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Giusy Pirrotta – Luna Coronata
La mostra di Giusy Pirrotta (Reggio Calabria, 1982) enfatizza la dimensione mostruosa, seducente e respingente, le qualità magiche e le caratteristiche diaboliche, con cui è stata rappresentata la donna nella storia, nella mitologia e nella letteratura, fino alla contemporaneità.
Comunicato stampa
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Luna Coronata
“Il terrore delle donne è forse
la più importante verità dietro la misoginia”
Jude Ellison Sady Doyle, Il mostruoso femminile.
Il patriarcato e la paura delle donne
Negli ultimi anni, la ricerca di Giusy Pirrotta (Reggio Calabria, 1982) si è rivoltata su se stessa. Nel suo lavoro sono inevitabilmente confluite una serie di riflessioni sorte dalle sue recenti esperienze di vita: il passaggio dalla malattia e alla guarigione, la radicale esperienza della maternità, le quotidiane difficoltà che deve affrontare in quanto artista e donna in un mondo in cui il sistema capitalistico eteropatriarcale condiziona tutti gli aspetti dell’esistenza. Oltre a profonde affinità con il pensiero femminista di Silvia Federici, il suo lavoro rivela una decisa influenza del Surrealismo e della psicanalisi, elementi che mette in scena grazie a un’eccezionale padronanza del disegno, del colore, della modellazione ceramica e delle tecniche di smaltatura.
La ricerca di una narrativa autoriflessiva, che caratterizza la sua produzione recente, inizia a emergere nell’installazione Ritual of Healing (2022). È anche la prima installazione in cui la ceramica gioca un ruolo predominante. Per l'artista, questo progetto funziona come una specie di rituale di guarigione del corpo dopo aver sconfitto un tumore al seno. Si possono osservare alcuni elementi iconografici che da allora sono ricorrenti nel suo lavoro: il busto femminile, i piedi, le mani sui quali aggiunge diversi attributi a seconda del tema che vuole sviluppare. Proprio in quest’opera, incontriamo anche un altro aspetto con cui l'artista lavorerà successivamente: i culti pagani, le arti divinatorie, la magia. Per Giusy Pirrotta rappresentano un modo alternativo di relazionarsi con il mondo nel tentativo di sottrarsi alle logiche tardo-capitalistiche. Partendo da una posizione consapevole ed emancipatrice rispetto alle dinamiche di espropriazione sociale nei confronti del corpo femminile e della riproduzione, la magia e il rito diventano per l’artista dei mezzi per trasgredire la norma.
La ricerca di Pirrotta continua a svilupparsi in questo senso, attingendo dall’immaginario mitologico per immergere e accompagnare lo spettatore nella peculiare esperienza della maternità con tutto ciò che essa comporta. Emerge uno sguardo critico verso le tradizioni familiari e le convenzioni sociali. E proprio da queste posizioni critiche, l’artista comincia la sua indagine sulle divinità femminili, i loro attributi e la loro rappresentazione nel corso della storia. Nei progetti successivi, Pirrotta si interessa a dee come Artemide (2023) o Tiamat (2023), evidenziando al contempo le qualità sensuali dei loro corpi e mostrandole come creature mostruose, “attraenti e ripugnanti allo stesso tempo”. Queste figure fantastiche le servono per mettere in evidenza i modelli di rappresentazione di una tipologia di donna specifica: la donna potente che affronta la sua condizione di subalternità e che rifiuta di seguire la norma stabilita per lei da altri, una figura mostruosa che affronta la cultura del mondo: il patriarcato, il potere maschile in tutte le sue molteplici forme.
Il linguaggio simbolico e gli elementi formali che esplora nella sua iconografia fungono da maschera: una finzione che le permette di approcciarsi alla sua biografia da una dimensione atemporale. Giusy Pirrotta indaga la rappresentazione della donna e del corpo femminile nella società dal punto di vista clinico e della maternità, ma soprattutto nella sua realtà politica. Così facendo, riesce a estrapolare dalla propria esperienza personale una riflessione ben più ampia e universale. Il personale diventa politico.
Pirrotta in questa mostra approfondisce ulteriormente la dimensione mostruosa e persino diabolica della rappresentazione della donna. Per farlo, parte dall'immagine dell'arpia, la favolosa creatura dal corpo di uccello e volto di donna, genio del male associato a tempeste e disgrazie. “Arpia” è anche un aggettivo dispregiativo, attribuito alla donna perversa che raggiunge con ogni mezzo ciò che si prefigge. Un altro elemento a cui ricorre è l’ampia tradizione legata all'influenza e al rapporto tra cicli lunari e le donne. Fa riferimento a quella concezione della donna che la collega direttamente con la magia e la stregoneria. Il titolo gioca infatti con la frase “Io sono la luna” pronunciata da Leonora Carrington e tratta da Il maestro e le maghe di Alejandro Jodorowsky, a cui l’artista aggiunge l'aggettivo “coronata”. Un’espressione che dà il nome all’aquila arpia, chiamata così per le caratteristiche piume che le adornano il capo (una specie che attualmente è in pericolo di estinzione).
L'installazione centrale è composta dalla testa di un’arpia appesa nella sala principale che sovrasta un gruppo scultoreo dove è rielaborata questa figura mitologica, frutto della ricerca e dell'immaginazione dell'artista.
Accanto a questo gruppo, un disegno su tela di notevoli dimensioni, combinato con applicazioni in ceramica, mostra una creatura informe che emerge dall'unione di innumerevoli filamenti tentacolari, tra i quali si intravedono organi sessuali riproduttivi femminili, uteri e vagine in diverse disposizioni. L’artista dimostra il suo virtuosismo nel disegno eseguendo, come d’abitudine, una composizione che si sviluppa in maniera quasi automatica, senza bozzetto. Si immerge in un processo in cui si lascia trasportare completamente dal subconscio per far emergere forme libere senza alcun tipo di imposizione cosciente.
Le opere di Pirrotta ci invitano ad abbandonare pregiudizi e idee preconcette per lasciarci condurre in territori oscuri, sedotti da una certa attrazione per l’abbietto: un gioco di opposti in cui sensualità e morte costituiscono gli estremi che mettono in gioco la tensione tra seduzione e repulsione. Un’oscurità ci permette di prendere coscienza di idee e convenzioni che hanno demonizzato e perseguitato le donne, non permettendo loro una partecipazione attiva nella società, negando loro i diritti universali e lo stesso diritto di parola. Per la mancanza di libertà di molte donne nel mondo continuiamo a vivere nel presente una contraddizione che riscopriamo anche nella nostra società occidentale ogni qual volta che un nuovo caso di femminicidio scoperchia ancora il vaso di Pandora. Perché tanta violenza sulle donne?
Nello sguardo aperto e schietto di Giusy Pirrotta c’è la convinzione che solo condividendo le intimità rubate dal silenzio e dall’oscurantismo si possa formare, a partire dal potere femminista, un fronte comune nella guerra che si combatte riguardo il corpo delle donne e scrivere con un vocabolario e una grammatica diversi, con nuovi significati, per un futuro che deve ancora arrivare.
Beatriz Escudero
“Il terrore delle donne è forse
la più importante verità dietro la misoginia”
Jude Ellison Sady Doyle, Il mostruoso femminile.
Il patriarcato e la paura delle donne
Negli ultimi anni, la ricerca di Giusy Pirrotta (Reggio Calabria, 1982) si è rivoltata su se stessa. Nel suo lavoro sono inevitabilmente confluite una serie di riflessioni sorte dalle sue recenti esperienze di vita: il passaggio dalla malattia e alla guarigione, la radicale esperienza della maternità, le quotidiane difficoltà che deve affrontare in quanto artista e donna in un mondo in cui il sistema capitalistico eteropatriarcale condiziona tutti gli aspetti dell’esistenza. Oltre a profonde affinità con il pensiero femminista di Silvia Federici, il suo lavoro rivela una decisa influenza del Surrealismo e della psicanalisi, elementi che mette in scena grazie a un’eccezionale padronanza del disegno, del colore, della modellazione ceramica e delle tecniche di smaltatura.
La ricerca di una narrativa autoriflessiva, che caratterizza la sua produzione recente, inizia a emergere nell’installazione Ritual of Healing (2022). È anche la prima installazione in cui la ceramica gioca un ruolo predominante. Per l'artista, questo progetto funziona come una specie di rituale di guarigione del corpo dopo aver sconfitto un tumore al seno. Si possono osservare alcuni elementi iconografici che da allora sono ricorrenti nel suo lavoro: il busto femminile, i piedi, le mani sui quali aggiunge diversi attributi a seconda del tema che vuole sviluppare. Proprio in quest’opera, incontriamo anche un altro aspetto con cui l'artista lavorerà successivamente: i culti pagani, le arti divinatorie, la magia. Per Giusy Pirrotta rappresentano un modo alternativo di relazionarsi con il mondo nel tentativo di sottrarsi alle logiche tardo-capitalistiche. Partendo da una posizione consapevole ed emancipatrice rispetto alle dinamiche di espropriazione sociale nei confronti del corpo femminile e della riproduzione, la magia e il rito diventano per l’artista dei mezzi per trasgredire la norma.
La ricerca di Pirrotta continua a svilupparsi in questo senso, attingendo dall’immaginario mitologico per immergere e accompagnare lo spettatore nella peculiare esperienza della maternità con tutto ciò che essa comporta. Emerge uno sguardo critico verso le tradizioni familiari e le convenzioni sociali. E proprio da queste posizioni critiche, l’artista comincia la sua indagine sulle divinità femminili, i loro attributi e la loro rappresentazione nel corso della storia. Nei progetti successivi, Pirrotta si interessa a dee come Artemide (2023) o Tiamat (2023), evidenziando al contempo le qualità sensuali dei loro corpi e mostrandole come creature mostruose, “attraenti e ripugnanti allo stesso tempo”. Queste figure fantastiche le servono per mettere in evidenza i modelli di rappresentazione di una tipologia di donna specifica: la donna potente che affronta la sua condizione di subalternità e che rifiuta di seguire la norma stabilita per lei da altri, una figura mostruosa che affronta la cultura del mondo: il patriarcato, il potere maschile in tutte le sue molteplici forme.
Il linguaggio simbolico e gli elementi formali che esplora nella sua iconografia fungono da maschera: una finzione che le permette di approcciarsi alla sua biografia da una dimensione atemporale. Giusy Pirrotta indaga la rappresentazione della donna e del corpo femminile nella società dal punto di vista clinico e della maternità, ma soprattutto nella sua realtà politica. Così facendo, riesce a estrapolare dalla propria esperienza personale una riflessione ben più ampia e universale. Il personale diventa politico.
Pirrotta in questa mostra approfondisce ulteriormente la dimensione mostruosa e persino diabolica della rappresentazione della donna. Per farlo, parte dall'immagine dell'arpia, la favolosa creatura dal corpo di uccello e volto di donna, genio del male associato a tempeste e disgrazie. “Arpia” è anche un aggettivo dispregiativo, attribuito alla donna perversa che raggiunge con ogni mezzo ciò che si prefigge. Un altro elemento a cui ricorre è l’ampia tradizione legata all'influenza e al rapporto tra cicli lunari e le donne. Fa riferimento a quella concezione della donna che la collega direttamente con la magia e la stregoneria. Il titolo gioca infatti con la frase “Io sono la luna” pronunciata da Leonora Carrington e tratta da Il maestro e le maghe di Alejandro Jodorowsky, a cui l’artista aggiunge l'aggettivo “coronata”. Un’espressione che dà il nome all’aquila arpia, chiamata così per le caratteristiche piume che le adornano il capo (una specie che attualmente è in pericolo di estinzione).
L'installazione centrale è composta dalla testa di un’arpia appesa nella sala principale che sovrasta un gruppo scultoreo dove è rielaborata questa figura mitologica, frutto della ricerca e dell'immaginazione dell'artista.
Accanto a questo gruppo, un disegno su tela di notevoli dimensioni, combinato con applicazioni in ceramica, mostra una creatura informe che emerge dall'unione di innumerevoli filamenti tentacolari, tra i quali si intravedono organi sessuali riproduttivi femminili, uteri e vagine in diverse disposizioni. L’artista dimostra il suo virtuosismo nel disegno eseguendo, come d’abitudine, una composizione che si sviluppa in maniera quasi automatica, senza bozzetto. Si immerge in un processo in cui si lascia trasportare completamente dal subconscio per far emergere forme libere senza alcun tipo di imposizione cosciente.
Le opere di Pirrotta ci invitano ad abbandonare pregiudizi e idee preconcette per lasciarci condurre in territori oscuri, sedotti da una certa attrazione per l’abbietto: un gioco di opposti in cui sensualità e morte costituiscono gli estremi che mettono in gioco la tensione tra seduzione e repulsione. Un’oscurità ci permette di prendere coscienza di idee e convenzioni che hanno demonizzato e perseguitato le donne, non permettendo loro una partecipazione attiva nella società, negando loro i diritti universali e lo stesso diritto di parola. Per la mancanza di libertà di molte donne nel mondo continuiamo a vivere nel presente una contraddizione che riscopriamo anche nella nostra società occidentale ogni qual volta che un nuovo caso di femminicidio scoperchia ancora il vaso di Pandora. Perché tanta violenza sulle donne?
Nello sguardo aperto e schietto di Giusy Pirrotta c’è la convinzione che solo condividendo le intimità rubate dal silenzio e dall’oscurantismo si possa formare, a partire dal potere femminista, un fronte comune nella guerra che si combatte riguardo il corpo delle donne e scrivere con un vocabolario e una grammatica diversi, con nuovi significati, per un futuro che deve ancora arrivare.
Beatriz Escudero
25
maggio 2024
Giusy Pirrotta – Luna Coronata
Dal 25 al 27 maggio 2024
arte contemporanea
Location
CAR Gallery
Bologna, Via Azzo Gardino, 14a, (BO)
Bologna, Via Azzo Gardino, 14a, (BO)
Orario di apertura
martedì a sabato ore 10,3-13 e 15-19,30
Vernissage
25 Maggio 2024, h. 17-20
Sito web
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Autore testo critico