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Glenn Sorensen / James Yamada
doppia personale
Comunicato stampa
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Gallery A: GLENN SORENSEN
Tramutare il reale in immagine avendo a disposizione le due dimensioni della tela è sempre stata per gli artisti una primaria necessità. Questa diventa un’ occupazione imprescindibile per i pittori, a seconda della loro sfera emozionale e sensibilità, nel cogliere in ciò che li circonda quegli elementi da trasportare sulla superficie della tela con le tecniche più adeguate per raggiungere l’obbiettivo prefissato. Queste superfici riflettono ampiamente la personalità di chi le produce e come specchi ci ritornano il mondo di chi, in quel momento, ha prodotto l’immagine e che ci arriva attraverso la nostra personale interpretazione.
Questa attitudine alla specularità e il rflesso dell’immagine sembra essere il punto di attenzione che Sorensen stà rivolgendo all’oggetto dei suoi interessi. Essa traspare nella duplicità delle immagini che come specchi riproducono nuovamente l’ oggetto contenuto nella rappresentazione. Questa duplicità è comunque attinta dal microcosmo da cui l’artista attinge per le sue immagini, nell’ambito dello spazio domestico o comunque riferito alla personale sfera emozionale che traspare chiaramente nella stesura dei toni lievi e sfumati dei suoi dipinti. Anche il solo accenno o traccia del pennello sulla tela può indurre ad una sensibilità percettiva e sembrerebbe che la materia della pittura, minuziosamente stesa nel rilievo sino ad assumere un proprio corpo, eluda una parte iconica del dipinto. Quasi come un sistema di un personalissimo lessico questa grammatica ci propone un linguaggio emozionalmente caldo atto a rendere narrativo lo stato psicologico ed intimistico del dipinto. Queste immagini appaiono quasi intravedibili al nostro sguardo quasi come se il nostro sguardo penetrasse lo specchio emozionale della memoria di chi ha costruito l’immagine, nell’intenzione di racchiudere in essa qualcosa da preservare ma che esiste e non può svelarsi per restare misteriosamente sospesa tra il nostro sguardo e lo specchio del dipinto.
Gallery B: JAMES YAMADA “Rainow Ball”
Gli aspetti della contraddizione umana sono diversi e la loro analisi non è così facilmente decifrabile e chiara. Questi sono connessi con gli aspetti culturali e tecnologici della struttura della società nel suo percorso e la loro valutazione cambia nell’ interpretazione dell’etica quando quest’ ultima entra in relazione al suo contesto storico. E’ ovvio che in una struttura sociale semplice ed in una più tecnologica ed economicamente sviluppata questa analisi è ulteriormente complicata dalle sovrastrutture che determinano anche un diverso concetto delle necessità. Tecnologia ed economia sono legate tra loro come anche l’adattamento dell’uomo alle nuove richieste di progresso e a quelle dilatate dell’informazione. Gli stessi strumenti del gioco, che oggigiorno maneggiano i bambini, sono una richiesta di capacità sensoriali più sviluppate in precise funzioni che le nuove tecnologie produrranno per i futuri consumatori. La nostra comprensione, rispetto ad una struttura così complessa, che ridistribuisce l’ansia delle nuove necessità e la tensione del desiderio verso fittizie formule di appagamento, può essere facilmente paralizzata dall’incessante richiesta di efficienza e velocità che teconologia-consumo ci impongono. Tutto ciò, come facilmente si intuisce, favorisce la struttura del potere e una nuova dittatura a cui nessuno sembra può più sottrarsi. Mentre continuiamo a pensare romanticamente allo stato naturale delle cose non ci accorgiamo che questo è inesistente. La nostra contemplazione del paesaggio oggi si confronta con quello domestico dell’internet ed il nostro linguaggio si adatta inconsapevolmente a quello non così decifrabile del web. Dietro ad esso la struttura del potere. Esso detiene l’informazione e offre una massiccia presenza di nuove indotte necessità e desideri, trasformabili da effimere immagini ad oggetti reali attraverso una credit-card. Nel fluttuante mondo fatto da immagini digitali, di codici, di un’informazione appagante, di un mercato che da piazza si trasforma ad un personalissimo casalingo world-wide-web, basta una pressione di un dito: solo un clic ed il mondo è tutto lì, letteralmente “a portata di mano”. Tutto ciò non è una valutazione morale, o nostalgia dei tempi che furono, o di ciò che è bene o male, a seconda di come si usi uno strumento tecnologico, ma solo la constatazione di superficie di qualcosa che ancora non conosciamo. Ovvio che tutto ciò determina una nuova cultura e le contraddizioni umane assumono quindi atre sembianze. Anche il linguaggio cambia in icona e tutto si codifica, ed è così che i contenuti del consumo sono diventati codici universalmente decifrabili dalla luce rossa dei decoder. Sembrerebbe che questa “ a portata di mano” possa essere vantaggiosa, e per alcuni aspetti lo è, ma c’è il rovescio della medaglia: nel non sforzo nel procurarsi la soddisfazione del desiderio si nasconde dietro l’angolo la noia. Quest’ ultima è utilissima all’etica del consumo perchè ci induce a ricercare nuovamente l’oggetto del desiderio per un ulteriore soddisfazione momentanea; ma la noia può tradursi anche in violenza, se l’oggetto è negato o oramai privo di soddisfazione perché virtualmente troppo disponibile e facile da ottenere.
Tutti questi discorsi implicano diverse reazioni direttamente proporzionali ai diversi livelli tecnologici ed economici e culturali dei fruitori o dei possibili aspiranti, alla loro capacità o impossibilità all’acquisto sia della merce che della tecnologia per procurarsela.
Questo è considerato dalla politica ed ovviamente in quei territori che non hanno un’informazione diffusa, perché deprivati economicamente, diventare una leva forte e dove risiede l’ignoranza e la superstizione o il fanatismo religioso si può manipolare più facilmente la massa perché si ottenga o si delinei un falso rifiuto del binomio tecnologia-consumo. Tutto ciò poi produce effetti di autodifesa o di aggressione in quelle più tecnologicamente ed economicamente avanzate fino ad arrivare alla paranoia assoluta indotta o inoculata dal potere in difesa dei privilegi. In entrambi i casi l’utilizzo della tecnologia diviene necessaria sia che si parli di alta o bassa tecnologia, in entrambi i casi diventa un’arma devastante, usata per soddisfare o una falsa identità ideologica democratica o una identità culturale adeguata alla rivendicazione dei propri diritti territoriali ed economici. Cosa è giusto e cosa è sbagliato, quali le implicazioni dei cambiamenti di una così diffusa aspirazione del desiderio tecnologico e cosa questo comporti ed il prezzo che si paga è assolutamente correlato al complesso sistema del lavoro di James Yamada. Esso è complesso perché legato alle asserzioni delineate nelle constatazioni fin qui espresse ed è sistema perchè analizza un sistema di fatti legati all’ ipertestualizzazione dei contenuti. Quando ci si imbatte nelle opere di Yamada si può avvertire un certo senso di incertezza e di disagio nel non potere afferrare immediatamente il filo del discorso che le tiene unite. Questo disagio è amplificato dalla diversa formalizzazione delle opere esposte : dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video. Ciò è il risultato della strategia dell’artista che non può darci coordinate certe perché il linguaggio che lui ci descrive nel suo pensiero non possiede un lessico fermo ed immutabile ma che si evolve e cambia forma come quello della contemporanea tecnologia. Si deve anche sottolineare che l’americano Yamada tiene conto della propria cultura e del cambiamento a cui inevitabilmente essa è connessa e delle direzioni che ha intrapreso. Fondamentalmente però l’artista manifesta la sua tensione verso il paesaggio e la perdita del concetto di natura indirizzandoci verso quello del web e della tecnologia, che utilizza nelle sue opere, per parlarci paradossalmente di quello naturale in rapporto all’uomo e alle sue azioni.
Questa perdita e caduta dell’uomo dallo stato di grazia naturale a quello dell’incertezza ed inafferrabilità delle conseguenze delle azioni prodotte attraverso la tecnologia nei confronti di se stesso e dell’ambiente in cui vive è ossessivamente presente in tutti i lavori di Yamada. E’ interessante come l’artista formalmente abbia tramutato attraverso la pittura, realizzata con smalti stesi molte volte su superfici di alluminio, il concetto di wharoliana memoria di merce come estetica. Yamada ha maturato tutto ciò visualizzando la rappresentazione del desiderio del paesaggio in forma astratta o in forma di celle disposte sulla superficie e in cui appaiono freddi codici visivi o altri ancora come quelli degli ideogrammi cinesi. Tutto ciò è riconducibile all’estetica del pop e del suo superamento considerando il codice a barre che, portatore dei contenuti sia formali che qualitativi della merce, è nello stesso tempo molto simile alle icone e ai linguaggi visuali dell’internet. Inoltre l’utilizzo grafico dell’ideogramma da un lato sottintende alla crescita di domanda di spazio dei prodotti da parte della Cina , la sue relativa crescita economica esponenziale e le relativa paranoia del mondo occidentale, e dall’altro il linguaggio simbolico codificato. Ciò rappresenta anche uno scontro di culture all’interno della globalizzazione del sistema informativo attuale: ultimi barlumi di diverse identità nazionalistiche in attesa di capitolare al nuovo e soppiantante linguaggio della proposta e richiesta di consumo ? Sembrerebbe proprio di sì. Questo soddisfacimento edonistico del desiderio attraverso la tecnologia è anch’esso presente nel lavoro di Yamada e quando prima si parlava della catarsi del desiderio in noia e quindi in violenza lo si intuisce dalle due stelle ninja conficcate nella cornice, a guisa di finestra, del fotografico paesaggio amazzonico nella nebbia. Molte volte le sculture di Yamada possiedono interazioni che inconsapevolmente attivano cambiamenti di significato in ciò che osserviamo allargando l’orizzonte su visioni che non avremmo mai considerato. Ed è proprio così che la storia umana si evolve nell’insensatezza delle proprie azioni e nella non considerazione delle conseguenze che queste producono: dall’alta tecnologia a quella bassa il risultato è lo stesso: cioè la cieca ignoranza della soddisfazione del proprio desiderio.
Un’esempio di scultura come "From Here To Eternity or Dreaming Of The Beginning Of The Information Age" delinea il rapporto tra alta e bassa tecnologia sottintendendo al doppio uso che di questa si può fare. Su una struttura argentea minimale, rivestita da pannelli ignifughi, che ricorda la grafica computerizzata delle terre emerse o dei fondali marini, è poggiata una stella marina realizzata con combustile fatto in casa per razzi. Questa, infiammabile solo ad alte temperature, è contenuta in busta di plastica trasparente sigillata per prevenirne l’assorbimento dell’umidità, e al suo interno è posta una di quelle piccole luci che si usano per le decorazioni natalizie con due fili che potrebbero essere infilati in una presa provocandone lo scoppio. Gli elementi che costituiscono il combustibile sono facilmente acquistabili sul mercato senza alcun problema tanto che l’artista provvede la scultura di un Kit, corredato di quanto è necessario, per la realizzazione delle stelle marine. All’aspetto poetico della nostra possibilità di mandare in orbita una stella marina per relegarla nello spazio celeste con le altre stelle si sottendono una serie di significati che partono dalla fatidica domanda della posizione dell’uomo nell’universo sino a quelle delle sue azioni e dell’ arbitrio che esso può avere nell’utilizzo della tecnologia. Questi problemi sono emblematicamente espressi in un’altra scultura dove un’ oca meccanica, posta su un’esile asta di metallo, prova a trovare la rotta, attraverso l’uso di un g.p.s. posto nella base, posizionandosi continuamente nelle diverse direzioni da cui provengono i materiali che la costituiscono: l’uccello migratore, come nella sua natura, cerca di ritornare ai luoghi di origine. Ma se nel caso delle due sculture la possibilità delle scelte sono ancora aperte nel video che l’artista presenta vi è una più amara constatazione nella immobilità fisica della persona che, costretta su una sedia a rotelle, nella visione di un paesaggio naturale, attraverso gioghi di prestigio, incatena anelli divisi tra loro o produce la lievitazione di una sfera di metallo. Questa costrizione fisica al non movimento è riconducibile alla paralisi di cui si accennava, di quella impossibilità della comprensione delle nostre azioni nella incessante richiesta dell’ immagine della efficienza e velocità che tecnologia-consumo richiedono, tanto da rendere reale ciò che non è nel gesto del nostro paraplegico movimento.
Tramutare il reale in immagine avendo a disposizione le due dimensioni della tela è sempre stata per gli artisti una primaria necessità. Questa diventa un’ occupazione imprescindibile per i pittori, a seconda della loro sfera emozionale e sensibilità, nel cogliere in ciò che li circonda quegli elementi da trasportare sulla superficie della tela con le tecniche più adeguate per raggiungere l’obbiettivo prefissato. Queste superfici riflettono ampiamente la personalità di chi le produce e come specchi ci ritornano il mondo di chi, in quel momento, ha prodotto l’immagine e che ci arriva attraverso la nostra personale interpretazione.
Questa attitudine alla specularità e il rflesso dell’immagine sembra essere il punto di attenzione che Sorensen stà rivolgendo all’oggetto dei suoi interessi. Essa traspare nella duplicità delle immagini che come specchi riproducono nuovamente l’ oggetto contenuto nella rappresentazione. Questa duplicità è comunque attinta dal microcosmo da cui l’artista attinge per le sue immagini, nell’ambito dello spazio domestico o comunque riferito alla personale sfera emozionale che traspare chiaramente nella stesura dei toni lievi e sfumati dei suoi dipinti. Anche il solo accenno o traccia del pennello sulla tela può indurre ad una sensibilità percettiva e sembrerebbe che la materia della pittura, minuziosamente stesa nel rilievo sino ad assumere un proprio corpo, eluda una parte iconica del dipinto. Quasi come un sistema di un personalissimo lessico questa grammatica ci propone un linguaggio emozionalmente caldo atto a rendere narrativo lo stato psicologico ed intimistico del dipinto. Queste immagini appaiono quasi intravedibili al nostro sguardo quasi come se il nostro sguardo penetrasse lo specchio emozionale della memoria di chi ha costruito l’immagine, nell’intenzione di racchiudere in essa qualcosa da preservare ma che esiste e non può svelarsi per restare misteriosamente sospesa tra il nostro sguardo e lo specchio del dipinto.
Gallery B: JAMES YAMADA “Rainow Ball”
Gli aspetti della contraddizione umana sono diversi e la loro analisi non è così facilmente decifrabile e chiara. Questi sono connessi con gli aspetti culturali e tecnologici della struttura della società nel suo percorso e la loro valutazione cambia nell’ interpretazione dell’etica quando quest’ ultima entra in relazione al suo contesto storico. E’ ovvio che in una struttura sociale semplice ed in una più tecnologica ed economicamente sviluppata questa analisi è ulteriormente complicata dalle sovrastrutture che determinano anche un diverso concetto delle necessità. Tecnologia ed economia sono legate tra loro come anche l’adattamento dell’uomo alle nuove richieste di progresso e a quelle dilatate dell’informazione. Gli stessi strumenti del gioco, che oggigiorno maneggiano i bambini, sono una richiesta di capacità sensoriali più sviluppate in precise funzioni che le nuove tecnologie produrranno per i futuri consumatori. La nostra comprensione, rispetto ad una struttura così complessa, che ridistribuisce l’ansia delle nuove necessità e la tensione del desiderio verso fittizie formule di appagamento, può essere facilmente paralizzata dall’incessante richiesta di efficienza e velocità che teconologia-consumo ci impongono. Tutto ciò, come facilmente si intuisce, favorisce la struttura del potere e una nuova dittatura a cui nessuno sembra può più sottrarsi. Mentre continuiamo a pensare romanticamente allo stato naturale delle cose non ci accorgiamo che questo è inesistente. La nostra contemplazione del paesaggio oggi si confronta con quello domestico dell’internet ed il nostro linguaggio si adatta inconsapevolmente a quello non così decifrabile del web. Dietro ad esso la struttura del potere. Esso detiene l’informazione e offre una massiccia presenza di nuove indotte necessità e desideri, trasformabili da effimere immagini ad oggetti reali attraverso una credit-card. Nel fluttuante mondo fatto da immagini digitali, di codici, di un’informazione appagante, di un mercato che da piazza si trasforma ad un personalissimo casalingo world-wide-web, basta una pressione di un dito: solo un clic ed il mondo è tutto lì, letteralmente “a portata di mano”. Tutto ciò non è una valutazione morale, o nostalgia dei tempi che furono, o di ciò che è bene o male, a seconda di come si usi uno strumento tecnologico, ma solo la constatazione di superficie di qualcosa che ancora non conosciamo. Ovvio che tutto ciò determina una nuova cultura e le contraddizioni umane assumono quindi atre sembianze. Anche il linguaggio cambia in icona e tutto si codifica, ed è così che i contenuti del consumo sono diventati codici universalmente decifrabili dalla luce rossa dei decoder. Sembrerebbe che questa “ a portata di mano” possa essere vantaggiosa, e per alcuni aspetti lo è, ma c’è il rovescio della medaglia: nel non sforzo nel procurarsi la soddisfazione del desiderio si nasconde dietro l’angolo la noia. Quest’ ultima è utilissima all’etica del consumo perchè ci induce a ricercare nuovamente l’oggetto del desiderio per un ulteriore soddisfazione momentanea; ma la noia può tradursi anche in violenza, se l’oggetto è negato o oramai privo di soddisfazione perché virtualmente troppo disponibile e facile da ottenere.
Tutti questi discorsi implicano diverse reazioni direttamente proporzionali ai diversi livelli tecnologici ed economici e culturali dei fruitori o dei possibili aspiranti, alla loro capacità o impossibilità all’acquisto sia della merce che della tecnologia per procurarsela.
Questo è considerato dalla politica ed ovviamente in quei territori che non hanno un’informazione diffusa, perché deprivati economicamente, diventare una leva forte e dove risiede l’ignoranza e la superstizione o il fanatismo religioso si può manipolare più facilmente la massa perché si ottenga o si delinei un falso rifiuto del binomio tecnologia-consumo. Tutto ciò poi produce effetti di autodifesa o di aggressione in quelle più tecnologicamente ed economicamente avanzate fino ad arrivare alla paranoia assoluta indotta o inoculata dal potere in difesa dei privilegi. In entrambi i casi l’utilizzo della tecnologia diviene necessaria sia che si parli di alta o bassa tecnologia, in entrambi i casi diventa un’arma devastante, usata per soddisfare o una falsa identità ideologica democratica o una identità culturale adeguata alla rivendicazione dei propri diritti territoriali ed economici. Cosa è giusto e cosa è sbagliato, quali le implicazioni dei cambiamenti di una così diffusa aspirazione del desiderio tecnologico e cosa questo comporti ed il prezzo che si paga è assolutamente correlato al complesso sistema del lavoro di James Yamada. Esso è complesso perché legato alle asserzioni delineate nelle constatazioni fin qui espresse ed è sistema perchè analizza un sistema di fatti legati all’ ipertestualizzazione dei contenuti. Quando ci si imbatte nelle opere di Yamada si può avvertire un certo senso di incertezza e di disagio nel non potere afferrare immediatamente il filo del discorso che le tiene unite. Questo disagio è amplificato dalla diversa formalizzazione delle opere esposte : dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video. Ciò è il risultato della strategia dell’artista che non può darci coordinate certe perché il linguaggio che lui ci descrive nel suo pensiero non possiede un lessico fermo ed immutabile ma che si evolve e cambia forma come quello della contemporanea tecnologia. Si deve anche sottolineare che l’americano Yamada tiene conto della propria cultura e del cambiamento a cui inevitabilmente essa è connessa e delle direzioni che ha intrapreso. Fondamentalmente però l’artista manifesta la sua tensione verso il paesaggio e la perdita del concetto di natura indirizzandoci verso quello del web e della tecnologia, che utilizza nelle sue opere, per parlarci paradossalmente di quello naturale in rapporto all’uomo e alle sue azioni.
Questa perdita e caduta dell’uomo dallo stato di grazia naturale a quello dell’incertezza ed inafferrabilità delle conseguenze delle azioni prodotte attraverso la tecnologia nei confronti di se stesso e dell’ambiente in cui vive è ossessivamente presente in tutti i lavori di Yamada. E’ interessante come l’artista formalmente abbia tramutato attraverso la pittura, realizzata con smalti stesi molte volte su superfici di alluminio, il concetto di wharoliana memoria di merce come estetica. Yamada ha maturato tutto ciò visualizzando la rappresentazione del desiderio del paesaggio in forma astratta o in forma di celle disposte sulla superficie e in cui appaiono freddi codici visivi o altri ancora come quelli degli ideogrammi cinesi. Tutto ciò è riconducibile all’estetica del pop e del suo superamento considerando il codice a barre che, portatore dei contenuti sia formali che qualitativi della merce, è nello stesso tempo molto simile alle icone e ai linguaggi visuali dell’internet. Inoltre l’utilizzo grafico dell’ideogramma da un lato sottintende alla crescita di domanda di spazio dei prodotti da parte della Cina , la sue relativa crescita economica esponenziale e le relativa paranoia del mondo occidentale, e dall’altro il linguaggio simbolico codificato. Ciò rappresenta anche uno scontro di culture all’interno della globalizzazione del sistema informativo attuale: ultimi barlumi di diverse identità nazionalistiche in attesa di capitolare al nuovo e soppiantante linguaggio della proposta e richiesta di consumo ? Sembrerebbe proprio di sì. Questo soddisfacimento edonistico del desiderio attraverso la tecnologia è anch’esso presente nel lavoro di Yamada e quando prima si parlava della catarsi del desiderio in noia e quindi in violenza lo si intuisce dalle due stelle ninja conficcate nella cornice, a guisa di finestra, del fotografico paesaggio amazzonico nella nebbia. Molte volte le sculture di Yamada possiedono interazioni che inconsapevolmente attivano cambiamenti di significato in ciò che osserviamo allargando l’orizzonte su visioni che non avremmo mai considerato. Ed è proprio così che la storia umana si evolve nell’insensatezza delle proprie azioni e nella non considerazione delle conseguenze che queste producono: dall’alta tecnologia a quella bassa il risultato è lo stesso: cioè la cieca ignoranza della soddisfazione del proprio desiderio.
Un’esempio di scultura come "From Here To Eternity or Dreaming Of The Beginning Of The Information Age" delinea il rapporto tra alta e bassa tecnologia sottintendendo al doppio uso che di questa si può fare. Su una struttura argentea minimale, rivestita da pannelli ignifughi, che ricorda la grafica computerizzata delle terre emerse o dei fondali marini, è poggiata una stella marina realizzata con combustile fatto in casa per razzi. Questa, infiammabile solo ad alte temperature, è contenuta in busta di plastica trasparente sigillata per prevenirne l’assorbimento dell’umidità, e al suo interno è posta una di quelle piccole luci che si usano per le decorazioni natalizie con due fili che potrebbero essere infilati in una presa provocandone lo scoppio. Gli elementi che costituiscono il combustibile sono facilmente acquistabili sul mercato senza alcun problema tanto che l’artista provvede la scultura di un Kit, corredato di quanto è necessario, per la realizzazione delle stelle marine. All’aspetto poetico della nostra possibilità di mandare in orbita una stella marina per relegarla nello spazio celeste con le altre stelle si sottendono una serie di significati che partono dalla fatidica domanda della posizione dell’uomo nell’universo sino a quelle delle sue azioni e dell’ arbitrio che esso può avere nell’utilizzo della tecnologia. Questi problemi sono emblematicamente espressi in un’altra scultura dove un’ oca meccanica, posta su un’esile asta di metallo, prova a trovare la rotta, attraverso l’uso di un g.p.s. posto nella base, posizionandosi continuamente nelle diverse direzioni da cui provengono i materiali che la costituiscono: l’uccello migratore, come nella sua natura, cerca di ritornare ai luoghi di origine. Ma se nel caso delle due sculture la possibilità delle scelte sono ancora aperte nel video che l’artista presenta vi è una più amara constatazione nella immobilità fisica della persona che, costretta su una sedia a rotelle, nella visione di un paesaggio naturale, attraverso gioghi di prestigio, incatena anelli divisi tra loro o produce la lievitazione di una sfera di metallo. Questa costrizione fisica al non movimento è riconducibile alla paralisi di cui si accennava, di quella impossibilità della comprensione delle nostre azioni nella incessante richiesta dell’ immagine della efficienza e velocità che tecnologia-consumo richiedono, tanto da rendere reale ciò che non è nel gesto del nostro paraplegico movimento.
27
ottobre 2006
Glenn Sorensen / James Yamada
Dal 27 ottobre al 07 dicembre 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA RAUCCI/SANTAMARIA
Napoli, Corso Amedeo Di Savoia Duca D'aosta, 190, (Napoli)
Napoli, Corso Amedeo Di Savoia Duca D'aosta, 190, (Napoli)
Orario di apertura
dal martedì al venerdì dalle 11,00 alle 13,30 e dalle 15,00 alle 18,30
Vernissage
27 Ottobre 2006, ore 19,30-21,30
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