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Girl Talk
Una collettiva tutta al femminile, “Girl Talk”, con la curatela di Ilenia Rubino, riunisce le opere di 4 artiste che hanno svolto la residenza a Palazzo Monti durante i mesi di Gennaio e di Maggio: Alice Faloretti, Delphine Hennelly, Oxana Tregubova e Sara Birns.
Comunicato stampa
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In principio era l’età dell’oro. Il mondo prima del mondo. Un mondo altro, popolato da animali leggendari e mitologici, frutto dell’immaginazione di Sara Birns (1992, USA). Occhi umanizzati che ci scrutano, sullo sfondo di una natura benigna, amena, diafana, una natura ancora non contaminata dall’uomo.
In principio era il caos. È un magma creativo e ancestrale quello di Alice Faloretti (1992, Italia), grembo materno, big bang fecondo e generativo. I suoi paesaggi, mitici e indefiniti, sono luoghi di scontri violenti, di fusioni sfocate, di turbinii dell’Io. I contorni sfumano, mare terra e cielo si fondono, è natura matrigna. È l’inconscio, è l’onirico, è il bisogno impellente di espressione interiore, di sottostrato viscoso, emotivo.
Poi la scintilla divina. Natura più rarefatta e defilata su sfondo nero quella di Oxana Tregubova (1990, Russia). Una natura che pian piano si ritrae, perde la forza espressiva e catastrofica, diventa docile sotto il passo dell’uomo. La presenza umana fa il suo ingresso in scena. Il peso del suo piede, che si staglia sullo sfondo, la conquista. Icona sacra e austera, bizantina nel suo essere contorno piatto bidimensionale, presenza silenziosa eppure perentoria. Le sue sembrano rovine della perduta età dell’oro e al contempo germinazioni dell’alba di una nuova era, un’era dell’uomo e della donna. La convivenza è dolce rifugio.
Segue l’equilibrio. La natura diviene teatro del mistero più imperscrutabile: la maternità. Per Delphine Hennelly (1979, Canada) l’ambientazione si trasforma in scenografia senza tempo e le sue pennellate materiche e gestuali rafforzano la compenetrazione con le figure. L’archetipo madre-figlio viene qui esplorato attraverso la lente dell’espressione gestuale, del linguaggio del corpo come canale di espressione dei sentimenti. Lo sapeva Giotto, lo ribadisce Delphine. È abbraccio tenero, è cura, in un’atmosfera fiabesca.
Infine, la rottura degli schemi. Ciò che è moto interiore si riflette nell’esteriorità dei nostri mutamenti del corpo. E delle sue deformazioni, aggiunge Sara Birns (1992, USA). Le sue ibridazioni di volti stranianti fissano le mutazioni mimiche in tempo reale per andare al di là dello strato superficiale e cementificare turbamenti profondi e scissioni interiori. È il tempo cubista, un tempo che scorre veloce e gli effetti della sua durata si sedimentano su carta. Nel gioco della percezione vi è una metamorfosi dello sguardo, di ciò che siamo, di come noi vediamo noi stessi e come gli altri ci vedono. È la deformazione della memoria, non riproduttiva ma ricreativa nei suoi ricordi, caricatura di piccole imperfezioni, inno alla mostruosità degli ibridi.
Ilenia Rubino
In principio era il caos. È un magma creativo e ancestrale quello di Alice Faloretti (1992, Italia), grembo materno, big bang fecondo e generativo. I suoi paesaggi, mitici e indefiniti, sono luoghi di scontri violenti, di fusioni sfocate, di turbinii dell’Io. I contorni sfumano, mare terra e cielo si fondono, è natura matrigna. È l’inconscio, è l’onirico, è il bisogno impellente di espressione interiore, di sottostrato viscoso, emotivo.
Poi la scintilla divina. Natura più rarefatta e defilata su sfondo nero quella di Oxana Tregubova (1990, Russia). Una natura che pian piano si ritrae, perde la forza espressiva e catastrofica, diventa docile sotto il passo dell’uomo. La presenza umana fa il suo ingresso in scena. Il peso del suo piede, che si staglia sullo sfondo, la conquista. Icona sacra e austera, bizantina nel suo essere contorno piatto bidimensionale, presenza silenziosa eppure perentoria. Le sue sembrano rovine della perduta età dell’oro e al contempo germinazioni dell’alba di una nuova era, un’era dell’uomo e della donna. La convivenza è dolce rifugio.
Segue l’equilibrio. La natura diviene teatro del mistero più imperscrutabile: la maternità. Per Delphine Hennelly (1979, Canada) l’ambientazione si trasforma in scenografia senza tempo e le sue pennellate materiche e gestuali rafforzano la compenetrazione con le figure. L’archetipo madre-figlio viene qui esplorato attraverso la lente dell’espressione gestuale, del linguaggio del corpo come canale di espressione dei sentimenti. Lo sapeva Giotto, lo ribadisce Delphine. È abbraccio tenero, è cura, in un’atmosfera fiabesca.
Infine, la rottura degli schemi. Ciò che è moto interiore si riflette nell’esteriorità dei nostri mutamenti del corpo. E delle sue deformazioni, aggiunge Sara Birns (1992, USA). Le sue ibridazioni di volti stranianti fissano le mutazioni mimiche in tempo reale per andare al di là dello strato superficiale e cementificare turbamenti profondi e scissioni interiori. È il tempo cubista, un tempo che scorre veloce e gli effetti della sua durata si sedimentano su carta. Nel gioco della percezione vi è una metamorfosi dello sguardo, di ciò che siamo, di come noi vediamo noi stessi e come gli altri ci vedono. È la deformazione della memoria, non riproduttiva ma ricreativa nei suoi ricordi, caricatura di piccole imperfezioni, inno alla mostruosità degli ibridi.
Ilenia Rubino
21
maggio 2022
Girl Talk
Dal 21 maggio al 19 giugno 2022
arte contemporanea
Location
PALAZZO MONTI
Brescia, Piazza Tebaldo Brusato , 22, (Brescia)
Brescia, Piazza Tebaldo Brusato , 22, (Brescia)
Orario di apertura
Sabato 21.05 ore 18-21
Lun-Ven. 10-18
Sabato e domenica su appuntamento.
Scrivere a ciao@palazzomonti.org
Autore
Curatore
Autore testo critico