In natura non vi è forma leggibile quando questa non è delineata dalla luce. Nell’oscurità della notte, quando non ci sono né stelle e né luna che rischiarano il paesaggio, tutto è avvolto dall’impenetrabilità di un buio assoluto. In una cupa e cieca atmosfera come questa solo la luce della luna può delineare e rischiarare la forma delle cose. Una percezione resa possibile da una luce riflessa. Anche se rimane invisibile, il soggetto che opera la visione rimane nascosto e lo spettatore percepisce solo la rivelazione offerta dal chiarore dello scudo lunare. Per quanto la visione sia romantica non ci è chiaro come la nostra alterata percezione, abituata alla disponibilità continua di luce artificiale, non ci permetta di comprendere lo stato naturale delle cose. In una pallida atmosfera, permeata di mistero, ogni cosa appare intima, silenziosa e diversa ai nostri occhi e pronta ad offrirci una nuova visione di sé. Nella mancanza di una chiara definizione visiva completiamo inconsciamente e automaticamente le forme, aiutandoci con la ricostruzione dell’immagine appresa dall’esperienza della luce solare. Gli incontri della luce della luna, allora, si delineano come una sintesi di una visione neoplatonica. Sintesi che da sempre vive nella nostra mente e concretizza, nell’incertezza dell’immagine percepita, la realtà del mondo.