fantasmi che l’attraversano. Mentre da sempre ci domandiamo dove nascano e dove vadano a morire le acque conturbanti dell’Istro.”
19
settembre 2009
Giovanni Campus – Tempo in processo. Installazione
Dal 19 settembre al 21 ottobre 2009
arte contemporanea
Location
AAB – ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI
Brescia, Vicolo Delle Stelle, 4, (Brescia)
Brescia, Vicolo Delle Stelle, 4, (Brescia)
Orario di apertura
dal martedì alla domenica, dalle 15,30 alle 19,30
Vernissage
19 Settembre 2009, ore 18
Autore
Curatore