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Giuliano Vangi – L’enigma della bellezza
La mostra, composta da sculture e disegni, ospitata alla Gipsoteca canoviana, mette al centro la figura umana ritratta con forti connotazioni esistenziali ed espressionistiche, spesso ponendo il tema della lotta dell’uomo contemporaneo contro le avversità.
Comunicato stampa
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Giovanni Faccenda
L’enigma della bellezza. Il primato di Vangi
«La Bellezza è una manifestazione del genio.
In realtà è più elevata del genio,
perché non ha bisogno di spiegazioni».
O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
Gli ultimi raggi di sole si addormentano fra le onde del mare e i monti della Versilia, in questa giornata tiepida di primavera che scivola lentamente verso sera. Come un prodigio, la luce – una luce madreperlacea, spirituale, diresti persino metafisica – pare indugiare fra le mura silenziose di un grande loft a Pietrasanta, ove, per lunghi periodi ogni anno, medita e lavora, con risultati cospicui, Giuliano Vangi, il più importante e significativo scultore vivente.
Un vessillo per l’Italia nel mondo è questo artista dalle qualità, anche umane, impareggiabili. Spento, tuttavia, il clamore dei suoi successi internazionali (a Mishima, in Giappone, dal 2002 vi è un museo a lui interamente dedicato), ecco Vangi riconquistare la dimensione che più gli è cara nel raccoglimento del suo studio versiliese o in quello di Pesaro, luoghi fecondi di ispirazioni, di ore trascorse a plasmare il gesso o l’argilla, a sfidare il bronzo, oppure a scolpire «quel» marmo che fu di Michelangelo o, ancora, avori e graniti fascinosi estratti a latitudini lontane.
L’opera plastica di Vangi insiste, da sempre, in quei territori misteriosi della materia dove risiede l’enigma della bellezza. Giusto il talento manuale, le fertili risorse immaginifiche, nonché l’infinita sapienza artigianale di un autore che pare già stabile in quell’ideale simposio in cui concorrono i nostri grandi scultori antichi (da Arnolfo di Cambio a Donatello, da Ghiberti a Cellini) possono dischiudere il sipario di simili, vertiginosi orizzonti, al solito sospesi tra etica ed estetica, veduta e visione, realtà e sogno.
Tali apici dell’arte di ogni tempo accolgono oggi Vangi come uno degli ultimi virtuosi in grado di raggiungere altezze e profondità ugualmente remote, spiriti rimasti sconosciuti nel vasto susseguirsi dei secoli, entità – le penseresti, infine, così – nelle quali è facile percepire l’afflato purissimo della verità e il senso ultimo di un enigma che Vangi, magister optimus, ha saputo segretamente svelare.
Questa mostra, resa ancora più suggestiva dal luogo scelto per ospitarla, lungi dall’essere un confronto, anche ideale, con il sommo Antonio Canova, che qui ebbe i natali, intende viceversa proporre una riflessione critica divenuta, nell’attualità, sempre più necessaria e stringente. Il modo in cui, da tempo, certa cosiddetta «arte contemporanea» si è allontanata da ordini secolari, quali il talento, il merito, la bellezza, scambiando il valore di un’opera per il suo prezzo evidentemente opinabile, ha ingenerato una tale confusione della quale scaltri opportunisti e indegni furbetti si sono serviti e ancora si servono come se essa fosse nebbia, spessa, per occultare una miseria intellettuale e creativa dilatatasi, ormai, come una mostruosa voragine.
La figura di Vangi resiste, dunque, come estremo baluardo a una deriva inaccettabile, in particolar modo, al cospetto della sublime tradizione plastica italiana. Pare retorico evocare i nomi, eccelsi, di Michelangelo e Canova, oltre a quelli avanti fatti; certo è che nell’epoca più buia – l’odierna – vissuta dall’arte fin dai suoi primitivi segni nelle grotte rupestri, vien fatto di cercare in Vangi e nei suoi pregiatissimi lavori, pervasi dalla memoria e da oscuri sussulti esistenziali, da temperature interiori ora algide ora ardenti, un ultimo appiglio prima che l’abisso della cialtroneria e del niente fagociti definitivamente ciò che resta delle virtù dell’anima e di una bellezza, anche, «terapeutica».
Firenze, aprile 2014.
L’enigma della bellezza. Il primato di Vangi
«La Bellezza è una manifestazione del genio.
In realtà è più elevata del genio,
perché non ha bisogno di spiegazioni».
O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
Gli ultimi raggi di sole si addormentano fra le onde del mare e i monti della Versilia, in questa giornata tiepida di primavera che scivola lentamente verso sera. Come un prodigio, la luce – una luce madreperlacea, spirituale, diresti persino metafisica – pare indugiare fra le mura silenziose di un grande loft a Pietrasanta, ove, per lunghi periodi ogni anno, medita e lavora, con risultati cospicui, Giuliano Vangi, il più importante e significativo scultore vivente.
Un vessillo per l’Italia nel mondo è questo artista dalle qualità, anche umane, impareggiabili. Spento, tuttavia, il clamore dei suoi successi internazionali (a Mishima, in Giappone, dal 2002 vi è un museo a lui interamente dedicato), ecco Vangi riconquistare la dimensione che più gli è cara nel raccoglimento del suo studio versiliese o in quello di Pesaro, luoghi fecondi di ispirazioni, di ore trascorse a plasmare il gesso o l’argilla, a sfidare il bronzo, oppure a scolpire «quel» marmo che fu di Michelangelo o, ancora, avori e graniti fascinosi estratti a latitudini lontane.
L’opera plastica di Vangi insiste, da sempre, in quei territori misteriosi della materia dove risiede l’enigma della bellezza. Giusto il talento manuale, le fertili risorse immaginifiche, nonché l’infinita sapienza artigianale di un autore che pare già stabile in quell’ideale simposio in cui concorrono i nostri grandi scultori antichi (da Arnolfo di Cambio a Donatello, da Ghiberti a Cellini) possono dischiudere il sipario di simili, vertiginosi orizzonti, al solito sospesi tra etica ed estetica, veduta e visione, realtà e sogno.
Tali apici dell’arte di ogni tempo accolgono oggi Vangi come uno degli ultimi virtuosi in grado di raggiungere altezze e profondità ugualmente remote, spiriti rimasti sconosciuti nel vasto susseguirsi dei secoli, entità – le penseresti, infine, così – nelle quali è facile percepire l’afflato purissimo della verità e il senso ultimo di un enigma che Vangi, magister optimus, ha saputo segretamente svelare.
Questa mostra, resa ancora più suggestiva dal luogo scelto per ospitarla, lungi dall’essere un confronto, anche ideale, con il sommo Antonio Canova, che qui ebbe i natali, intende viceversa proporre una riflessione critica divenuta, nell’attualità, sempre più necessaria e stringente. Il modo in cui, da tempo, certa cosiddetta «arte contemporanea» si è allontanata da ordini secolari, quali il talento, il merito, la bellezza, scambiando il valore di un’opera per il suo prezzo evidentemente opinabile, ha ingenerato una tale confusione della quale scaltri opportunisti e indegni furbetti si sono serviti e ancora si servono come se essa fosse nebbia, spessa, per occultare una miseria intellettuale e creativa dilatatasi, ormai, come una mostruosa voragine.
La figura di Vangi resiste, dunque, come estremo baluardo a una deriva inaccettabile, in particolar modo, al cospetto della sublime tradizione plastica italiana. Pare retorico evocare i nomi, eccelsi, di Michelangelo e Canova, oltre a quelli avanti fatti; certo è che nell’epoca più buia – l’odierna – vissuta dall’arte fin dai suoi primitivi segni nelle grotte rupestri, vien fatto di cercare in Vangi e nei suoi pregiatissimi lavori, pervasi dalla memoria e da oscuri sussulti esistenziali, da temperature interiori ora algide ora ardenti, un ultimo appiglio prima che l’abisso della cialtroneria e del niente fagociti definitivamente ciò che resta delle virtù dell’anima e di una bellezza, anche, «terapeutica».
Firenze, aprile 2014.
11
maggio 2014
Giuliano Vangi – L’enigma della bellezza
Dall'undici maggio al 15 giugno 2014
Location
MUSEO E GIPSOTECA CANOVIANA
Possagno, Via Antonio Canova, 1, (Treviso)
Possagno, Via Antonio Canova, 1, (Treviso)
Biglietti
Intero 10 euro (con ingresso alla Gipsoteca)
Orario di apertura
Tutti i giorni, escluso il lunedì. Orario 9.30 - 18.00.
Vernissage
11 Maggio 2014, h 10
Editore
MONDADORI
Autore
Curatore