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Giovanni Lamberti / Remo Franzoni – Energia & Colore
doppia personale
Comunicato stampa
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Energia e colore
Il dialettico connubio dell’arte di Giovanni Lamberti (Le Rond) e Remo Franzoni
Nel suo studio del 1967 Beyond Modern Sculpture, Jack Burnahm, mosso alla ricerca dell’ambizione originaria e primigenia dell’arte plastica, del suo atavico Kunstwollen, concludeva con l’individuarla nella tensione inesausta non verso una rappresentazione il più possibile fedele della realtà fenomenica degli individui e delle cose, inevitabilmente immobile e ultimativamente statica, bensì nell’aspirazione ideale a riprodurre nientemeno che la vita, ovvero i procedimenti di funzionamento degli esseri dotati d’esistenza organica, siano essi umani, animali o vegetali.
In certo senso, l’ormai lunga storia della scultura cinetica, dai mobiles di Calder alle ferraglie animate di Tinguely, dalle macchine inutili di Munari agli esuberanti marchingegni magnetici di Len Lye, fino a risalire ai prototipi costruttivisti di Gabo e Katarzyna Kobro, costituisce una patente esemplificazione del presupposto ermeneutico di Burnahm. È sì legittimo e ragionevole riconoscere, in tale tipologia di lavori, una deliberata reazione di segno opposto rispetto alle connotazioni monumentalistiche, retorico-celebrative e funerarie che l’idioma plastico era venuto assumendo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decennî del XX secolo, e un conseguente rifiuto di quelle forme e materiali aulici (Martini avrebbe detto “sacerdotali”) che la tetra fase delle dittature aveva reso addirittura impresentabili. Tuttavia, la marcata e paradigmatica propensione alla leggerezza, alla smaterializzazione e al movimento interno (sulla base delle ben note categorizzazioni proposte da Frank Popper), riscontrabile negli oggetti di scultura prodotti dagli artisti della cosiddetta Nuova Tendenza, può essere proficuamente – e, forse, con più sagace discernimento – interpretata quale implicito tentativo di imitare e simulare i processi e meccanismi di attività biologica, molecolare, fisica ed energetica dell’organismo vivente. Del resto, dotare l’opera di un moto indotto o autonomo/automatico, come fecero in varia misura gli esponenti del Gruppo Zero di Düsseldorf, degli italiani N, T, Uno e 63, del parigino GRAV, dell’Equipo 57 in Spagna, del NUI olandese etc., significava anche ampliare le proprietà e prerogative del linguaggio scultoreo a un’esperienza dell’estensione temporale che era tradizionalmente ritenuta peculiare e ascritta precipuamente al teatro e alla musica; quindi, scardinarne gli statuti disciplinari in misura tale da indurre Rosalind Krauss a individuare ed enucleare, nell’acuta disamina storica riferita alle manifestazioni delle neoavanguardie degli anni sessanta-settanta contenuta nel celebre Passaggi, forme e configurazioni difficilmente assimilabili alle «idee precostituite delle operazioni proprie delle arti plastiche».
Con piena e profonda consapevolezza, Remo Franzoni, giunto in età matura – dopo una decennale carriera pittorica – alla pratica della scultura, finalmente “scoperta” quale medium d’elezione e perfetta congenialità, ha scelto d’inserire la sua produzione in un filone di ricerca genericamente avvicinabile a quello della Nuova Tendenza, ma accolto e abbracciato con totale autonomia e sorprendente originalità di intenti ed esiti artistici, che lo preservano da atteggiamenti epigonali e compiacimenti tecnicistici. In lui, anzitutto, l’adesione al lessico astratto-cinetico non è in alcun modo esclusiva, né programmaticamente attuata come dato aprioristico, bensì frutto, ogni volta, di un ponderato percorso di riflessione formale e intuizione poetica; giocata inoltre, assai sovente, sul filo sottile e discreto del paradosso, che lo porta a servirsi di un materiale grave e “statuario” per eccellenza, qual è il marmo di Carrara, per dar vita a composizioni assolutamente lievi ed eteree, o ad abbinarlo – in voluto, stridente, contrasto – a piume d’uccello dalla consistenza quasi impalpabile. Solide costruzioni compendiarie in pietra di Botticino vedono smentita la propria solenne robustezza e scabra imponenza dal semplice quanto ironico dispositivo che le rende mobili e snodabili, alla stregua di un divertito e improbabile Meccano; uno scuro e massiccio organismo vagamente riconducibile all’aspetto di un torso umano, modellato con lucida precisione nell’ardua roccia scistosa (così difficile da lavorare) del calcare bituminoso dell’Alto Garda, trova il suo compimento (Concepimento!) espressivo nell’esile e bianchissimo anello in Carrara che lo cinge come un’orbita spaziale. Un’apoteosi di leggerezza e lirismo, poi, sono le sculture filiformi in legno di frassino, sorta di omaggio a un’idea di primitivismo depurata nell’estrema stilizzazione e riduzione minimale degli elementi verso esiti di raffinatissima eleganza.
Tuttavia, ciò che più preme a Franzoni, uomo di natura sobria, parca e meditativa, estranea a ogni appariscente esteriorità, non è il fattore meramente estetico, ma la limpidezza dell’invenzione: non l’edonismo visivo o la politezza esecutiva, non lo chic del profilo e del disegno, ma l’intensità del pensiero, e la coerenza della sua traduzione in opera d’ingegno. All’origine dell’atto immaginativo e strutturante, vi è infatti, per lo scultore gardesano, una concezione dell’universo come vibrazione, e dell’arte quale suprema manifestazione dell’armonia siderale sprigionantesi da questo “concerto” di onde radianti; testando i materiali utilizzati secondo la scala Bovis, l’autore ne misura la carica e l’influenza energetica nei confronti degli organismi viventi, calcolando, in sostanza, quanto le molecole che li compongono oscillino elettromagneticamente. La stessa forma degli oggetti, in base al criterio adottato da Franzoni, è ritenuta in grado d’incidere in maniera positiva o negativa sulla percezione dell’osservatore, e dunque calibrata con attenzione al fine di evitare ch’essa possa offenderne, senza volere, lo spiritus.
L’installazione presente in mostra, come pure i quattro significativi lavori fondati sull’azione di attrazione e repulsione della calamita, rispondono precisamente al proposito di condurre lo spettatore, mediante il ricorso a gesti creativi d’indubbia suggestione e intensa sensibilità, a riflettere sull’immanenza delle grandiose léggi e degli affascinanti princìpî fisico-meccanici che sovrintendono al funzionamento della natura, di fronte alla cui perfezione l’uomo non può che sostare ammirato e rapito, pieno di meraviglia per la sublime immensità del cosmo.
Affatto diversa e – per così dire – complementare a quella di Franzoni risulta l’indole artistica di Giovanni Lamberti, noto anche con il curioso pseudonimo di Le Rond, riesumato nell’indefinita congerie dei ricordi di scuola e prescelto in omaggio alla nitida intelligenza del fisico e filosofo illuminista francese d’Alembert, il cui autentico appellativo era, appunto, Jean-Baptiste Le Rond.
Pervenuto a un sistematico e cosciente approccio alla pittura negli anni di mezzo del suo cammino esistenziale, egli ha coltivato il suo particolarissimo estro inventivo sviluppando progressivamente un idioma visivo del tutto riconoscibile, constante nell’elaborazione di un vocabolario di forme, materie, oggetti e colori che ormai gli corrispondono in concordanza biunivoca, ed esprimono con efficace aderenza la personalità traboccante dell’autore e la sua imperiosa urgenza comunicativa. Non è, Lamberti, artista da estenuati arrovellamenti teorici o da onanistici ripiegamenti; i suoi lavori sanno istintivamente rifuggire dal rischio della frammentazione atomistica, della dispersione e diluizione dell’idea originaria nei mille rivoli di una maniacale e manieristica ossessione per il dettaglio minuto e compiaciuto della propria ricercatezza, ma slegato dall’insieme o estrinsecamente accostato ad altri infinitesimali elementi di marca analoga. Nelle sue pitto-sculture, al contrario, ciò che emerge con caparbia perseveranza, in tutta la sua genuina nettezza, è la salda e potente visione complessiva dell’opera, il sano e innato senso della struttura, il gusto sicuro – e vieppiù affinato dallo studio infaticabile – per l’accostamento cromatico e materico.
Non da sùbito, per la verità, Lamberti giunse alla poderosa e felice capacità di sintesi che ne caratterizza gli esiti recenti e attuali: dopo la fase dell’immancabile apprendistato figurativo, dove già, peraltro, si rivelava in nuce la tendenza all’astrazione plastica, alla vigorosa costruzione volumetrica e alla riduzione geometrica dei piani, la congenita vocazione allo sperimentalismo tecnico e compositivo lo spinse verso l’adozione di un alfabeto d’ascendenza informale, concretato nell’esecuzione di gesti pittorici imperiosi e fulminei, e nell’impiego di colori, sostanze e “ingredienti” di palese provenienza industriale. Sicché, nelle tavole d’inizio millennio, i toni squillanti e quasi fluorescenti di smalti, acrilici e quarzo si combinano con la cementite, la colla, la calce e le minuscole sferette di piombo, generando grumi intricati – e talvolta confusi, benché vitalissimi – di materia rugosa, spessa e palpitante, che non sarebbe azzardato definire “espressionistica” nel suo contegno dirompente ed eccessivo, nella comunicativa vibrante e accesa degli stupefacenti conglomerati in cui si addensa con straordinario rilievo plastico.
Infine, il vorace fervore creativo che lo contraddistingue ha indotto Lamberti a estendere il proprio repertorio di prelievi oggettuali ai frammenti di radiatori di camion e automobili, che sembrano denunciare un velato desiderio di coniugare evidenti stimoli di divertissement new dada con la riappropriazione sociologica dello scarto della contemporaneità massificata e consumistica propugnata dal Nouveau Réalisme. Ma, se il ricorso all’assemblage decontestualizzante poteva autorizzare a presagire un’ulteriore accentuazione della poetica dell’autore in direzione di un’aggressiva impulsività, verso una sorta di parallelo solare e scanzonato di quell’“anarchia estetica” praticata con toni ben più cupi dai Neue Wilden, esso coincise, invece, con una repentina e inattesa svolta di orientamento classicistico, all’insegna di un conquistato ordine formale imperniato su una graduale decantazione linguistica, che non smorza né attenua la carica vitalistica e la sfrenata ed esuberante gagliardia dell’immaginazione visiva di Lamberti, ma la incanala, regola e governa, sceverandola e ripulendola da intemperanze, esasperazioni e dannose pesantezze, e conferendo alle opere un senso elettrizzante di energia concentrata, compressa e trattenuta. I lavori dell’ultimo periodo, perciò, specialmente quando si liberano – anche nel titolo – di ogni residuo riferimento iconico e rimando alla realtà fenomenica o psicologica, riescono ad attingere a quel sapiente equilibrio cromatico e compositivo che l’imponente ciclo della Composizione 4 x 3 (vera summa del tragitto artistico sin qui compiuto da Lamberti) esemplifica in maniera così esatta e calzante. Una formulazione autenticamente classica, che non si perita d’avvalersi di supporti e materiali alquanto atipici ed eterodossi (latta, quarzo e spezzoni di radiatori su foglî di polistirene ricoperti di PVC), ma piegandoli a esigenze di natura estetica ed espressiva che si possono riassumere nel sempiterno e intramontabile concetto di stile.
Paolo Bolpagni
17 giugno 2007
20
giugno 2007
Giovanni Lamberti / Remo Franzoni – Energia & Colore
Dal 20 giugno al 05 luglio 2007
arte contemporanea
Location
EX PALAZZO MUNICIPALE
Gargnano, (Brescia)
Gargnano, (Brescia)
Orario di apertura
sabato e domenica dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 21.00
e nei giorni feriali (escluso il lunedì) dalle ore 16.00 alle 21
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