Estratti dal testo in catalogo di Alberto Giorgio Cassani

[…] «Tutte le città, anche le più pudiche, hanno un punto, mercato o rione popolare, in cui i viscere della città vengono fuori. E Ravenna no. Ravenna è abbottonata fino al pomo d’Adamo nel suo abito di pietra». Le immagini di Lami e Molinari non fanno altro che tentare di sbottonare il vestito troppo accollato della città, mostrando ciò che di solito non si vede, o meglio, ciò che non si mostra allo sguardo distratto di chi vi abita tutti i giorni da troppo tempo, o di chi vi arriva con i paraocchi degli odierni Baedeker in mano, e che non riesce a vedere, per troppa fretta, che “il buon dio abita nei particolari”.

[…]

[…] Uomini e città sono davvero ancora quegli stessi organismi, teleguidati dall’anima di cui parlava Aristotele, o si avvicinano sempre più a quegli “organismi-macchine” di cui parlava Descartes, mossi soltanto da un motore interno? Che succede se quest’ingranaggio, quest’organizzazione interna comincia a mal funzionare? Se i componenti dell’organismo iniziano a sentirsi come “nomadi in prigione”? Ecco che allora l’organismo-città, con tutti i suoi abitanti-cellule che lo abitano, dovrebbe assumere altre forme, attingere ad altre metafore, come quella della “città-mollusco” pensata da Massimo Cacciari, una sorta di fusione tra la “relatività generale” einsteiniana e le “monadi” di Leibniz: «In tale spazio, secondo la teoria di Einstein, non solo qualsiasi corpo deve poter valere come corpo di riferimento, ma i corpi debbono potersi “de-formare” o trasformare durante il loro movimento. [...] Lo spazio complessivo risulterà dall’interazione dei suoi diversi corpi, elastici, “de-formabili”, capaci di “accogliersi” l’un l’altro, di penetrare gli uni negli altri, spugnosi, molluscolari» .

Quanto di ciò appare nelle immagini di Lami e Molinari? […]

Verrebbe da dire, forse, parafrasando Nietzsche, che da queste immagini – in cui si legge l’impronta di una precisa stagione della fotografia, da Dorothea Lange, a Walker Evans, a Paul Strand, fino ad Alec Soth, Richard Renaldi e, soprattutto, la traccia dell’occhio perechiano di Guido Guidi – che «Cento profonde solitudini formano insieme la città di Ravenna – questo il suo incanto. Un’immagine per gli uomini del futuro».



Estratto dal testo in catalogo di Valerio Fabbri

[…] Col vento che arriva da maestrale l’odore chimico

della fabbrica abbandonata sull’orizzonte appiattito

si mischia a quello del catrame del passaggio a livello,

nel punto dove puoi infilzare con un solo dito

la voglia di andartene, di sparire un piede alla volta. […]