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Giuliana Tucci – Spleen
Nata a Bari nel ‘41 vive e lavora a Chieri, è artista a cui piace cimentarsi con pigmenti e paste (le più varie) ora su tela, carta, seta, intonaco, ora per modellare o incidere. Si è formata presso l’Accademia di Belle Arti a Torino: suoi maestri Spazzapan, Cherchi, Monti.
Comunicato stampa
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Arriva tardi, Giuliana Tucci, alla sua prima mostra importante. Ma l’occasione
è propizia ed irrinunciabile, per un curioso insieme di circostanze.
Riassumibili nel momento storico che, bene o male, e malvolentieri certo,
ci coinvolge irrimediabilmente, tutti aggrovigliandoci in una parola: crisi.
Ma che sia infine benvenuta, nel pianeta arte, a rigor di logica evoluzionista,
questa benedetta setacciatrice di valori, e che finalmente spazzi via
lerciumi e paccottiglie sfinite, trascinandoli lontano, fin nelle asettiche celle
delle memorie perdute. Lasciando il campo all’impegno, al mestiere, alla
costante “applicazione” (c’è addirittura necessità, oggi, di evidenziare una
virtù, indispensabile in ogni circostanza, passata invero di moda e sconosciuta
ai sudditi del parlar vacuo), alla capacità di sentire e dare emozione.
Giuliana Tucci ha alle spalle trent’anni di militanza pittorica (già gli esordi
all’insegna della figurazione rivelano la predilezione per i colori tenui e
pastellati, ed un istintiva facilità nella progettazione dell’impianto scenografico)
una conoscenza profonda delle tecniche (anche calcografiche), una
mano felice nella definizione della linea (lo si nota nei disegni a lapis e carbone su carta spolvero). Dichiara, nella ricerca della forma indeterminata,
nella stesura del colore a pennellate larghe e fluide, nella rincorsa all’alternativa gestuale, malcelate simpatie per quelli che per Konrad Fiedler.
(“Sull’origine dell’attività artistica”, 1887) erano i cardini di un’arte concepita
non come imitazione, né invenzione arbitraria, ma come “creazione”
basata sulle colonne portanti della chiarezza e della libertà, per dar forma
alla “visibilità pura”.
Giuliana Tucci è creatura crepuscolare, apparentemente semplice e
piana; pur tuttavia contrastante e pervicace, orgogliosa e fiera della sua
generosità. Una natura complessa, che riesce a dominare nella ricerca
della forma, dove sa modulare l’istinto, convincerlo (non costringerlo!
sarebbe soffocare la forza demiurgica, umiliare il processo emotivo, svilire
i sensi e la sensibilità, anestetizzare l’energia del pathos) all’accordo con
la materia. Se una nota traspare - quasi come un profumo, una cipria d’iride,
una polvere epidemica - dai suoi dipinti, è quella della malinconia.
Un filo invisibile e resistente, vischioso, contagioso. Ma senza pessimismo,
per carità (e per buona sorte), né rassegnazione. Quella situazione
dell’animo invece che porta a fermarsi un momento a riflettere: su di sé,
su cosa, e chi, abbiamo accanto, intorno. Senza dover prendere decisioni;
ed anche senza a priori, o avventate suscettibilità, fallaci epidermiche
sensazioni.
Quella particolare condizione estetica che Dante cantava come “l’ora che
volge al desio” e Baudelaire identificò nello “spleen”: «Quand le ciel bas et
lourd pèse comme un couvercle / Sur l’esprit gémissant en proie aux
longs ennuis».
Non c’è alcuna contrapposizione di fondo tra la donna e l’artista. Né tensione
o irrequietezza nei suoi quadri, dove muove e vibra un pullulare di
sensazioni continue e inscindibili d’incertezza e di attesa. Traspaiono nella
sua pittura due luci: l’aspetto positivo del processo sincretico delle forze
che generano l’espressione artistica, simbiosi delle tensioni di una personalità
che rivolta senza posa le impressioni per trasformarle in idee, macinandole
come pigmento e sublimandole in azione; esplicandole in gesto
e risolvendole in forme felici di astratta figurazione. Ed il procedere coerente,
alternante calma contemplativa e giochi di emozione: un cammino
attraverso frammenti di paesaggio dove si colgono luci violente e rapprese,
fantasmagoriche nuvolaglie fluttuanti, fronti di rilievi maculati, aliti
umidi di rugiade, cristalli di sorgenti, alchimie stemperate di petali in controluce
ipnotici, impalpabili perlacee sensuali profondità.
Una dialettica che veleggia fra tradizione zavorrante e tormentata contemporaneità,
nel tratto esperto che fluidifica, e si impregna nelle marginature
luminose, e discretamente poi si perde nella dissoluzione in cui va
ad immergersi l’anima.
è propizia ed irrinunciabile, per un curioso insieme di circostanze.
Riassumibili nel momento storico che, bene o male, e malvolentieri certo,
ci coinvolge irrimediabilmente, tutti aggrovigliandoci in una parola: crisi.
Ma che sia infine benvenuta, nel pianeta arte, a rigor di logica evoluzionista,
questa benedetta setacciatrice di valori, e che finalmente spazzi via
lerciumi e paccottiglie sfinite, trascinandoli lontano, fin nelle asettiche celle
delle memorie perdute. Lasciando il campo all’impegno, al mestiere, alla
costante “applicazione” (c’è addirittura necessità, oggi, di evidenziare una
virtù, indispensabile in ogni circostanza, passata invero di moda e sconosciuta
ai sudditi del parlar vacuo), alla capacità di sentire e dare emozione.
Giuliana Tucci ha alle spalle trent’anni di militanza pittorica (già gli esordi
all’insegna della figurazione rivelano la predilezione per i colori tenui e
pastellati, ed un istintiva facilità nella progettazione dell’impianto scenografico)
una conoscenza profonda delle tecniche (anche calcografiche), una
mano felice nella definizione della linea (lo si nota nei disegni a lapis e carbone su carta spolvero). Dichiara, nella ricerca della forma indeterminata,
nella stesura del colore a pennellate larghe e fluide, nella rincorsa all’alternativa gestuale, malcelate simpatie per quelli che per Konrad Fiedler.
(“Sull’origine dell’attività artistica”, 1887) erano i cardini di un’arte concepita
non come imitazione, né invenzione arbitraria, ma come “creazione”
basata sulle colonne portanti della chiarezza e della libertà, per dar forma
alla “visibilità pura”.
Giuliana Tucci è creatura crepuscolare, apparentemente semplice e
piana; pur tuttavia contrastante e pervicace, orgogliosa e fiera della sua
generosità. Una natura complessa, che riesce a dominare nella ricerca
della forma, dove sa modulare l’istinto, convincerlo (non costringerlo!
sarebbe soffocare la forza demiurgica, umiliare il processo emotivo, svilire
i sensi e la sensibilità, anestetizzare l’energia del pathos) all’accordo con
la materia. Se una nota traspare - quasi come un profumo, una cipria d’iride,
una polvere epidemica - dai suoi dipinti, è quella della malinconia.
Un filo invisibile e resistente, vischioso, contagioso. Ma senza pessimismo,
per carità (e per buona sorte), né rassegnazione. Quella situazione
dell’animo invece che porta a fermarsi un momento a riflettere: su di sé,
su cosa, e chi, abbiamo accanto, intorno. Senza dover prendere decisioni;
ed anche senza a priori, o avventate suscettibilità, fallaci epidermiche
sensazioni.
Quella particolare condizione estetica che Dante cantava come “l’ora che
volge al desio” e Baudelaire identificò nello “spleen”: «Quand le ciel bas et
lourd pèse comme un couvercle / Sur l’esprit gémissant en proie aux
longs ennuis».
Non c’è alcuna contrapposizione di fondo tra la donna e l’artista. Né tensione
o irrequietezza nei suoi quadri, dove muove e vibra un pullulare di
sensazioni continue e inscindibili d’incertezza e di attesa. Traspaiono nella
sua pittura due luci: l’aspetto positivo del processo sincretico delle forze
che generano l’espressione artistica, simbiosi delle tensioni di una personalità
che rivolta senza posa le impressioni per trasformarle in idee, macinandole
come pigmento e sublimandole in azione; esplicandole in gesto
e risolvendole in forme felici di astratta figurazione. Ed il procedere coerente,
alternante calma contemplativa e giochi di emozione: un cammino
attraverso frammenti di paesaggio dove si colgono luci violente e rapprese,
fantasmagoriche nuvolaglie fluttuanti, fronti di rilievi maculati, aliti
umidi di rugiade, cristalli di sorgenti, alchimie stemperate di petali in controluce
ipnotici, impalpabili perlacee sensuali profondità.
Una dialettica che veleggia fra tradizione zavorrante e tormentata contemporaneità,
nel tratto esperto che fluidifica, e si impregna nelle marginature
luminose, e discretamente poi si perde nella dissoluzione in cui va
ad immergersi l’anima.
04
marzo 2009
Giuliana Tucci – Spleen
Dal 04 al 21 marzo 2009
arte contemporanea
Location
STUDIO LABORATORIO ANNA VIRANDO
Torino, Corso Giovanni Lanza, 105, (Torino)
Torino, Corso Giovanni Lanza, 105, (Torino)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle 16,30 alle 20,00 Fuori orario su appuntamento
Vernissage
4 Marzo 2009, ore 17,30 - 23,00
Autore
Curatore