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Giulio Conti – Oltre la siepe
Antologia di immagini realizzate dal 2006 al 2012 che completa il discorso sulla fotografia iniziato dall’artista nel 1965 e, fino al 2005, pubblicato nel volume Ex-Camera (Magika 2005). La selezione odierna oltrepassa i confini della rappresentazione del reale, per raggiungere una dimensione “altra”, dove la fotografia non riproduce ma è
Comunicato stampa
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Oltre la siepe
Immagini su immagini come velature su velature, riflessi di una verità oggettiva che diventano
stratificazioni di una nuova visione emozionale. Le recenti opere di Giulio Conti giungono da
lontano, ma con forza invadono la nostra retina, si imprimono nel nostro occhio con una spietata
capacità di penetrazione e ci interrogano in modo indiscriminato. Inconsciamente, cerchiamo subito
di trovare un addentellato, un appiglio, un particolare nel quale riconoscere un brandello di realtà,
quasi una prima tessera del grande mosaico che cerchiamo di ricostruire. Ma quell’alone di verità
assoluta che riecheggia nella tradizionale fotografia comincia qui a scricchiolare, soprattutto quando
la nostra ipotetica “tessera di verità” si confronta con l’intera composizione, quando cioè perde
il suo connotato di frammento di un paesaggio, di un monumento, di una piazza e diviene parte
integrante di un’altra realtà.
Che cosa “sono” allora queste nuove immagini? Che cosa è questa nuova dimensione creata
da Conti se non quella Alterità, da tempo, chiave dell’arte contemporanea? Che differenza
c’è tra un’opera cubista, tracimante di ritagli di giornali e pezzi di stoffa, o un’opera materica,
caratterizzata da stracci e sacchi, o qualunque altra opera d’arte e un’opera di Conti? Tutte partono
da un frammento di verità per creare una nuova e “altra” dimensione. L’unica vera differenza
sta solo nello strumento: nel nostro caso non più pennello, tela, colori o collage, ma macchina
fotografica e Photoshop.
È questa la grande rivoluzione della fotografia d’arte a cavallo tra XX e XXI secolo. Parallelamente
alle categorie storicizzate, dal reportage allo still life, dalle panoramiche ai ritratti e a tutte le
altre specializzazioni, si snoda questo filone che varca i tradizionali confini di giudizio per i quali
la fotografia è mera rappresentazione del reale e si spinge “oltre la siepe”, raggiungendo una
dimensione autonoma, dove la fotografia non riproduce ma è.
Con la serie odierna, Conti parte da scatti effettuati tra il 2006 e il 2012: sono reminiscenze di
edifici romani dal Palazzo della civiltà italiana (EUR) all’Auditorium e al Maxxi, della Tate
Modern di Londra, del Museo Guggenheim di Bilbao, di paesaggi marchigiani, di vedute messinesi,
della rivolta degli Indignados a Roma e di oggetti quotidiani. Poi li ritaglia e li incastona con
straordinaria sapienza e pazienza in un’unica nuova composizione, muovendo il mouse come fa un
direttore d’orchestra con la sua bacchetta.
Decenni di esperienza tra fotogrammi e camera oscura, una “filosofica curiosità” nei confronti
della storia dell’arte, si manifestano nella capacità di Conti di creare un’eccellente perfezione
compositiva finale, nella quale si odono chiaramente echi della pulizia formale di Piet Mondrian,
coniugati con la sintesi semantica di simboli e segni dell’avanguardia russa, soprattutto di El
Lissitsky e M. Fedorovič Larianov.
Un’aura storico-artistica riecheggia in tutta la serie, in numerose opere riscontriamo l’accostamento
di due elementi tra di loro inconciliabili in un contesto discordante che ci inducono a risalire
a un’anima surrealista, di matrice dechirichiana. Ma Conti è fotografo “a tutto tondo”, e non
possiamo limitare la sua produzione a palesi ma limitate affinità con i protagonisti della storia
dell’arte contemporanea; piuttosto è bene ricordare che, prima di questi esiti, il suo “discorso
sulla fotografia” inizia fin dal 1965 e nel corso degli ultimi decenni lo ha visto confrontarsi con
i più significativi generi fotografici, soprattutto reportage e ritrattistica, ottenendo numerosi
premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. È soprattutto la sua apertura alle novità, alla
sperimentazione, è quella volontà di guardare “oltre la siepe” che è la chiave del suo operare. Così
oggi, accanto a una grande maturità, è presente un allargamento di orizzonti che lo avvicina anche
ad alcuni fotografi italiani contemporanei, di generazioni a lui successive. Le prospettive spiazzanti
di questa serie si riallacciano, per certi versi, alla visionarietà di Giacomo Costa, e i riflessi nelle
vetrine alle Plastic Girls di Roberto Bigano. Lo spiccato lirismo di molte opere avvicina Conti
alla Nuova Scuola di Fotografia siciliana, in particolare a Carmelo Bongiorno. Rimaniamo infatti
a contemplare alcune liriche composizioni del nostro artista nelle quali l’oggetto quotidiano viene
decontestualizzato e “sublimato”, come nel caso in cui il banale e polveroso telo che copre una
bancarella diventa, attraverso un sapiente gioco di mouse e colori, una struggente malinconica
elegia o nel caso in cui le “rughe” di umili e maturi peperoni divengono sinuose e sontuose valli
in chiaroscuro. O ancora quando semplici lenzuola al vento trascendono dal mero dato reale e
diventano strofe di una intensa poesia visiva.
Katia Giannetto
Immagini su immagini come velature su velature, riflessi di una verità oggettiva che diventano
stratificazioni di una nuova visione emozionale. Le recenti opere di Giulio Conti giungono da
lontano, ma con forza invadono la nostra retina, si imprimono nel nostro occhio con una spietata
capacità di penetrazione e ci interrogano in modo indiscriminato. Inconsciamente, cerchiamo subito
di trovare un addentellato, un appiglio, un particolare nel quale riconoscere un brandello di realtà,
quasi una prima tessera del grande mosaico che cerchiamo di ricostruire. Ma quell’alone di verità
assoluta che riecheggia nella tradizionale fotografia comincia qui a scricchiolare, soprattutto quando
la nostra ipotetica “tessera di verità” si confronta con l’intera composizione, quando cioè perde
il suo connotato di frammento di un paesaggio, di un monumento, di una piazza e diviene parte
integrante di un’altra realtà.
Che cosa “sono” allora queste nuove immagini? Che cosa è questa nuova dimensione creata
da Conti se non quella Alterità, da tempo, chiave dell’arte contemporanea? Che differenza
c’è tra un’opera cubista, tracimante di ritagli di giornali e pezzi di stoffa, o un’opera materica,
caratterizzata da stracci e sacchi, o qualunque altra opera d’arte e un’opera di Conti? Tutte partono
da un frammento di verità per creare una nuova e “altra” dimensione. L’unica vera differenza
sta solo nello strumento: nel nostro caso non più pennello, tela, colori o collage, ma macchina
fotografica e Photoshop.
È questa la grande rivoluzione della fotografia d’arte a cavallo tra XX e XXI secolo. Parallelamente
alle categorie storicizzate, dal reportage allo still life, dalle panoramiche ai ritratti e a tutte le
altre specializzazioni, si snoda questo filone che varca i tradizionali confini di giudizio per i quali
la fotografia è mera rappresentazione del reale e si spinge “oltre la siepe”, raggiungendo una
dimensione autonoma, dove la fotografia non riproduce ma è.
Con la serie odierna, Conti parte da scatti effettuati tra il 2006 e il 2012: sono reminiscenze di
edifici romani dal Palazzo della civiltà italiana (EUR) all’Auditorium e al Maxxi, della Tate
Modern di Londra, del Museo Guggenheim di Bilbao, di paesaggi marchigiani, di vedute messinesi,
della rivolta degli Indignados a Roma e di oggetti quotidiani. Poi li ritaglia e li incastona con
straordinaria sapienza e pazienza in un’unica nuova composizione, muovendo il mouse come fa un
direttore d’orchestra con la sua bacchetta.
Decenni di esperienza tra fotogrammi e camera oscura, una “filosofica curiosità” nei confronti
della storia dell’arte, si manifestano nella capacità di Conti di creare un’eccellente perfezione
compositiva finale, nella quale si odono chiaramente echi della pulizia formale di Piet Mondrian,
coniugati con la sintesi semantica di simboli e segni dell’avanguardia russa, soprattutto di El
Lissitsky e M. Fedorovič Larianov.
Un’aura storico-artistica riecheggia in tutta la serie, in numerose opere riscontriamo l’accostamento
di due elementi tra di loro inconciliabili in un contesto discordante che ci inducono a risalire
a un’anima surrealista, di matrice dechirichiana. Ma Conti è fotografo “a tutto tondo”, e non
possiamo limitare la sua produzione a palesi ma limitate affinità con i protagonisti della storia
dell’arte contemporanea; piuttosto è bene ricordare che, prima di questi esiti, il suo “discorso
sulla fotografia” inizia fin dal 1965 e nel corso degli ultimi decenni lo ha visto confrontarsi con
i più significativi generi fotografici, soprattutto reportage e ritrattistica, ottenendo numerosi
premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. È soprattutto la sua apertura alle novità, alla
sperimentazione, è quella volontà di guardare “oltre la siepe” che è la chiave del suo operare. Così
oggi, accanto a una grande maturità, è presente un allargamento di orizzonti che lo avvicina anche
ad alcuni fotografi italiani contemporanei, di generazioni a lui successive. Le prospettive spiazzanti
di questa serie si riallacciano, per certi versi, alla visionarietà di Giacomo Costa, e i riflessi nelle
vetrine alle Plastic Girls di Roberto Bigano. Lo spiccato lirismo di molte opere avvicina Conti
alla Nuova Scuola di Fotografia siciliana, in particolare a Carmelo Bongiorno. Rimaniamo infatti
a contemplare alcune liriche composizioni del nostro artista nelle quali l’oggetto quotidiano viene
decontestualizzato e “sublimato”, come nel caso in cui il banale e polveroso telo che copre una
bancarella diventa, attraverso un sapiente gioco di mouse e colori, una struggente malinconica
elegia o nel caso in cui le “rughe” di umili e maturi peperoni divengono sinuose e sontuose valli
in chiaroscuro. O ancora quando semplici lenzuola al vento trascendono dal mero dato reale e
diventano strofe di una intensa poesia visiva.
Katia Giannetto
24
febbraio 2012
Giulio Conti – Oltre la siepe
Dal 24 febbraio al 24 marzo 2012
fotografia
Location
MAGIKA
Messina, Via Placida, 77/79, (Messina)
Messina, Via Placida, 77/79, (Messina)
Orario di apertura
lunedì-venerdì, 9/13 - 15/19.30; sabato e domenica, 9/13. Orari di apertura : 25 febbraio, “IV Notte della cultura di Messina”: 18/22.30
Vernissage
24 Marzo 2012, ore 18.30
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