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Giuseppe Ducrot – La Stanza del Papa
Mostra personale
Comunicato stampa
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Nuntio vobis gaudium magnum: il Papa ritorna nelle sue stanze apostoliche romane. Nelle stanze dell’arte, della tradizione scultorea barocca, nella cultura del bello e del solenne che stupisce e che emoziona.
Papa Francesco ha fatto del togliere la cifra del suo pontificato. Così come egli ha voluto, quale suo primo gesto pubblico, togliersi la stola pontificia dalle spalle, egli ha spogliato l’apparato pontificale della sua solennità. Inseguendo un ideale di semplicità evangelica e francescana, egli si presenta come pastore più che come sacerdote, come vescovo in saio prima che come pontefice in tiara.
Deposte le sue insegne, così come si depone una corazza, egli si offre alla violenza e alla pressione del tempo che scava il volto e stanca il corpo. E’ così che lo coglie Giuseppe Ducrot, nei due grandi, drammatici quanto straordinari ritratti in ceramica smaltata scaturiti da una matrice unica.
La grandezza delle dimensioni dice l’importanza del personaggio; la fatica del suo volto dice la sua umana fragilità e solitudine. Ed è allora che scatta il richiamo di Giuseppe Ducrot, che lo restituisce alle sue stanze apostoliche abbandonate – le stanze dell’arte – memore di una tradizione secolare di artisti, di artigiani, di decoratori, di ceramisti che attraverso generazioni hanno modellato la materia per strapparla alla sua umiltà e cavarne delle forme di eleganza e di bellezza che consolano l’anima e fortificano lo spirito.
E’ questo dialogo secolare tra la storia della Chiesa e la storia dell’arte che Ducrot riannoda con la sua poetica barocca nutrita di memoria e di invenzione. Quel dialogo che nel Novecento si è interrotto a nome di un clamoroso malinteso che ha preteso che agli umili si dovesse parlare con un linguaggio umile. O, peggio ancora, che la fede dovesse adeguarsi al linguaggio codificato e allo stesso tempo indecifrabile dell’arte contemporanea. Allora il simbolo è diventato segno incerto, la pompa chiasso, l’incenso banale profumo. E all’architetto, nell’edificazione delle chiese, si è sostituito il geometra, come il chitarrista all’organista.
Contro tutto ciò, si alza il gesto possente e coraggioso di Ducrot che modella e plasma la materia, la getta e la smalta nel fuoco per riannodare il presente alla memoria di Roma, per ridare all’immaginazione la sua naturale funzione di impressionare e di stupire. Impressionante è la statua in marmo di San Giovanni Battista che Ducrot ha scolpito per Santa Maria degli Angeli, stupefacente il suo San Matteo di tre metri nella chiesa dei Teatini a Monaco di Baviera. Sono statue che parlano lo stesso linguaggio formale dei suoi candelabri, dei suoi vasi, delle sue insegne: un linguaggio che non imita la lingua barocca seicentesca, ma immette nel presente la sua intenzione di catturare nel movimento delle forme e di solidificare nella pasta della ceramica, la fugacità del tempo, il tormento dell’essere, e il suo inesauribile anelito alla bellezza.
Papa Francesco ha fatto del togliere la cifra del suo pontificato. Così come egli ha voluto, quale suo primo gesto pubblico, togliersi la stola pontificia dalle spalle, egli ha spogliato l’apparato pontificale della sua solennità. Inseguendo un ideale di semplicità evangelica e francescana, egli si presenta come pastore più che come sacerdote, come vescovo in saio prima che come pontefice in tiara.
Deposte le sue insegne, così come si depone una corazza, egli si offre alla violenza e alla pressione del tempo che scava il volto e stanca il corpo. E’ così che lo coglie Giuseppe Ducrot, nei due grandi, drammatici quanto straordinari ritratti in ceramica smaltata scaturiti da una matrice unica.
La grandezza delle dimensioni dice l’importanza del personaggio; la fatica del suo volto dice la sua umana fragilità e solitudine. Ed è allora che scatta il richiamo di Giuseppe Ducrot, che lo restituisce alle sue stanze apostoliche abbandonate – le stanze dell’arte – memore di una tradizione secolare di artisti, di artigiani, di decoratori, di ceramisti che attraverso generazioni hanno modellato la materia per strapparla alla sua umiltà e cavarne delle forme di eleganza e di bellezza che consolano l’anima e fortificano lo spirito.
E’ questo dialogo secolare tra la storia della Chiesa e la storia dell’arte che Ducrot riannoda con la sua poetica barocca nutrita di memoria e di invenzione. Quel dialogo che nel Novecento si è interrotto a nome di un clamoroso malinteso che ha preteso che agli umili si dovesse parlare con un linguaggio umile. O, peggio ancora, che la fede dovesse adeguarsi al linguaggio codificato e allo stesso tempo indecifrabile dell’arte contemporanea. Allora il simbolo è diventato segno incerto, la pompa chiasso, l’incenso banale profumo. E all’architetto, nell’edificazione delle chiese, si è sostituito il geometra, come il chitarrista all’organista.
Contro tutto ciò, si alza il gesto possente e coraggioso di Ducrot che modella e plasma la materia, la getta e la smalta nel fuoco per riannodare il presente alla memoria di Roma, per ridare all’immaginazione la sua naturale funzione di impressionare e di stupire. Impressionante è la statua in marmo di San Giovanni Battista che Ducrot ha scolpito per Santa Maria degli Angeli, stupefacente il suo San Matteo di tre metri nella chiesa dei Teatini a Monaco di Baviera. Sono statue che parlano lo stesso linguaggio formale dei suoi candelabri, dei suoi vasi, delle sue insegne: un linguaggio che non imita la lingua barocca seicentesca, ma immette nel presente la sua intenzione di catturare nel movimento delle forme e di solidificare nella pasta della ceramica, la fugacità del tempo, il tormento dell’essere, e il suo inesauribile anelito alla bellezza.
22
novembre 2017
Giuseppe Ducrot – La Stanza del Papa
Dal 22 novembre al 22 dicembre 2017
arte contemporanea
Location
STUDIO GEDDES FRANCHETTI
Roma, Via Del Babuino, 125, (Roma)
Roma, Via Del Babuino, 125, (Roma)
Orario di apertura
su appuntamento
Vernissage
22 Novembre 2017, h 19
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