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Giuseppina e Albina Coroneo – L’opera di due sorelle artiste-artigiane
Le numerose opere esposte racconteranno la straordinaria vitalità artistica di Giuseppina e Albina Coroneo, le due sorelle artigiane che partendo da una piccola bottega cagliaritana conquistarono la scena nazionale con i loro semplici manufatti di ago e filo, arricchiti da un’abilità straordinaria e da una poetica visionaria.
Comunicato stampa
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Sabato 21 novembre alle ore 17 in anteprima per la stampa e alle 18 per il pubblico, al Palazzo Regio in piazza Palazzo 1, a Cagliari, sarà inaugurata la mostra “Coroneo, l’opera di due sorelle artiste-artigiane”. Organizzata dall’associazione Arteficio e curata da Anna Maria Cabras la mostra vedrà la partecipazione del critico d’arte Vittorio Sgarbi, che illustrerà l’opera delle sorelle Coroneo. L’inaugurazione sarà l’occasione per presentare il catalogo editto da Ilisso. Arricchito dai testi critici di Vittorio Sgarbi e Marco Peri e da immagini inedite, rappresenta la prima monografia completa delle due artiste rimaste nascoste nelle pieghe della storia.
Le numerose opere esposte racconteranno la straordinaria vitalità artistica di Giuseppina e Albina Coroneo, le due sorelle artigiane che partendo da una piccola bottega cagliaritana conquistarono la scena nazionale con i loro semplici manufatti di ago e filo, arricchiti da un’abilità straordinaria e da una poetica visionaria.
Nate a Cagliari sul finire dell’Ottocento, le sorelle Coroneo alimentarono la loro arte occupandosi di attività domestiche come il cucito. Mansioni da sempre affidate alle donne che, nelle loro mani, si trasformarono in preziosi manufatti. Carte colorate, ritagli di panno, pezzi di stoffa divennero figure, racconti e quadri di stoffa. Opere d’arte dotate di vita propria, umane e commoventi, create fino agli anni ’60, che suscitarono l’ammirazione di Ubaldo Badas, Eugenio Tavolara e Gio Ponti.
La mostra sarà anche l’occasione per riflettere sul complesso ruolo delle donne all’interno del mondo dell’arte. Le sorelle Coroneo furono infatti tra le protagoniste della scena artistica del secolo scorso partecipando alle esposizioni internazionali di Milano e Firenze. Per questo furono, come scrive il critico Vittorio Sgarbi, “esponenti consapevoli di una ricerca femminile che, in certi anni, era probabilmente più espressiva di quella praticata dalle donne, mimetizzata a tal punto nell’immaginario del mondo maschile da non essere distinguibile da essa”.
L’intero progetto“Coroneo, l’opera di due artiste artigiane” è stato realizzato con il contributo della Provincia di Cagliari, del Comune di Cagliari e della Fondazione del Banco di Sardegna per il catalogo.
La mostra è inserita nel “Progetto Arcipelago Mediterraneo” promossa dal Comune di Cagliari e rappresenterà la Sardegna nel confronto con le altre realtà del Mediterraneo.
Due sorelle artiste-artigiane
La vicenda umana e artistica delle sorelle Coroneo ci appare unica e intrigante, rimasta finora pressoché esclusa dal quadro delle vicende artistiche del Novecento.
Dotate di un talento naturale, raggiunsero senza cercarla una notorietà alla quale non mancarono neppure riconoscimenti e segnalazioni a livello nazionale ma, a causa della loro estrema riservatezza, si mantennero fermamente lontane dal frastuono della popolarità.
Poco interessate ad apparire tantomeno ambivano al riconoscimento in ambito artistico. Ritrosia, unita al completo disinteresse per l’attività a fini di lucro, le loro opere risultano ancora quasi sconosciute e non godono dell’attenzione e considerazione che invece meritano.
Capaci di incantare il pubblico delle mostre e suscitare il vivace interesse persino di artisti affermati, Giuseppina e Albina Coroneo nascono a Cagliari sul finire dell’Ottocento. Prima e secondogenita dei sei figli di una famiglia benestante, hanno abitato dapprima in Castello e poi nel popolare quartiere della Marina, nei pressi del vecchio mercato, oggi distrutto.
Diplomate alla scuola superiore, fatto raro per l’epoca, pur non avendo compiuto studi artistici specifici, fin da giovanissime si divertono a disegnare figurini di moda, ricami, arazzi, pupazzi e oggetti per la casa. Vissero e lavorarono per tutta la vita insieme. Condivisero, da signorine, la casa e il lavoro dando vita a un universo di complicità in cui si è sviluppata tutta la loro originale fantasia.
Un’espressione artistica apparentemente semplice, maturata tra le modeste attività femminili svolte nella quotidianità domestica: carte colorate, ritagli di panno, scampoli di stoffa, ago e filo, che tra le loro abili mani diventavano materia per invenzioni fatte di figure e racconti.
Due donne che si dichiaravano semplici, certamente molto sensibili, che incuranti dei giudizi lusinghieri espressi su di loro da ammiratori d’eccezione quali Giuseppe Biasi, Eugenio Tavolara, Ubaldo Badas, Nicola Valle, Gio Ponti, Ugo Ojetti, si considerarono sempre soltanto «modeste artefici d’ago e di carte colorate», delle artiste-artigiane.
Eppure sono state creatrici straordinarie. Capaci di declinare la loro immaginazione verso ambiti diversi, mostrando di saper alternare registri stilistici ed espressivi distanti.
Quadretti di stoffa e carta
L’atmosfera degli esordi Coroneo è quella del linguaggio internazionale Art Déco: stile che si diffonde in Sardegna attraverso la pittura e la grafica di Giuseppe Biasi, Tarquinio Sini, Primo Sinòpico, Mario Mossa De Murtas, Edina Altara, Pino Melis e Nino Siglienti, con le ceramiche di Melkiorre e Federico Melis, gli arredi della ditta Clemente, i giocattoli di Tosino Anfossi ed Eugenio Tavolara.
Il ricco patrimonio figurativo popolare della Sardegna, con i suoi usi e costumi era il principale centro di interesse di tutta una generazione di artisti così come delle giovani Coroneo. Da questo ambito esse raccolgono un immaginario connotato da rustici caratteri regionali che reinterpretano in una chiave più aperta e cosmopolita.
Ritagliando e ricamando con rara precisione il panno Lenci, le Coroneo danno forma a ritratti di deliziose fanciulle in abito tradizionale. L’espressione del viso è data da un sottilissimo ricamo e le vesti, fortemente rivisitate, sono contraddistinte da un gusto di sintesi che non rinuncia però a meticolose rifiniture. Le soluzioni esecutive combinano qualche volta le stoffe con ritagli di carte colorate, trattate come fossero tessuti preziosi.
Sono piccoli capolavori di leggerezza dei quali si apprezza immediatamente il gusto per il ricamo, la cura per gli orli e le applicazioni dei dettagli minimi capaci di aggiungere un’armonia delicata e originale.
Le Coroneo ritraggono con uno sguardo nuovo i personaggi dell’Isola – specialmente giovanissime fanciulle – rese ancora più belle dalla presenza di un elemento semplice e sempre diverso: un vasetto o una brocca, un mazzolino di fiori colorati, un cestino di frutta, un galletto, una piantina di fico d’india. Particolari che infondono un soffio di vitalità inedito, una grazia candida e ingenua.
Artiste singolari
Nei collage polimaterici eseguiti a quattro mani, è esclusa ogni riflessione individuale delle sorelle, perciò è pressoché impossibile determinare quali elementi attribuire allo stile dell’una o dell’altra. Per questa ragione l’osservatore, pur sapendo che le artiste sono due, ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un’unica mano creatrice, tandem antesignano delle attualissime “coppie creative” alla Gilbert&George.
Occorre tener conto di questa condizione esistenziale, per valutare la loro personale storia e la loro creatività. Giuseppina e Albina erano due anime inseparabili: un braccio e una mente. Due individui affini e complementari nel carattere. Geniale e stravagante Giuseppina, riflessiva e accurata Albina.
La loro firma sulle opere era semplicemente: “Coroneo, cagliari”, quasi un sigillo di fabbrica, senza essere accompagnata da alcun nome proprio di persona.
Il pupazzo
Si racconta che nelle vetrine regionali della sezione E.N.A.P.I. alla Triennale di Milano del 1940, i visitatori costantemente si soffermassero davanti a una bacheca dove erano disposte figurine fatte di panno e cenci vari. I visitatori sostavano per guardare con attenzione i pupazzi delle (sconosciute) sorelle Coroneo di Cagliari. Erano interamente in stoffa, non più alti di 20 cm, non certo bambole da salotto piuttosto all’apparenza semplici soprammobili. Gio Ponti, grande promotore dell’artigianato artistico in Italia, le chiamò qualche anno dopo «piccole cose squisite e drammatiche». Mentre Tavolara, loro grandissimo ammiratore, segnalò «tragiche e umane figurine in stoffa».
La denominazione “pupazzo” sta stretta per questi manufatti che colpiscono immediatamente per la suggestione drammatica che emanano pur nelle minute, coraggiose soluzioni costruttive. In essi non c’è niente di allettante, anzi qualcosa di spiacevole, se non proprio di irritante e sconfortante.
Per le Coroneo il tema del pupazzo sarà sin dagli esordi un campo privilegiato, foriero di sviluppi e futuri successi.
Negli anni Trenta si interessano alla creazione di originali pupazzi in abito tradizionale che riproducono in miniatura i personaggi tipici di tutti i villaggi della Sardegna, uomini e donne. Il tema del “pupazzo in costume tradizionale” era di gran voga in quegli anni e a ciò contribuì il successo internazionale ottenuto dalla bottega artigiana di Tosino Anfossi e Eugenio Tavolara, ATTE, impegnata a Sassari nella costruzione di pupazzi in legno e panno dalla figura stilizzata e caricaturale. Tuttavia alla schematizzazione delle figure ATTE, modellate in legno e destinate alla produzione seriale, le Coroneo oppongono figure realizzate interamente in stoffa, «esemplari interessanti ed unici», come li definì il loro grande estimatore Nicola Valle.
Esse si fecero interpreti di una novità assoluta, introducendo un’osservazione attenta della realtà, raffigurata con deformante esattezza nei suoi tratti fisici e di costume. Al mondo levigato e fortemente sublimato degli esordi, via via subentra la rappresentazione di una realtà sociale emarginata appartenente al mondo popolare urbano. Questa scelta diverrà simbolo e cifra di tutta la loro ricerca.
1940. Silenzio
Per le Coroneo, come per tutto il mondo dell’arte e della cultura, la Seconda Guerra Mondiale interrompe bruscamente una condizione creativa che si era protratta con vitalità nei decenni precedenti, e che le aveva viste esporre a Cagliari, Sassari, Firenze e Milano.
Cessati i suoni, i frastuoni, i drammi del terribile conflitto, la vita doveva continuare. Si riorganizzano le forze e si rianimano le speranze.
Nel 1946, Gio Ponti trasforma un suo accorato articolo in un appello: “Dove sono le sorelle Coroneo?”. E chiamando dalle pagine della rivista Stile, le due sorelle cagliaritane, chiamava idealmente a raccolta tutti gli artigiani artisti d’Italia, tutti i “piccoli maestri” di abilità, di fantasia, di poesia, del cui ingegno l’Italia ha, dopo il dramma della guerra, più che mai bisogno per risollevarsi.
La gravissima trasformazione operata dalla catastrofe della guerra, è per le Coroneo motivo di grande risentimento. Episodio centrale e spartiacque dell’esistenza, la grande guerra segna una forte cesura nella vita e nell’arte delle due sorelle. Nulla cambierà nel rapporto amorevole tra loro ma la fortunata simbiosi artistica si disgiunge. D’ora in avanti, e fino agli anni Settanta, sarà l’estro esclusivo di Giuseppina Coroneo a dedicarsi, per elezione, unicamente alla creazione di pupazzi.
Nasceranno figure che rappresentano soggetti sempre più vecchi e scoraggiati. Opere che sembrano trarre motivazione e forma da un humus di grande e profonda sofferenza individuale. Piccoli sconvolgenti capolavori.
Giuseppina Coroneo
I lavori eseguiti a partire dagli anni Cinquanta non sono semplici modelli caricaturali. Il ritratto della vecchia, del mendicante oppure del povero idiota, oltre la prima apparenza rivelano la potenza di essere esempi assoluti dell’umanità e dei casi della vita, archetipi laidi ma universali.
Ogni “pupazzo”, nonostante la scarna rappresentazione, ha la saldezza inflessibile di un’immagine scolpita. Con la dignità di un bronzetto nuragico.
L’altissimo valore rappresentativo è assecondato dai miseri materiali adoperati nel processo esecutivo: carte veline, tessuti, un po’ di stoppa per le chiome canute, un’anima rinforzata di fil di ferro. La povertà di mezzi è una scelta, un segno scabro che diviene essenzialità. Nessuna ridondanza, nessuna retorica nel cogliere le forme della vita degli ultimi, della fame, della prigionia, delle malattie, della solitudine, della lotta con la pazzia e col dolore.
Personaggi espressi con genialità grazie al linguaggio del simbolo e della metafora, si fortificano della massima compassione dell’autrice, particolarmente sensibile alla vita.
Sentimenti destinati a vivere nell’ombra, vengono illuminati dall’opera di Giuseppina Coroneo che restituisce loro l’identità.
Giuseppina Coroneo trapassa il confine che può separare l’arte applicata dall’arte senza aggettivi e conquista un posto di merito tra quanti hanno saputo far coesistere drammaticità e afflato poetico.
Marco Peri
Biografia
1896
Nasce a Cagliari Giuseppina, due anni dopo, nel 1898 nasce Albina, rispettivamente prima e secondogenita di un nucleo familiare composto da sei figli: quattro sorelle e due fratelli. Il padre Attilio conduce un negozietto di “chincaglierie, mercerie varie e articoli di moda” nella centrale Via Mazzini e si diletta nelle ore libere a accomodare bambole in una stanzetta della casa chiamata “Ospedale della Bambole” . La famiglia vive nel centro di Cagliari, prima in Via Corte d’Appello, nel quartiere Castello, in seguito si trasferisce nel popolare quartiere della Marina, in Via Baylle 39, nei pressi del vecchio mercato civico.
1914/1916
Giuseppina ottiene il diploma all’Istituto Tecnico; Albina consegue il diploma Magistrale. Entrambe terminano regolarmente un corso di studi superiori nel quale non ricevono alcuna formazione artistica.
1918/1919
Albina esegue alcuni figurini di moda, disegni a china acquerellata come modelli per abiti e cappelli che invia alla rivista milanese Mani di fata.
1921
Giuseppina illustra una pagina dedicata alla Pasqua per la rivista romana Tutto pubblicata nel numero del 27 marzo 1921. Gli stravaganti motivi decorativi ricordano lo stile grafico dell’illustratore ligure Antonio Rubino. Nel mese di agosto esce sulla stessa rivista la novella “Il ritorno di Murisku”, con testi e disegni firmati Giuseppina Coronèo.
1929
Giuseppina illustra con la tecnica del collage e illustrazioni al tratto la novella “La madre” e l’articolo “Su fastiggiu”, scritti da Dina Azzolina, pubblicati sulla rivista Mediterranea, rispettivamente nei numeri di aprile e luglio. Lo stile di questi disegni richiama l’inconfondibile gusto Déco che caratterizzava la modernità delle copertine e delle illustrazioni de Il giornalino della Domenica. In maggio partecipano a Cagliari alla I Mostra dell’Artigianato Sardo “Primavera Sarda”, esponendo pupazzi, collage in panno e ricami.
1930
Espongono alcuni lavori a Cagliari alla II Mostra Regionale dell’Artigianato nella sezione “Cuscini e Ricami”.
1931
Partecipano a Cagliari alla “Fiera della bambola in costume sardo”, esponendo pupazzi interamente di stoffa, vestiti con gli abiti tradizionali sardi. Sono presenti a quest’esposizione anche artisti noti come Anfossi e Tavolara, con i celebri pupazzi recentemente premiati alla Mostra Internazionale del Giocattolo di Parigi.
1936
Espongono a Cagliari alla V Mostra Artigiana. Nella prima sala della mostra i lavori delle Coronèo sono presentati accanto a quelli di Ciusa, Ciuffo, Tavolara, Pisano, Bertelli, Pes. In ottobre Ubaldo Badas scrive alle sorelle Coronèo informandole che Nicola Valle le avrebbe visitate per raccogliere un’intervista da pubblicare sulla rivista Mediterranea e le esorta a mostrare al giornalista alcuni tra i lavori più recenti.
1937
Partecipano alla VII Mostra Mercato di Firenze con oggetti ricordo ispirati alla tradizione sarda ripresi sul numero di settembre di Domus.
1938
Nel volume Incontri di Nicola Valle, libro che raccoglie gli scritti e le interviste già pubblicate sulla rivista Mediterranea, dedicati a scrittori, musicisti ed artisti, viene pubblicato un capitolo intitolato: “Coronèo”. L’autore segnala ai lettori un’attività artistica ancora poco nota e presenta «due artiste gentili ed oscure, che nella loro esistenza modesta provano un ostinato piacere a circondarsi di silenzio». Giuseppe Biasi visita le sorelle Coronèo, soffermandosi nel loro appartamento della Marina a Cagliari, comprendendo – come dichiarò a Nicola Valle – quali fossero i loro maestri, la loro fonte d’ispirazione: la gente e la strada.
1939
In aprile espongono a Firenze alla IX Mostra Mercato Nazionale dell’Artigianato. Tra i temi proposti agli espositori c’erano “Le avventure di Pinocchio”, le sorelle Coronèo presentano un “teatrino”, la cui riproduzione fotografica è pubblicata nel numero di luglio della rivista Domus, insieme a una Madonnina con bambino realizzata in legno e raffia. La loro partecipazione accompagna, ancora una volta, quella di Eugenio Tavolara che riceve un premio proponendo una composizione impegnativa composta da una trentina di pezzi, intitolata Storia di Pinocchio. In giugno partecipano a Cagliari alla X Mostra interprovinciale d’arte. Nel comitato esecutivo sono presenti Filippo F**ari, Giovanni Ciusa Romagna, Gavino Tilocca, Cesare Cabras, Eugenio Tavolara. Le Coronèo presentano pupazzi in stoffa «signorilmente atteggiati e disposti» presentati accanto alle opere di Eugenio Tavolara che espone I miliziani (legno e stoffa). A fine agosto espongono a Sassari alla VI Mostra dell’Artigianato e delle piccole industrie della Sardegna. L’arredamento dei locali e la presentazione artistica dei prodotti, sono opera del delegato dell’E.N.A.P.I. per la Sardegna, Ubaldo Badas. I lavori delle sorelle Coronèo consistono in «espressivi pupazzi in stoffa ed altri lavori». Vengono esposti nella seconda sezione della Mostra dedicata alle piccole industrie artistiche, ancora una volta accanto ai pupazzi di Eugenio Tavolara.
1940
Espongono alla Mostra Mercato di Firenze un interessante processione di pupazzi di stoffa e dei piccoli salvagente portafortuna le cui immagini vengono riprese dalla rivista Domus nel numero di settembre. Partecipano alla VII Triennale di Milano nella sezione E.N.A.P.I., curata per la Sardegna da Ubaldo Badas. esponendo diversi pupazzi in stoffa. La partecipazione alla rassegna milanese segna il culmine del successo delle artiste cagliaritane, che ricevono elogi anche dalla stampa nazionale a firma di Ugo Ojetti e Maria Accascina. L’esposizione viene chiusa anticipatamente, a causa degli eventi bellici.
1941
Esce sul numero di maggio di Domus un articolo di Carlo A. Felice intitolato “Il problema commerciale dell’artigianato”, corredato dalla riproduzione fotografica di alcuni uccelli decorativi realizzati in stoffa e paglia dalle sorelle Coronèo su disegno dell’artista-ceramista Nino Strada.
1943
La guerra irrompe su Cagliari, la città resterà distrutta dai bombardamenti in maniera pesantissima. La famiglia Coronèo è costretta a sfollare, la loro casa nel quartiere Marina risulterà saccheggiata.
1946
Giò Ponti firma sulla rivista Stile un articolo intitolato “Dove sono le sorelle Coronèo?” Che comincia così: «Dove sono? Come stanno? Chiamandole, perché ricordiamo le loro piccole cose squisite e drammatiche, che esponemmo alla Triennale, è come se chiamassimo tutti gli artigiani artisti d’Italia. Dove siete? Come state? Siete tutti vivi? Così vi gridiamo perchè vi abbiamo amati». L’articolo è corredato da quattro grandi riproduzioni fotografiche di opere esposte alla VII Triennale: Il cieco e il paralitico, Lo spazzino, L’erede, Continuità della vita. Gli Amici del Libro di Cagliari, pubblicano l’Almanacco letterario ed artistico della Sardegna, in cui la sezione “Le Arti” a cura di Eugenio Tavolara, cita tra i nomi che hanno conquistato buona rinomanza nel campo dell’arte decorativa isolana le sorelle Coronèo, «due sorelle creatrici di un’arte portentosa ed umana». La loro presenza in questo scarno elenco è accompagnata dai nomi di Costantino Nivola, Salvatore Fancello, Giovanni Pintori, Nino Siglienti, Primo Sinòpico, Ubaldo Badas, Tarquinio Sini e Tosino Anfossi. In settembre la rivista Il Convegno, diretta da Nicola Valle, raccoglie un’intervista con le sorelle Coronèo. L’intervista è completata da una riproduzione fotografica de Il cieco e il paralitico, opera esposta alla VII Triennale nel 1940. In questo colloquio si chiarisce un tema che sarà più evidente negli anni futuri, la loro produzione subisce un brusco calo durante gli anni Quaranta, specialmente dopo la guerra, fino ad esaurirsi del tutto tra le mura del negozietto d’antiquariato che apriranno a Cagliari dagli anni Sessanta.
1948
La Camera di Commercio di Sassari incarica Eugenio Tavolara di segnalare i lavori d’artigianato locale meritevoli d’esser inviati alla Fiera di Milano e alla Mostra del Centenario (1848-1948) a Torino. Nel ristretto elenco compaiono per la provincia di Cagliari i pupazzi delle sorelle Coronèo.
1951
Una serie di “pupazzetti in panno” vengono esposti alla IX Triennale di Milano nella sezione E.N.A.P.I. Sulla rivista Il Ponte, nel numero di settembre/ottobre, esce un articolo intitolato “Arte popolare e Artigianato” firmato da Eugenio Tavolara nel quale si tratteggia la situazione degli artigiani nell’isola. Nel sostenere la nascita di un artigianato artistico individuale, cita tra gli altri, Francesco Ciusa, i fratelli Melis, Salvatore Fancello, Nino Siglienti, le sorelle Coronèo «con le loro tragiche e umane figurine di stoffa», e ancora Tosino Anfossi, Ubaldo Badas, Maria Serra, Edina Altara, Enrico Clemente, Giuseppe Silecchia e sottolinea la frattura tra arte e artigianato affermando che gli artisti sardi, scomparsi Anfossi, Ciusa, Fancello e Siglienti, sembrino disinteressarsi sempre più alle attività artigiane.
1954
Partecipano a Milano alla X Triennale delle arti decorative. Il catalogo riporta la presenza delle sorelle Coronèo, sotto l’attività Giocattoli, nella mostra dell’E.N.A.P.I. Espongono una straordinaria scena corale, un gruppo di quattro figure in un momento di vita semplice. Una rappresentazione che si impone per la qualità dei singoli pezzi e per l’invenzione scenica generale.
1956
Partecipano a Sassari, alla I Mostra dell’Artigianato Sardo. Negli spazi del lussuoso Padiglione progettato da Ubaldo Badas, inaugurato in quest’occasione e destinato dalla Regione ad ospitare le rassegne artigiane, si apre una mostra d’alto livello, rilevato anche dalla stampa specializzata e da riviste autorevoli come Domus. L’anno successivo, 1957, la Regione affida ad un apposito ente, l’ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano) il compito di organizzare la rassegna e curare lo sviluppo della produzione e del mercato artigiano. L’ente sarà diretto da Ubaldo Badas ed Eugenio Tavolara. Le sorelle Coronèo non parteciperanno alle successive Mostre dell’Artigianato organizzate dall’ISOLA a Sassari ma i loro pupazzi rimarranno per anni il termine di paragone per giudicare i lavori di altri artigiani (Baingiu Idini, Clara Fancello Clemente, Maria Lai) che si misurano nello stesso campo.
1959
Partecipano a Firenze alla XXIII Mostra mercato Internazionale dell’Artigianato, presentando i loro lavori accanto ai tappeti di Nule e di Dorgali, cestini di Castelsardo, ceramiche oristanesi, scialli ricamati a Oliena, maschere del carnevale di Mamoiada e Ottana. Nella stessa rassegna, nella sala delle Nazioni, sono presenti Gavino Tilocca con una scultura in ceramica e Maria Lai con due pupazzi in tela di sacco. Vittorino Fiori nel commentare su La Nuova Sardegna i pupazzi di un artigiano sassarese, alla IV Mostra dell’artigianato sardo dell’I.S.O.L.A. (1959), afferma: «Personaggi la cui carica espressiva è impressionante come quella non ancora dimenticata delle figurine delle sorelle Coronèo».
Anni ’60
Si trasferiscono a vivere nel Corso Vittorio Emanuele II al n. 117, nel signorile Palazzo Vadilonga, a Cagliari, poco distante dall’attività commerciale che il fratello Gerolamo apre con la liquidazione del lavoro d’impiegato in banca, il negozio d’antiquariato La Barcaccia al civico 103, rimasto in attività sino alla fine degli anni Ottanta. Le sorelle Coronèo, supportate dal fratello Gerolamo che si occupava dell’acquisto della merce, vi lavorano insieme fino alla morte di Giuseppina, avvenuta nel febbraio 1978, trattando soprattutto oggetti legati alla Sardegna: libri, stampe, carte geografiche, argenti e ori del costume sardo, dipinti e arte sacra, cassapanche e arredi vari, connotando ben presto il negozio come un luogo d’incontro frequentato da intellettuali, appassionati antiquari e amici. Isolata tra le mura del negozio, Giuseppina continua a creare con molta passione e una smisurata riservatezza, pupazzi in stoffa, oggetti d’arredamento, biglietti e pergamene augurali come dono per gli amici oppure esposte senza interesse alla vendita.
1963
Nel volume Sardegna, un popolo, una terra, Eugenio Tavolara firma il capitolo dedicato all’Arte antica e moderna, e nel panorama delle arti minori, afferma che dal 1925 al 1940 si svolge la prima fase del risveglio dell’artigianato artistico isolano, per merito di artisti quali Salvatore Fancello, Tosino Anfossi, Nino Siglienti, Giovanni Pintori e le sorelle Coronèo.
1976
Il volume 50 anni di arte decorativa e artigianato in Italia a cura di Paola Frattani e Roberto Badas, edizioni ENAPI, riporta due riproduzioni fotografiche a tutta pagina con la didascalia: «Figure in cartapesta dipinta esposte alla VII e X Triennale delle Arti Decorative a Milano, disegnate ed eseguite dalle sorelle Coronèo di Cagliari».
1978
Nel mese di febbraio muore a 82 anni Giuseppina Coronèo. Nicola Valle scrive per ricordarla su L’Unione Sarda:«È scomparsa – o meglio, si è dileguata – senza farsi notare, senza il consueto seguito dei convenzionali compianti e degli occasionali panegirici; come fosse stata inghiottita da quell’ombra e dal quel silenzio, in cui da viva, aveva preferito trascorrere le sue giornate, quasi adagiandovisi, senza disdegno o ribellione verso il mondo circostante, che pareva offrirle solo immagini di squallore e di sofferenza da redimere socialmente e moralmente. Osservandole e ripensandole con una intensità che è prerogativa dei più dotati, queste immagini si traducevano in opere singolari, a mezza strada tra la pittura e la scultura, tra la deformazione e la trasfigurazione, tra la protesta ed il compatimento. Sentimenti, che – tutti – emergono dalle figurine (il diminutivo si riferisce solo al formato, alle dimensioni) da lei donate ai pochi amici ed ammiratori, ed a quanti lei considerava tali. E poteva giudicarli con quella capacità di discernimento che le derivava dall’intelligenza e dalla sensibilità che le si poteva leggere a prima vista negli occhi e nel lento volgere dello sguardo penetrante». A Cagliari, nel mese di marzo, gli Amici del Libro organizzano una Mostra retrospettiva in memoria di Giuseppina Coronèo. Un gruppo di pittori: Delitala, Fantini, Fois, Palazzi, Cabras-Brundo, Pisano, Sulas, Badas, Sassu, accoglie l’invito dell’Associazione e presenta in mostra, «un’opera propria che valga a confermare l’alta stima ed il generale rimpianto, per la scomparsa della compianta figurinista». Vengono raccolte faticosamente, con la collaborazione degli amici che conservano quel poco che è rimasto di tante opere disperse, 36 opere, soprattutto pupazzi, figurine in stoffa e due collages. La rivista dell’associazione, Il Convegno, dedica il numero di luglio-agosto a Giuseppina Coronèo, realizzando un catalogo della mostra. È questo l’elenco più completo mai pubblicato delle opere dell’artista, arricchito da 25 riproduzioni fotografiche in bianco e nero.
1987
Esce il volume Persone e Personaggi, nel quale Nicola Valle traccia un profilo suggestivo ed appassionato di Giuseppina e descrive minuziosamente i suoi lavori in un brano intitolato: “Giuseppina Coronèo, Una grande forza creatrice che si esprimeva coi mezzi più umili e inconsueti”. Viene definitivamente chiusa La Barcaccia, la bottega antiquaria della famiglia Coronèo nel Corso Vittorio Emanuele 103 a Cagliari.
1994
Muore all’età di 96 anni Albina Coròneo.
2005
A Cagliari, la commissione Pari Opportunità organizza la mostra di artigianato artistico “Donne Artigiane”, intitolata alle sorelle Coronèo. In questa occasione si avvia il primo studio sistematico sul loro lavoro.
2006
Anche a seguito del forte interesse del critico d’arte Vittorio Sgarbi, la Libera Associazione Culturale Arteficio di Cagliari raccoglie una serie di opere da collezioni private e organizza presso la Sala dei Matrimoni del Palazzo Civico una esposizione monografica intitolata “Le sorelle Coronèo”. La Mostra espone una parte della produzione d’artigianato artistico delle sorelle Coronèo, mettendo in rilievo le loro capacità creative e manuali. La nipote Maristella Gulli scrive nella breve nota di presentazione: «Giuseppina e Albina Coronèo nacquero a Cagliari, la prima nel 1896 e la seconda nel 1898. Due personalità dissimili e, ciononostante (o forse proprio per questo), due persone che si complementavano a vicenda e che vissero sempre, fino alla scomparsa di Giuseppina nel 1978, in una straordinaria simbiosi. Entrambe con un diploma di scuola media superiore (fatto piuttosto inconsueto per l’epoca) non intrapresero la via dell’insegnamento, ma scelsero sempre e comunque di esprimersi attraverso la loro creatività e il loro ingegno. Moderne, innovative e poliedriche, produssero modelli e disegni per ricami, collages in tessuto, panno lenci e carta, arazzi, cuscini, figure in panno ma anche caricature per amici e parenti».
2007
Nell’esposizione “L’arte delle donne”, tenutasi al Palazzo Reale di Milano, sono presenti due opere firmate Coronèo. Il catalogo della mostra presenta uno scritto di Vittorio Sgarbi, “Ritratto dell’artista come donna”, in cui il critico rimarca: «In nessun artista, questo piacere educato, questa sublimazione della decorazione, questo rifiuto per il mito dell’artista come ribelle, mi sono apparsi più ricercati e compiuti che nell’impresa delle sorelle Coronèo, chiuse in una bottega di Cagliari a tagliare e a cucire per comporre quadri di stoffa e anche di carta, di implacabile precisione. Impossibile non amarne il gusto per gli orli, per le rifiniture. Arte povera, ma di una povertà amata, più preziosa della ricchezza».
Il catalogo riporta le riproduzioni fotografiche delle opere esposte, due collages in stoffa degli anni Trenta: Bambina con cactus e Bambina con galletto.
Vittorio Sgarbi
Dove non sono le sorelle Coroneo?
Ci sono aspetti, dal punto di vista critico, non ancora chiariti nella vicenda di Giuseppina e Albina Coronèo, le sorelle sarde del Novecento, la cui reputazione non è ancora pari al loro merito. Che le sorelle Coronèo siano ancora delle artiste ragguardevoli, non può essere messo in discussione. Ma in quale ambito collocarle? Si è detto, correttamente, che la loro attività s’inserisce in un più vasto impegno di riabilitazione, in senso creativo e produttivo, delle ricerche artigianali locali, nei nuovi scenari, materiali e culturali, della civiltà industriale. Una riqualificazione che si manifesta in uno “stile collettivo”, condiviso con le arti “maggiori”, investendo le abitudini del quotidiano, secondo una tendenza che appartiene al Modernismo del tardo Ottocento (soprattutto l’esperienza di Arts and Craft).
Ma fino a che punto può essere considerato artigianato, anche in chiave moderna, una produzione che, come è nelle Coronèo, non intrattiene alcun rapporto con la serialità, e si nega al minuto commercio? L’unicità e la non riproducibilità sono tipiche dell’arte, e propriamente dell’arte più libera e nobile, estranea al valore economico. Artigianale può essere ritenuto, semmai, l’impiego di determinati materiali, come il panno, la carta, il ricamo, lo spago, il fil di ferro, con i quali le Coronèo, muovendosi in una direzione espressiva “povera” e “precaria”, in cui il risultato finale si esalta tanto più quanto più dimessa è la situazione di partenza, realizzavano le loro creazioni, solo convenzionalmente definibili “pupazzi”.
Negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta del secolo scorso, i materiali rientravano nell’ambito della produzione artigianale; ma già negli ultimi anni di vita di Giuseppina, le stesse materie erano entrate a pieno titolo, e il confine dell’arte “maggiore” con quella applicata era molto più labile, e i materiali poveri usati in modo innovativo dalle Avanguardie, secondo motivazioni peculiari come l’unicità, la non commerciabilità, il recupero di una natura diretta “rude”, della materia che trovano corrispondenza con le intenzioni delle sorelle cagliaritane, malgrado la totale diversità dei risultati. Non è certo il caso di interpretare il sofisticato gusto delle Coronèo come un’anticipazione dell’Arte Povera, ma qualche cosa, nel compiacimento di riciclare materie di poco conto, fondi di ripostiglio, stoffe recuperate in un cassetto, potrebbe suggerirlo. Il riferimento all’Arte Povera è pertinente per altri versi. L’impiego di materiali anomali, anche attraverso il riuso, comporta che le opere così realizzate non siano classificabili nell’ambito delle discipline artistiche canoniche. Un’opera di stoffa di Alighiero Boetti non può essere ritenuta una pittura, né una scultura, a cui, pure, potrebbe più assomigliare. È opera anfibia, lavoro “concretizzato”, in cui la componente concettuale, ai fini del suo significato, è non meno determinante di quella materiale.
E se l’aspetto concettuale nelle Coronèo è irrilevante, apre la strada alla classificazione della tipologia delle loro opere. Sono opere con precise finalità artistiche. Se volessimo indicarne le maggiori affinità con le discipline tradizionali, si potrebbe dire che si tratta di sculture “morbide”, per via dell’uso prevalente del tessuto. Se invece volessimo farci capire subito, potremmo adottare la definizione di “pupazzi”, a patto che si vogliano appunto intendere come creazioni artistiche in materiali morbidi, assemblati attraverso il cucito. L’importante è accordarsi sulla loro ambizione alta, sul “dove non sono collocabili”, parafrasando il titolo dell’articolo con cui Gio Ponti, nel 1946, proponeva all’attenzione nazionale le Coronèo, piuttosto che sul “dove sono”. Altro punto da chiarire è il rapporto che l’arte delle Coronèo ha con il cucito, tradizionale mansione femminile, e, attraverso di esso, con l’immaginario espressivo delle donne sarde, e non solo. In altri termini, occorre stabilire fino a che punto l’arte delle Coronèo può considerarsi prettamente femminile. Non c’è dubbio che l’aver impiegato, in modo esclusivo, tecniche di tipica pertinenza domestica, con la chiara volontà di attribuire loro finalità espressive diverse da quelle artigianali, in linea con quelle normalmente riconosciute alle arti “maggiori”, fa delle Coronèo esponenti consapevoli di una ricerca femminile che, in certi anni, era probabilmente più espressiva di quella praticata dalle donne, mimetizzata a tal punto nell’immaginario del mondo maschile da non essere distinguibile da essa. Allo stesso modo, il ricorso a un archetipo dell’infanzia femminile, la bambola, ovvero le immagini dell’universo simbolico con cui le bambine, attraverso il gioco e la fantasia, si confrontano da adulte, presuppone un legame di tipo psicanalitico prima ancora che espressivo, con l’immaginario femminile.
Ma i “pupazzi” delle Coronèo non sono solo bambole, sono anche, soprattutto, “bamboli”; né sono giocattoli per bambini, perché nella maggior parte dei casi rispecchiano un mondo che è diventato adulto in modo parossistico, non escludendo la vecchiaia e la sofferenza, in forme assai lontane dalla spensieratezza infantile. In ciò consiste la dimensione universale, extrafemminile, delle Coronèo: nel riferirsi, cioè, a una condizione dell’uomo, dominata dall’insensatezza e dal dolore, in un pessimismo cosmico che solo raramente è attraversato da qualche brivido di ironia. Il tutto accentuato, grottescamente, dall’esprimersi attraverso forme simboliche che esemplificano al meglio, nel momento stesso in cui diventano arte e non più gioco, la distanza irrecuperabile con l’infanzia, ovvero con la fase della nostra vita più legata all’illusione della felicità. Ogni vita adulta è il tradimento dell’infanzia, il soffocamento forzato del fanciullino pascoliano che è ancora dentro di noi. Un fanciullino a cui le Coronèo non intendono all’apparenza rinunciare, anche se non può nascondere il suo disincanto, straziato, confrontandosi con la difficile realtà. Non si scherza, con i “pupazzi” delle sorelle Coronèo.
* Dal testo in catalogo ILISSO Edizioni
Le numerose opere esposte racconteranno la straordinaria vitalità artistica di Giuseppina e Albina Coroneo, le due sorelle artigiane che partendo da una piccola bottega cagliaritana conquistarono la scena nazionale con i loro semplici manufatti di ago e filo, arricchiti da un’abilità straordinaria e da una poetica visionaria.
Nate a Cagliari sul finire dell’Ottocento, le sorelle Coroneo alimentarono la loro arte occupandosi di attività domestiche come il cucito. Mansioni da sempre affidate alle donne che, nelle loro mani, si trasformarono in preziosi manufatti. Carte colorate, ritagli di panno, pezzi di stoffa divennero figure, racconti e quadri di stoffa. Opere d’arte dotate di vita propria, umane e commoventi, create fino agli anni ’60, che suscitarono l’ammirazione di Ubaldo Badas, Eugenio Tavolara e Gio Ponti.
La mostra sarà anche l’occasione per riflettere sul complesso ruolo delle donne all’interno del mondo dell’arte. Le sorelle Coroneo furono infatti tra le protagoniste della scena artistica del secolo scorso partecipando alle esposizioni internazionali di Milano e Firenze. Per questo furono, come scrive il critico Vittorio Sgarbi, “esponenti consapevoli di una ricerca femminile che, in certi anni, era probabilmente più espressiva di quella praticata dalle donne, mimetizzata a tal punto nell’immaginario del mondo maschile da non essere distinguibile da essa”.
L’intero progetto“Coroneo, l’opera di due artiste artigiane” è stato realizzato con il contributo della Provincia di Cagliari, del Comune di Cagliari e della Fondazione del Banco di Sardegna per il catalogo.
La mostra è inserita nel “Progetto Arcipelago Mediterraneo” promossa dal Comune di Cagliari e rappresenterà la Sardegna nel confronto con le altre realtà del Mediterraneo.
Due sorelle artiste-artigiane
La vicenda umana e artistica delle sorelle Coroneo ci appare unica e intrigante, rimasta finora pressoché esclusa dal quadro delle vicende artistiche del Novecento.
Dotate di un talento naturale, raggiunsero senza cercarla una notorietà alla quale non mancarono neppure riconoscimenti e segnalazioni a livello nazionale ma, a causa della loro estrema riservatezza, si mantennero fermamente lontane dal frastuono della popolarità.
Poco interessate ad apparire tantomeno ambivano al riconoscimento in ambito artistico. Ritrosia, unita al completo disinteresse per l’attività a fini di lucro, le loro opere risultano ancora quasi sconosciute e non godono dell’attenzione e considerazione che invece meritano.
Capaci di incantare il pubblico delle mostre e suscitare il vivace interesse persino di artisti affermati, Giuseppina e Albina Coroneo nascono a Cagliari sul finire dell’Ottocento. Prima e secondogenita dei sei figli di una famiglia benestante, hanno abitato dapprima in Castello e poi nel popolare quartiere della Marina, nei pressi del vecchio mercato, oggi distrutto.
Diplomate alla scuola superiore, fatto raro per l’epoca, pur non avendo compiuto studi artistici specifici, fin da giovanissime si divertono a disegnare figurini di moda, ricami, arazzi, pupazzi e oggetti per la casa. Vissero e lavorarono per tutta la vita insieme. Condivisero, da signorine, la casa e il lavoro dando vita a un universo di complicità in cui si è sviluppata tutta la loro originale fantasia.
Un’espressione artistica apparentemente semplice, maturata tra le modeste attività femminili svolte nella quotidianità domestica: carte colorate, ritagli di panno, scampoli di stoffa, ago e filo, che tra le loro abili mani diventavano materia per invenzioni fatte di figure e racconti.
Due donne che si dichiaravano semplici, certamente molto sensibili, che incuranti dei giudizi lusinghieri espressi su di loro da ammiratori d’eccezione quali Giuseppe Biasi, Eugenio Tavolara, Ubaldo Badas, Nicola Valle, Gio Ponti, Ugo Ojetti, si considerarono sempre soltanto «modeste artefici d’ago e di carte colorate», delle artiste-artigiane.
Eppure sono state creatrici straordinarie. Capaci di declinare la loro immaginazione verso ambiti diversi, mostrando di saper alternare registri stilistici ed espressivi distanti.
Quadretti di stoffa e carta
L’atmosfera degli esordi Coroneo è quella del linguaggio internazionale Art Déco: stile che si diffonde in Sardegna attraverso la pittura e la grafica di Giuseppe Biasi, Tarquinio Sini, Primo Sinòpico, Mario Mossa De Murtas, Edina Altara, Pino Melis e Nino Siglienti, con le ceramiche di Melkiorre e Federico Melis, gli arredi della ditta Clemente, i giocattoli di Tosino Anfossi ed Eugenio Tavolara.
Il ricco patrimonio figurativo popolare della Sardegna, con i suoi usi e costumi era il principale centro di interesse di tutta una generazione di artisti così come delle giovani Coroneo. Da questo ambito esse raccolgono un immaginario connotato da rustici caratteri regionali che reinterpretano in una chiave più aperta e cosmopolita.
Ritagliando e ricamando con rara precisione il panno Lenci, le Coroneo danno forma a ritratti di deliziose fanciulle in abito tradizionale. L’espressione del viso è data da un sottilissimo ricamo e le vesti, fortemente rivisitate, sono contraddistinte da un gusto di sintesi che non rinuncia però a meticolose rifiniture. Le soluzioni esecutive combinano qualche volta le stoffe con ritagli di carte colorate, trattate come fossero tessuti preziosi.
Sono piccoli capolavori di leggerezza dei quali si apprezza immediatamente il gusto per il ricamo, la cura per gli orli e le applicazioni dei dettagli minimi capaci di aggiungere un’armonia delicata e originale.
Le Coroneo ritraggono con uno sguardo nuovo i personaggi dell’Isola – specialmente giovanissime fanciulle – rese ancora più belle dalla presenza di un elemento semplice e sempre diverso: un vasetto o una brocca, un mazzolino di fiori colorati, un cestino di frutta, un galletto, una piantina di fico d’india. Particolari che infondono un soffio di vitalità inedito, una grazia candida e ingenua.
Artiste singolari
Nei collage polimaterici eseguiti a quattro mani, è esclusa ogni riflessione individuale delle sorelle, perciò è pressoché impossibile determinare quali elementi attribuire allo stile dell’una o dell’altra. Per questa ragione l’osservatore, pur sapendo che le artiste sono due, ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un’unica mano creatrice, tandem antesignano delle attualissime “coppie creative” alla Gilbert&George.
Occorre tener conto di questa condizione esistenziale, per valutare la loro personale storia e la loro creatività. Giuseppina e Albina erano due anime inseparabili: un braccio e una mente. Due individui affini e complementari nel carattere. Geniale e stravagante Giuseppina, riflessiva e accurata Albina.
La loro firma sulle opere era semplicemente: “Coroneo, cagliari”, quasi un sigillo di fabbrica, senza essere accompagnata da alcun nome proprio di persona.
Il pupazzo
Si racconta che nelle vetrine regionali della sezione E.N.A.P.I. alla Triennale di Milano del 1940, i visitatori costantemente si soffermassero davanti a una bacheca dove erano disposte figurine fatte di panno e cenci vari. I visitatori sostavano per guardare con attenzione i pupazzi delle (sconosciute) sorelle Coroneo di Cagliari. Erano interamente in stoffa, non più alti di 20 cm, non certo bambole da salotto piuttosto all’apparenza semplici soprammobili. Gio Ponti, grande promotore dell’artigianato artistico in Italia, le chiamò qualche anno dopo «piccole cose squisite e drammatiche». Mentre Tavolara, loro grandissimo ammiratore, segnalò «tragiche e umane figurine in stoffa».
La denominazione “pupazzo” sta stretta per questi manufatti che colpiscono immediatamente per la suggestione drammatica che emanano pur nelle minute, coraggiose soluzioni costruttive. In essi non c’è niente di allettante, anzi qualcosa di spiacevole, se non proprio di irritante e sconfortante.
Per le Coroneo il tema del pupazzo sarà sin dagli esordi un campo privilegiato, foriero di sviluppi e futuri successi.
Negli anni Trenta si interessano alla creazione di originali pupazzi in abito tradizionale che riproducono in miniatura i personaggi tipici di tutti i villaggi della Sardegna, uomini e donne. Il tema del “pupazzo in costume tradizionale” era di gran voga in quegli anni e a ciò contribuì il successo internazionale ottenuto dalla bottega artigiana di Tosino Anfossi e Eugenio Tavolara, ATTE, impegnata a Sassari nella costruzione di pupazzi in legno e panno dalla figura stilizzata e caricaturale. Tuttavia alla schematizzazione delle figure ATTE, modellate in legno e destinate alla produzione seriale, le Coroneo oppongono figure realizzate interamente in stoffa, «esemplari interessanti ed unici», come li definì il loro grande estimatore Nicola Valle.
Esse si fecero interpreti di una novità assoluta, introducendo un’osservazione attenta della realtà, raffigurata con deformante esattezza nei suoi tratti fisici e di costume. Al mondo levigato e fortemente sublimato degli esordi, via via subentra la rappresentazione di una realtà sociale emarginata appartenente al mondo popolare urbano. Questa scelta diverrà simbolo e cifra di tutta la loro ricerca.
1940. Silenzio
Per le Coroneo, come per tutto il mondo dell’arte e della cultura, la Seconda Guerra Mondiale interrompe bruscamente una condizione creativa che si era protratta con vitalità nei decenni precedenti, e che le aveva viste esporre a Cagliari, Sassari, Firenze e Milano.
Cessati i suoni, i frastuoni, i drammi del terribile conflitto, la vita doveva continuare. Si riorganizzano le forze e si rianimano le speranze.
Nel 1946, Gio Ponti trasforma un suo accorato articolo in un appello: “Dove sono le sorelle Coroneo?”. E chiamando dalle pagine della rivista Stile, le due sorelle cagliaritane, chiamava idealmente a raccolta tutti gli artigiani artisti d’Italia, tutti i “piccoli maestri” di abilità, di fantasia, di poesia, del cui ingegno l’Italia ha, dopo il dramma della guerra, più che mai bisogno per risollevarsi.
La gravissima trasformazione operata dalla catastrofe della guerra, è per le Coroneo motivo di grande risentimento. Episodio centrale e spartiacque dell’esistenza, la grande guerra segna una forte cesura nella vita e nell’arte delle due sorelle. Nulla cambierà nel rapporto amorevole tra loro ma la fortunata simbiosi artistica si disgiunge. D’ora in avanti, e fino agli anni Settanta, sarà l’estro esclusivo di Giuseppina Coroneo a dedicarsi, per elezione, unicamente alla creazione di pupazzi.
Nasceranno figure che rappresentano soggetti sempre più vecchi e scoraggiati. Opere che sembrano trarre motivazione e forma da un humus di grande e profonda sofferenza individuale. Piccoli sconvolgenti capolavori.
Giuseppina Coroneo
I lavori eseguiti a partire dagli anni Cinquanta non sono semplici modelli caricaturali. Il ritratto della vecchia, del mendicante oppure del povero idiota, oltre la prima apparenza rivelano la potenza di essere esempi assoluti dell’umanità e dei casi della vita, archetipi laidi ma universali.
Ogni “pupazzo”, nonostante la scarna rappresentazione, ha la saldezza inflessibile di un’immagine scolpita. Con la dignità di un bronzetto nuragico.
L’altissimo valore rappresentativo è assecondato dai miseri materiali adoperati nel processo esecutivo: carte veline, tessuti, un po’ di stoppa per le chiome canute, un’anima rinforzata di fil di ferro. La povertà di mezzi è una scelta, un segno scabro che diviene essenzialità. Nessuna ridondanza, nessuna retorica nel cogliere le forme della vita degli ultimi, della fame, della prigionia, delle malattie, della solitudine, della lotta con la pazzia e col dolore.
Personaggi espressi con genialità grazie al linguaggio del simbolo e della metafora, si fortificano della massima compassione dell’autrice, particolarmente sensibile alla vita.
Sentimenti destinati a vivere nell’ombra, vengono illuminati dall’opera di Giuseppina Coroneo che restituisce loro l’identità.
Giuseppina Coroneo trapassa il confine che può separare l’arte applicata dall’arte senza aggettivi e conquista un posto di merito tra quanti hanno saputo far coesistere drammaticità e afflato poetico.
Marco Peri
Biografia
1896
Nasce a Cagliari Giuseppina, due anni dopo, nel 1898 nasce Albina, rispettivamente prima e secondogenita di un nucleo familiare composto da sei figli: quattro sorelle e due fratelli. Il padre Attilio conduce un negozietto di “chincaglierie, mercerie varie e articoli di moda” nella centrale Via Mazzini e si diletta nelle ore libere a accomodare bambole in una stanzetta della casa chiamata “Ospedale della Bambole” . La famiglia vive nel centro di Cagliari, prima in Via Corte d’Appello, nel quartiere Castello, in seguito si trasferisce nel popolare quartiere della Marina, in Via Baylle 39, nei pressi del vecchio mercato civico.
1914/1916
Giuseppina ottiene il diploma all’Istituto Tecnico; Albina consegue il diploma Magistrale. Entrambe terminano regolarmente un corso di studi superiori nel quale non ricevono alcuna formazione artistica.
1918/1919
Albina esegue alcuni figurini di moda, disegni a china acquerellata come modelli per abiti e cappelli che invia alla rivista milanese Mani di fata.
1921
Giuseppina illustra una pagina dedicata alla Pasqua per la rivista romana Tutto pubblicata nel numero del 27 marzo 1921. Gli stravaganti motivi decorativi ricordano lo stile grafico dell’illustratore ligure Antonio Rubino. Nel mese di agosto esce sulla stessa rivista la novella “Il ritorno di Murisku”, con testi e disegni firmati Giuseppina Coronèo.
1929
Giuseppina illustra con la tecnica del collage e illustrazioni al tratto la novella “La madre” e l’articolo “Su fastiggiu”, scritti da Dina Azzolina, pubblicati sulla rivista Mediterranea, rispettivamente nei numeri di aprile e luglio. Lo stile di questi disegni richiama l’inconfondibile gusto Déco che caratterizzava la modernità delle copertine e delle illustrazioni de Il giornalino della Domenica. In maggio partecipano a Cagliari alla I Mostra dell’Artigianato Sardo “Primavera Sarda”, esponendo pupazzi, collage in panno e ricami.
1930
Espongono alcuni lavori a Cagliari alla II Mostra Regionale dell’Artigianato nella sezione “Cuscini e Ricami”.
1931
Partecipano a Cagliari alla “Fiera della bambola in costume sardo”, esponendo pupazzi interamente di stoffa, vestiti con gli abiti tradizionali sardi. Sono presenti a quest’esposizione anche artisti noti come Anfossi e Tavolara, con i celebri pupazzi recentemente premiati alla Mostra Internazionale del Giocattolo di Parigi.
1936
Espongono a Cagliari alla V Mostra Artigiana. Nella prima sala della mostra i lavori delle Coronèo sono presentati accanto a quelli di Ciusa, Ciuffo, Tavolara, Pisano, Bertelli, Pes. In ottobre Ubaldo Badas scrive alle sorelle Coronèo informandole che Nicola Valle le avrebbe visitate per raccogliere un’intervista da pubblicare sulla rivista Mediterranea e le esorta a mostrare al giornalista alcuni tra i lavori più recenti.
1937
Partecipano alla VII Mostra Mercato di Firenze con oggetti ricordo ispirati alla tradizione sarda ripresi sul numero di settembre di Domus.
1938
Nel volume Incontri di Nicola Valle, libro che raccoglie gli scritti e le interviste già pubblicate sulla rivista Mediterranea, dedicati a scrittori, musicisti ed artisti, viene pubblicato un capitolo intitolato: “Coronèo”. L’autore segnala ai lettori un’attività artistica ancora poco nota e presenta «due artiste gentili ed oscure, che nella loro esistenza modesta provano un ostinato piacere a circondarsi di silenzio». Giuseppe Biasi visita le sorelle Coronèo, soffermandosi nel loro appartamento della Marina a Cagliari, comprendendo – come dichiarò a Nicola Valle – quali fossero i loro maestri, la loro fonte d’ispirazione: la gente e la strada.
1939
In aprile espongono a Firenze alla IX Mostra Mercato Nazionale dell’Artigianato. Tra i temi proposti agli espositori c’erano “Le avventure di Pinocchio”, le sorelle Coronèo presentano un “teatrino”, la cui riproduzione fotografica è pubblicata nel numero di luglio della rivista Domus, insieme a una Madonnina con bambino realizzata in legno e raffia. La loro partecipazione accompagna, ancora una volta, quella di Eugenio Tavolara che riceve un premio proponendo una composizione impegnativa composta da una trentina di pezzi, intitolata Storia di Pinocchio. In giugno partecipano a Cagliari alla X Mostra interprovinciale d’arte. Nel comitato esecutivo sono presenti Filippo F**ari, Giovanni Ciusa Romagna, Gavino Tilocca, Cesare Cabras, Eugenio Tavolara. Le Coronèo presentano pupazzi in stoffa «signorilmente atteggiati e disposti» presentati accanto alle opere di Eugenio Tavolara che espone I miliziani (legno e stoffa). A fine agosto espongono a Sassari alla VI Mostra dell’Artigianato e delle piccole industrie della Sardegna. L’arredamento dei locali e la presentazione artistica dei prodotti, sono opera del delegato dell’E.N.A.P.I. per la Sardegna, Ubaldo Badas. I lavori delle sorelle Coronèo consistono in «espressivi pupazzi in stoffa ed altri lavori». Vengono esposti nella seconda sezione della Mostra dedicata alle piccole industrie artistiche, ancora una volta accanto ai pupazzi di Eugenio Tavolara.
1940
Espongono alla Mostra Mercato di Firenze un interessante processione di pupazzi di stoffa e dei piccoli salvagente portafortuna le cui immagini vengono riprese dalla rivista Domus nel numero di settembre. Partecipano alla VII Triennale di Milano nella sezione E.N.A.P.I., curata per la Sardegna da Ubaldo Badas. esponendo diversi pupazzi in stoffa. La partecipazione alla rassegna milanese segna il culmine del successo delle artiste cagliaritane, che ricevono elogi anche dalla stampa nazionale a firma di Ugo Ojetti e Maria Accascina. L’esposizione viene chiusa anticipatamente, a causa degli eventi bellici.
1941
Esce sul numero di maggio di Domus un articolo di Carlo A. Felice intitolato “Il problema commerciale dell’artigianato”, corredato dalla riproduzione fotografica di alcuni uccelli decorativi realizzati in stoffa e paglia dalle sorelle Coronèo su disegno dell’artista-ceramista Nino Strada.
1943
La guerra irrompe su Cagliari, la città resterà distrutta dai bombardamenti in maniera pesantissima. La famiglia Coronèo è costretta a sfollare, la loro casa nel quartiere Marina risulterà saccheggiata.
1946
Giò Ponti firma sulla rivista Stile un articolo intitolato “Dove sono le sorelle Coronèo?” Che comincia così: «Dove sono? Come stanno? Chiamandole, perché ricordiamo le loro piccole cose squisite e drammatiche, che esponemmo alla Triennale, è come se chiamassimo tutti gli artigiani artisti d’Italia. Dove siete? Come state? Siete tutti vivi? Così vi gridiamo perchè vi abbiamo amati». L’articolo è corredato da quattro grandi riproduzioni fotografiche di opere esposte alla VII Triennale: Il cieco e il paralitico, Lo spazzino, L’erede, Continuità della vita. Gli Amici del Libro di Cagliari, pubblicano l’Almanacco letterario ed artistico della Sardegna, in cui la sezione “Le Arti” a cura di Eugenio Tavolara, cita tra i nomi che hanno conquistato buona rinomanza nel campo dell’arte decorativa isolana le sorelle Coronèo, «due sorelle creatrici di un’arte portentosa ed umana». La loro presenza in questo scarno elenco è accompagnata dai nomi di Costantino Nivola, Salvatore Fancello, Giovanni Pintori, Nino Siglienti, Primo Sinòpico, Ubaldo Badas, Tarquinio Sini e Tosino Anfossi. In settembre la rivista Il Convegno, diretta da Nicola Valle, raccoglie un’intervista con le sorelle Coronèo. L’intervista è completata da una riproduzione fotografica de Il cieco e il paralitico, opera esposta alla VII Triennale nel 1940. In questo colloquio si chiarisce un tema che sarà più evidente negli anni futuri, la loro produzione subisce un brusco calo durante gli anni Quaranta, specialmente dopo la guerra, fino ad esaurirsi del tutto tra le mura del negozietto d’antiquariato che apriranno a Cagliari dagli anni Sessanta.
1948
La Camera di Commercio di Sassari incarica Eugenio Tavolara di segnalare i lavori d’artigianato locale meritevoli d’esser inviati alla Fiera di Milano e alla Mostra del Centenario (1848-1948) a Torino. Nel ristretto elenco compaiono per la provincia di Cagliari i pupazzi delle sorelle Coronèo.
1951
Una serie di “pupazzetti in panno” vengono esposti alla IX Triennale di Milano nella sezione E.N.A.P.I. Sulla rivista Il Ponte, nel numero di settembre/ottobre, esce un articolo intitolato “Arte popolare e Artigianato” firmato da Eugenio Tavolara nel quale si tratteggia la situazione degli artigiani nell’isola. Nel sostenere la nascita di un artigianato artistico individuale, cita tra gli altri, Francesco Ciusa, i fratelli Melis, Salvatore Fancello, Nino Siglienti, le sorelle Coronèo «con le loro tragiche e umane figurine di stoffa», e ancora Tosino Anfossi, Ubaldo Badas, Maria Serra, Edina Altara, Enrico Clemente, Giuseppe Silecchia e sottolinea la frattura tra arte e artigianato affermando che gli artisti sardi, scomparsi Anfossi, Ciusa, Fancello e Siglienti, sembrino disinteressarsi sempre più alle attività artigiane.
1954
Partecipano a Milano alla X Triennale delle arti decorative. Il catalogo riporta la presenza delle sorelle Coronèo, sotto l’attività Giocattoli, nella mostra dell’E.N.A.P.I. Espongono una straordinaria scena corale, un gruppo di quattro figure in un momento di vita semplice. Una rappresentazione che si impone per la qualità dei singoli pezzi e per l’invenzione scenica generale.
1956
Partecipano a Sassari, alla I Mostra dell’Artigianato Sardo. Negli spazi del lussuoso Padiglione progettato da Ubaldo Badas, inaugurato in quest’occasione e destinato dalla Regione ad ospitare le rassegne artigiane, si apre una mostra d’alto livello, rilevato anche dalla stampa specializzata e da riviste autorevoli come Domus. L’anno successivo, 1957, la Regione affida ad un apposito ente, l’ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano) il compito di organizzare la rassegna e curare lo sviluppo della produzione e del mercato artigiano. L’ente sarà diretto da Ubaldo Badas ed Eugenio Tavolara. Le sorelle Coronèo non parteciperanno alle successive Mostre dell’Artigianato organizzate dall’ISOLA a Sassari ma i loro pupazzi rimarranno per anni il termine di paragone per giudicare i lavori di altri artigiani (Baingiu Idini, Clara Fancello Clemente, Maria Lai) che si misurano nello stesso campo.
1959
Partecipano a Firenze alla XXIII Mostra mercato Internazionale dell’Artigianato, presentando i loro lavori accanto ai tappeti di Nule e di Dorgali, cestini di Castelsardo, ceramiche oristanesi, scialli ricamati a Oliena, maschere del carnevale di Mamoiada e Ottana. Nella stessa rassegna, nella sala delle Nazioni, sono presenti Gavino Tilocca con una scultura in ceramica e Maria Lai con due pupazzi in tela di sacco. Vittorino Fiori nel commentare su La Nuova Sardegna i pupazzi di un artigiano sassarese, alla IV Mostra dell’artigianato sardo dell’I.S.O.L.A. (1959), afferma: «Personaggi la cui carica espressiva è impressionante come quella non ancora dimenticata delle figurine delle sorelle Coronèo».
Anni ’60
Si trasferiscono a vivere nel Corso Vittorio Emanuele II al n. 117, nel signorile Palazzo Vadilonga, a Cagliari, poco distante dall’attività commerciale che il fratello Gerolamo apre con la liquidazione del lavoro d’impiegato in banca, il negozio d’antiquariato La Barcaccia al civico 103, rimasto in attività sino alla fine degli anni Ottanta. Le sorelle Coronèo, supportate dal fratello Gerolamo che si occupava dell’acquisto della merce, vi lavorano insieme fino alla morte di Giuseppina, avvenuta nel febbraio 1978, trattando soprattutto oggetti legati alla Sardegna: libri, stampe, carte geografiche, argenti e ori del costume sardo, dipinti e arte sacra, cassapanche e arredi vari, connotando ben presto il negozio come un luogo d’incontro frequentato da intellettuali, appassionati antiquari e amici. Isolata tra le mura del negozio, Giuseppina continua a creare con molta passione e una smisurata riservatezza, pupazzi in stoffa, oggetti d’arredamento, biglietti e pergamene augurali come dono per gli amici oppure esposte senza interesse alla vendita.
1963
Nel volume Sardegna, un popolo, una terra, Eugenio Tavolara firma il capitolo dedicato all’Arte antica e moderna, e nel panorama delle arti minori, afferma che dal 1925 al 1940 si svolge la prima fase del risveglio dell’artigianato artistico isolano, per merito di artisti quali Salvatore Fancello, Tosino Anfossi, Nino Siglienti, Giovanni Pintori e le sorelle Coronèo.
1976
Il volume 50 anni di arte decorativa e artigianato in Italia a cura di Paola Frattani e Roberto Badas, edizioni ENAPI, riporta due riproduzioni fotografiche a tutta pagina con la didascalia: «Figure in cartapesta dipinta esposte alla VII e X Triennale delle Arti Decorative a Milano, disegnate ed eseguite dalle sorelle Coronèo di Cagliari».
1978
Nel mese di febbraio muore a 82 anni Giuseppina Coronèo. Nicola Valle scrive per ricordarla su L’Unione Sarda:«È scomparsa – o meglio, si è dileguata – senza farsi notare, senza il consueto seguito dei convenzionali compianti e degli occasionali panegirici; come fosse stata inghiottita da quell’ombra e dal quel silenzio, in cui da viva, aveva preferito trascorrere le sue giornate, quasi adagiandovisi, senza disdegno o ribellione verso il mondo circostante, che pareva offrirle solo immagini di squallore e di sofferenza da redimere socialmente e moralmente. Osservandole e ripensandole con una intensità che è prerogativa dei più dotati, queste immagini si traducevano in opere singolari, a mezza strada tra la pittura e la scultura, tra la deformazione e la trasfigurazione, tra la protesta ed il compatimento. Sentimenti, che – tutti – emergono dalle figurine (il diminutivo si riferisce solo al formato, alle dimensioni) da lei donate ai pochi amici ed ammiratori, ed a quanti lei considerava tali. E poteva giudicarli con quella capacità di discernimento che le derivava dall’intelligenza e dalla sensibilità che le si poteva leggere a prima vista negli occhi e nel lento volgere dello sguardo penetrante». A Cagliari, nel mese di marzo, gli Amici del Libro organizzano una Mostra retrospettiva in memoria di Giuseppina Coronèo. Un gruppo di pittori: Delitala, Fantini, Fois, Palazzi, Cabras-Brundo, Pisano, Sulas, Badas, Sassu, accoglie l’invito dell’Associazione e presenta in mostra, «un’opera propria che valga a confermare l’alta stima ed il generale rimpianto, per la scomparsa della compianta figurinista». Vengono raccolte faticosamente, con la collaborazione degli amici che conservano quel poco che è rimasto di tante opere disperse, 36 opere, soprattutto pupazzi, figurine in stoffa e due collages. La rivista dell’associazione, Il Convegno, dedica il numero di luglio-agosto a Giuseppina Coronèo, realizzando un catalogo della mostra. È questo l’elenco più completo mai pubblicato delle opere dell’artista, arricchito da 25 riproduzioni fotografiche in bianco e nero.
1987
Esce il volume Persone e Personaggi, nel quale Nicola Valle traccia un profilo suggestivo ed appassionato di Giuseppina e descrive minuziosamente i suoi lavori in un brano intitolato: “Giuseppina Coronèo, Una grande forza creatrice che si esprimeva coi mezzi più umili e inconsueti”. Viene definitivamente chiusa La Barcaccia, la bottega antiquaria della famiglia Coronèo nel Corso Vittorio Emanuele 103 a Cagliari.
1994
Muore all’età di 96 anni Albina Coròneo.
2005
A Cagliari, la commissione Pari Opportunità organizza la mostra di artigianato artistico “Donne Artigiane”, intitolata alle sorelle Coronèo. In questa occasione si avvia il primo studio sistematico sul loro lavoro.
2006
Anche a seguito del forte interesse del critico d’arte Vittorio Sgarbi, la Libera Associazione Culturale Arteficio di Cagliari raccoglie una serie di opere da collezioni private e organizza presso la Sala dei Matrimoni del Palazzo Civico una esposizione monografica intitolata “Le sorelle Coronèo”. La Mostra espone una parte della produzione d’artigianato artistico delle sorelle Coronèo, mettendo in rilievo le loro capacità creative e manuali. La nipote Maristella Gulli scrive nella breve nota di presentazione: «Giuseppina e Albina Coronèo nacquero a Cagliari, la prima nel 1896 e la seconda nel 1898. Due personalità dissimili e, ciononostante (o forse proprio per questo), due persone che si complementavano a vicenda e che vissero sempre, fino alla scomparsa di Giuseppina nel 1978, in una straordinaria simbiosi. Entrambe con un diploma di scuola media superiore (fatto piuttosto inconsueto per l’epoca) non intrapresero la via dell’insegnamento, ma scelsero sempre e comunque di esprimersi attraverso la loro creatività e il loro ingegno. Moderne, innovative e poliedriche, produssero modelli e disegni per ricami, collages in tessuto, panno lenci e carta, arazzi, cuscini, figure in panno ma anche caricature per amici e parenti».
2007
Nell’esposizione “L’arte delle donne”, tenutasi al Palazzo Reale di Milano, sono presenti due opere firmate Coronèo. Il catalogo della mostra presenta uno scritto di Vittorio Sgarbi, “Ritratto dell’artista come donna”, in cui il critico rimarca: «In nessun artista, questo piacere educato, questa sublimazione della decorazione, questo rifiuto per il mito dell’artista come ribelle, mi sono apparsi più ricercati e compiuti che nell’impresa delle sorelle Coronèo, chiuse in una bottega di Cagliari a tagliare e a cucire per comporre quadri di stoffa e anche di carta, di implacabile precisione. Impossibile non amarne il gusto per gli orli, per le rifiniture. Arte povera, ma di una povertà amata, più preziosa della ricchezza».
Il catalogo riporta le riproduzioni fotografiche delle opere esposte, due collages in stoffa degli anni Trenta: Bambina con cactus e Bambina con galletto.
Vittorio Sgarbi
Dove non sono le sorelle Coroneo?
Ci sono aspetti, dal punto di vista critico, non ancora chiariti nella vicenda di Giuseppina e Albina Coronèo, le sorelle sarde del Novecento, la cui reputazione non è ancora pari al loro merito. Che le sorelle Coronèo siano ancora delle artiste ragguardevoli, non può essere messo in discussione. Ma in quale ambito collocarle? Si è detto, correttamente, che la loro attività s’inserisce in un più vasto impegno di riabilitazione, in senso creativo e produttivo, delle ricerche artigianali locali, nei nuovi scenari, materiali e culturali, della civiltà industriale. Una riqualificazione che si manifesta in uno “stile collettivo”, condiviso con le arti “maggiori”, investendo le abitudini del quotidiano, secondo una tendenza che appartiene al Modernismo del tardo Ottocento (soprattutto l’esperienza di Arts and Craft).
Ma fino a che punto può essere considerato artigianato, anche in chiave moderna, una produzione che, come è nelle Coronèo, non intrattiene alcun rapporto con la serialità, e si nega al minuto commercio? L’unicità e la non riproducibilità sono tipiche dell’arte, e propriamente dell’arte più libera e nobile, estranea al valore economico. Artigianale può essere ritenuto, semmai, l’impiego di determinati materiali, come il panno, la carta, il ricamo, lo spago, il fil di ferro, con i quali le Coronèo, muovendosi in una direzione espressiva “povera” e “precaria”, in cui il risultato finale si esalta tanto più quanto più dimessa è la situazione di partenza, realizzavano le loro creazioni, solo convenzionalmente definibili “pupazzi”.
Negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta del secolo scorso, i materiali rientravano nell’ambito della produzione artigianale; ma già negli ultimi anni di vita di Giuseppina, le stesse materie erano entrate a pieno titolo, e il confine dell’arte “maggiore” con quella applicata era molto più labile, e i materiali poveri usati in modo innovativo dalle Avanguardie, secondo motivazioni peculiari come l’unicità, la non commerciabilità, il recupero di una natura diretta “rude”, della materia che trovano corrispondenza con le intenzioni delle sorelle cagliaritane, malgrado la totale diversità dei risultati. Non è certo il caso di interpretare il sofisticato gusto delle Coronèo come un’anticipazione dell’Arte Povera, ma qualche cosa, nel compiacimento di riciclare materie di poco conto, fondi di ripostiglio, stoffe recuperate in un cassetto, potrebbe suggerirlo. Il riferimento all’Arte Povera è pertinente per altri versi. L’impiego di materiali anomali, anche attraverso il riuso, comporta che le opere così realizzate non siano classificabili nell’ambito delle discipline artistiche canoniche. Un’opera di stoffa di Alighiero Boetti non può essere ritenuta una pittura, né una scultura, a cui, pure, potrebbe più assomigliare. È opera anfibia, lavoro “concretizzato”, in cui la componente concettuale, ai fini del suo significato, è non meno determinante di quella materiale.
E se l’aspetto concettuale nelle Coronèo è irrilevante, apre la strada alla classificazione della tipologia delle loro opere. Sono opere con precise finalità artistiche. Se volessimo indicarne le maggiori affinità con le discipline tradizionali, si potrebbe dire che si tratta di sculture “morbide”, per via dell’uso prevalente del tessuto. Se invece volessimo farci capire subito, potremmo adottare la definizione di “pupazzi”, a patto che si vogliano appunto intendere come creazioni artistiche in materiali morbidi, assemblati attraverso il cucito. L’importante è accordarsi sulla loro ambizione alta, sul “dove non sono collocabili”, parafrasando il titolo dell’articolo con cui Gio Ponti, nel 1946, proponeva all’attenzione nazionale le Coronèo, piuttosto che sul “dove sono”. Altro punto da chiarire è il rapporto che l’arte delle Coronèo ha con il cucito, tradizionale mansione femminile, e, attraverso di esso, con l’immaginario espressivo delle donne sarde, e non solo. In altri termini, occorre stabilire fino a che punto l’arte delle Coronèo può considerarsi prettamente femminile. Non c’è dubbio che l’aver impiegato, in modo esclusivo, tecniche di tipica pertinenza domestica, con la chiara volontà di attribuire loro finalità espressive diverse da quelle artigianali, in linea con quelle normalmente riconosciute alle arti “maggiori”, fa delle Coronèo esponenti consapevoli di una ricerca femminile che, in certi anni, era probabilmente più espressiva di quella praticata dalle donne, mimetizzata a tal punto nell’immaginario del mondo maschile da non essere distinguibile da essa. Allo stesso modo, il ricorso a un archetipo dell’infanzia femminile, la bambola, ovvero le immagini dell’universo simbolico con cui le bambine, attraverso il gioco e la fantasia, si confrontano da adulte, presuppone un legame di tipo psicanalitico prima ancora che espressivo, con l’immaginario femminile.
Ma i “pupazzi” delle Coronèo non sono solo bambole, sono anche, soprattutto, “bamboli”; né sono giocattoli per bambini, perché nella maggior parte dei casi rispecchiano un mondo che è diventato adulto in modo parossistico, non escludendo la vecchiaia e la sofferenza, in forme assai lontane dalla spensieratezza infantile. In ciò consiste la dimensione universale, extrafemminile, delle Coronèo: nel riferirsi, cioè, a una condizione dell’uomo, dominata dall’insensatezza e dal dolore, in un pessimismo cosmico che solo raramente è attraversato da qualche brivido di ironia. Il tutto accentuato, grottescamente, dall’esprimersi attraverso forme simboliche che esemplificano al meglio, nel momento stesso in cui diventano arte e non più gioco, la distanza irrecuperabile con l’infanzia, ovvero con la fase della nostra vita più legata all’illusione della felicità. Ogni vita adulta è il tradimento dell’infanzia, il soffocamento forzato del fanciullino pascoliano che è ancora dentro di noi. Un fanciullino a cui le Coronèo non intendono all’apparenza rinunciare, anche se non può nascondere il suo disincanto, straziato, confrontandosi con la difficile realtà. Non si scherza, con i “pupazzi” delle sorelle Coronèo.
* Dal testo in catalogo ILISSO Edizioni
21
novembre 2009
Giuseppina e Albina Coroneo – L’opera di due sorelle artiste-artigiane
Dal 21 novembre al 16 dicembre 2009
arti decorative e industriali
Location
PALAZZO REGIO
Cagliari, Piazza Palazzo, 1, (Cagliari)
Cagliari, Piazza Palazzo, 1, (Cagliari)
Orario di apertura
dalle 09.00 alle 13.00 dalle 16.00 alle 20.00
Vernissage
21 Novembre 2009, ore 17
Sito web
www.sorellecoroneo.org
Editore
ILISSO
Autore
Curatore