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Giovanni Frangi – Caran d’Ache
Giovanni Frangi (Milano, 1959) inaugura il 13 febbraio Caran d’Ache alla Kromya Art Gallery. L’artista, alla sua prima esposizione a Lugano, presenta un gruppo di opere frutto della sua ricerca più recente.
Comunicato stampa
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Giovanni Frangi (Milano, 1959) inaugura il 13 febbraio Caran d’Ache alla Kromya Art Gallery. L’artista, alla sua prima esposizione a Lugano, presenta un gruppo di opere frutto della sua ricerca più recente.
Caran d’Ache è lo pseudonimo scelto dal disegnatore francese Emmanuel Poiré e il termine è il calco fonetico della parola russa карандаш (karandash), che significa “matita”. Per questo è diventato il nome della nota fabbrica elvetica di matite colorate, che negli anni sono diventate uno dei simboli della Svizzera nel mondo, anche per la scelta di mettere sulle confezioni l’immagine del Cervino. Per Frangi sono le matite, usando le quali, a quattro anni, si rese conto di voler fare il pittore. L’aneddoto è raccontato nel volume di conversazioni, di prossima pubblicazione, che l’artista sta preparando con Luca Fiore.
Pensando agli spazi della galleria luganese, situata all’interno di una palazzina novecentesca di Viale Franscini, adiacente a Villa Saroli, divisa in quattro stanze, l’artista milanese ha elaborato un progetto in cui confrontare alcuni cicli su cui insiste negli ultimi due o tre anni. Non è una mostra monotematica, come spesso accade nella sua abitudine, ma è il tentativo di far dialogare situazioni differenti. La poetica di Frangi è contraddistinta da un procedere per serie di opere, o cicli appunto. Per lui è necessario indagare con varianti ossessive i suoi “motivi”, rendendosi conto che la forza dell’opera non si esaurisce nella sua singolarità, ma si declina in tutte le possibilità e varianti. È come se lo spazio del quadro non fosse sufficiente, ma avesse bisogno di uscire dagli schemi usuali. Tanto che Frangi si è anche contraddistinto, fra gli artisti della sua generazione, per avere realizzato con la pittura delle vere e proprie installazioni naturali.
Sassi, cascate, cieli, fiumi, isole, boschi e piante sono una continua fonte di ispirazione. Frangi parte sempre da un’immagine fotografica scattata di persona, dalla quale inizia un lavoro nel quale il soggetto rappresentato oscilla tra una più o meno evidente riconoscibilità. «La tecnica è fondamentale», dice l’artista: «Lavorando cerco di sperimentare sempre nuove soluzioni. Ad esempio, negli ultimi anni, sto dipingendo su tele colorate: nere, rosse o di altri colori. Le faccio cucire insieme in modo che diventino un elemento fondamentale del quadro».
In questa mostra, all’ingresso della galleria, si trovano La vita segreta delle piante, tre piccole sculture realizzate in gesso e resine acriliche, appoggiate a trespoli di legno: con i loro movimenti organici, ricordano forme di vita primordiali. Tutte e tre provengono da Urpflanze, una mostra tenuta l’estate scorsa presso Villa Carlotta di Tremezzo sul Lago di Como. Poi è la volta di Arcipelago, un ciclo di opere ispirate alla costa vicino all’isola Palmaria, vista dal mare. Sono visioni che potrebbero essere quelle di uomini provenienti da mondi lontani e che lì stanno per approdare. La stanza successiva è dedicata ad Ansedonia, immagini di un frammento di un bosco nella pineta dove anche Mario Schifano, un nume tutelare di Frangi, amava passare l’estate. Infine, troviamo le Ninfee, delle opere a cui l’artista ha dedicato molta attenzione negli ultimi tempi. Nella loro realizzazione trova una grande spontaneità, tanto da aver dichiarato di «poterle dipingere anche a occhi bendati». Grandi e piccole, dipinte su fondo nero o su fondo bianco, ma tutte ispirate a immagini scattate all’Orto Botanico di Padova.
La natura è da sempre l’origine della sua ispirazione, spiega Frangi: «Mi sono dato un campo d’azione definito, circoscritto. In questo modo ho pensato che il mio lavoro potesse essere più forte».
Caran d’Ache è lo pseudonimo scelto dal disegnatore francese Emmanuel Poiré e il termine è il calco fonetico della parola russa карандаш (karandash), che significa “matita”. Per questo è diventato il nome della nota fabbrica elvetica di matite colorate, che negli anni sono diventate uno dei simboli della Svizzera nel mondo, anche per la scelta di mettere sulle confezioni l’immagine del Cervino. Per Frangi sono le matite, usando le quali, a quattro anni, si rese conto di voler fare il pittore. L’aneddoto è raccontato nel volume di conversazioni, di prossima pubblicazione, che l’artista sta preparando con Luca Fiore.
Pensando agli spazi della galleria luganese, situata all’interno di una palazzina novecentesca di Viale Franscini, adiacente a Villa Saroli, divisa in quattro stanze, l’artista milanese ha elaborato un progetto in cui confrontare alcuni cicli su cui insiste negli ultimi due o tre anni. Non è una mostra monotematica, come spesso accade nella sua abitudine, ma è il tentativo di far dialogare situazioni differenti. La poetica di Frangi è contraddistinta da un procedere per serie di opere, o cicli appunto. Per lui è necessario indagare con varianti ossessive i suoi “motivi”, rendendosi conto che la forza dell’opera non si esaurisce nella sua singolarità, ma si declina in tutte le possibilità e varianti. È come se lo spazio del quadro non fosse sufficiente, ma avesse bisogno di uscire dagli schemi usuali. Tanto che Frangi si è anche contraddistinto, fra gli artisti della sua generazione, per avere realizzato con la pittura delle vere e proprie installazioni naturali.
Sassi, cascate, cieli, fiumi, isole, boschi e piante sono una continua fonte di ispirazione. Frangi parte sempre da un’immagine fotografica scattata di persona, dalla quale inizia un lavoro nel quale il soggetto rappresentato oscilla tra una più o meno evidente riconoscibilità. «La tecnica è fondamentale», dice l’artista: «Lavorando cerco di sperimentare sempre nuove soluzioni. Ad esempio, negli ultimi anni, sto dipingendo su tele colorate: nere, rosse o di altri colori. Le faccio cucire insieme in modo che diventino un elemento fondamentale del quadro».
In questa mostra, all’ingresso della galleria, si trovano La vita segreta delle piante, tre piccole sculture realizzate in gesso e resine acriliche, appoggiate a trespoli di legno: con i loro movimenti organici, ricordano forme di vita primordiali. Tutte e tre provengono da Urpflanze, una mostra tenuta l’estate scorsa presso Villa Carlotta di Tremezzo sul Lago di Como. Poi è la volta di Arcipelago, un ciclo di opere ispirate alla costa vicino all’isola Palmaria, vista dal mare. Sono visioni che potrebbero essere quelle di uomini provenienti da mondi lontani e che lì stanno per approdare. La stanza successiva è dedicata ad Ansedonia, immagini di un frammento di un bosco nella pineta dove anche Mario Schifano, un nume tutelare di Frangi, amava passare l’estate. Infine, troviamo le Ninfee, delle opere a cui l’artista ha dedicato molta attenzione negli ultimi tempi. Nella loro realizzazione trova una grande spontaneità, tanto da aver dichiarato di «poterle dipingere anche a occhi bendati». Grandi e piccole, dipinte su fondo nero o su fondo bianco, ma tutte ispirate a immagini scattate all’Orto Botanico di Padova.
La natura è da sempre l’origine della sua ispirazione, spiega Frangi: «Mi sono dato un campo d’azione definito, circoscritto. In questo modo ho pensato che il mio lavoro potesse essere più forte».
13
febbraio 2019
Giovanni Frangi – Caran d’Ache
Dal 13 febbraio al 30 marzo 2019
arte contemporanea
Location
Kromya Art Gallery
Lugano, Viale Stefano Franscini, 11, (Lugano)
Lugano, Viale Stefano Franscini, 11, (Lugano)
Orario di apertura
Da lunedì a venerdì ore 10-18
Sabato su appuntamento
Vernissage
13 Febbraio 2019, h 18.30
Autore
Curatore