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Gonçalo Mabunda – Il creatore del nascosto
Mabunda (Maputo, 1975) si appropria degli scarti bellici -facilmente reperibili- che vengono decostruiti e poi assemblati e saldati secondo dinamiche personali, a formare maschere e troni dalle reminiscenze tribali caratteristiche della cultura sub-sahariana. In mostra oltre venticinque opere.
Comunicato stampa
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La galleria Giovanni Bonelli è lieta di ospitare nella sede di Pietrasanta la mostra personale dell’artista Gonçalo Mabunda. L’artista, che rappresenta il Mozambico alla Biennale di Venezia 2019, ha una produzione plastica che si caratterizza per l’utilizzo di materiali bellici smantellati, utilizzati nella lunga e sanguinosa guerre civile - che per 16 anni ha insanguinato il suo paese, il Mozambico - che vengono riconvertiti in una dimensione artistica. Mabunda (Maputo, 1975) si appropria degli scarti bellici -facilmente reperibili- che vengono decostruiti e poi assemblati e saldati secondo dinamiche personali, a formare maschere e troni dalle reminiscenze tribali caratteristiche della cultura sub-sahariana. L’inizio di questa sua particolare tecnica va ricercato nel programma governativo chiamato “Trasformare le pistole in speranze”, al quale Mabunda partecipò dagli esordi nel 1995. Scopo del progetto era raccogliere le armi ancora estremamente diffuse sul territorio segnato dalla guerra civile appena conclusa, e distruggerne la gran parte mentre la quantità residuale, veniva consegnata agli artisti, chiedendo loro di “trasformarle” creativamente. Nella mostra a Pietrasanta sarà presentata una selezione di maschere e troni.
Le maschere di Mabunda hanno la forza evocativa e mantengono le valenze simboliche e rituali delle antiche maschere tribali africane facenti parte della cultura e della tradizione con le quali l’artista è nato cresciuto e vengono sottoposte da Mabunda a un processo di riconversione in chiave di espressione contemporanea. Con le sue creazioni Mabunda condanna le atrocità della guerra e soprattutto ne mette in evidenza in chiave metaforica e simbolica, i meccanismi sottesi e scatenanti e gli indissolubili legami con l’esercizio del potere politico. La fisiognomica delle maschere è perturbante, e rappresenta la catarsi in forma artistica di un materiale bellico carico di significati nefasti per un paese e per l’umanità intera (soltanto in Mozambico si contano oltre un milione di morti e 4 milioni di profughi dovuti alla guerra civile). I troni, simbolo del potere conquistato con le armi di cui sono composti, diventano allo stesso tempo denunce eclatanti della vacuità di un governo ottenuto con la violenza e un cortocircuito tra la modernità tecnologica (di cui le armi sono espressione) e l’ancestralità dei riti identitari del popolo mozambichiano e della sua memoria collettiva.
Mabunda si presenta quindi come creatore, nel senso letterale di costruttore, come colui che rende visibile, attraverso il lavoro di scomposizione e ricomposizione della forma, di un senso ulteriore delle cose. Un mediatore in grado di far ascendere la dimensione personale e quella del suo popolo a una dimensione di valore universale. Il nascosto, evocato nel titolo, si riferisce alla nuova possibilità di esistenza di oggetti (le armi) all’interno di una struttura estetica che in nessun modo ne mitiga l’impatto aggressivo ma che lo incanala in una nuova possibilità di senso che diventa, per contrasto, denuncia ed epifania di una nuova forma di vita e di relazione sociale possibili.
Gonçalo Mabunda (1975, Maputo District, Mozambico. Vive e lavora a Maputo)
Nonostante l’infanzia trascorsa in un paese devastato dalla guerra civile (1975-1991) Mabunda ha potuto frequentare le scuole della capitale del Mozambico (Maputo): ha iniziato a dipingere a 17 anni e dai 22 anni ha iniziato a lavorare come artista a tempo pieno. Ha al suo attivo la partecipazione ad esposizioni in prestigiose istituzioni di livello internazionale quali ad esempio: il Centre Georges Pompidou di Parigi (2005); il Mori Museum di Tokyo (2006); il Guggenheim di Bilbao (2016); Palazzo Reale di Milano (2016); il Palais de Tokyo di Parigi (2018). La sua prima presenza alla Biennale di Venezia risale al 2015 mentre quest’anno (2019) è stato selezionato per rappresentare il Mozambico nel padiglione nazionale. A livello internazionale collabora con la Jack Bell Gallery di Londra. Numerosi riconoscimenti internazionali gli sono stati conferiti per il suo impegno di attivista contro la guerra trasmesso attraverso i suoi lavori.
Galleria Giovanni Bonelli, Pietrasanta, Via Nazario Sauro 56
pietrasanta@galleriagiovannibonelli.it | www.galleriagiovannibonelli.it
Le maschere di Mabunda hanno la forza evocativa e mantengono le valenze simboliche e rituali delle antiche maschere tribali africane facenti parte della cultura e della tradizione con le quali l’artista è nato cresciuto e vengono sottoposte da Mabunda a un processo di riconversione in chiave di espressione contemporanea. Con le sue creazioni Mabunda condanna le atrocità della guerra e soprattutto ne mette in evidenza in chiave metaforica e simbolica, i meccanismi sottesi e scatenanti e gli indissolubili legami con l’esercizio del potere politico. La fisiognomica delle maschere è perturbante, e rappresenta la catarsi in forma artistica di un materiale bellico carico di significati nefasti per un paese e per l’umanità intera (soltanto in Mozambico si contano oltre un milione di morti e 4 milioni di profughi dovuti alla guerra civile). I troni, simbolo del potere conquistato con le armi di cui sono composti, diventano allo stesso tempo denunce eclatanti della vacuità di un governo ottenuto con la violenza e un cortocircuito tra la modernità tecnologica (di cui le armi sono espressione) e l’ancestralità dei riti identitari del popolo mozambichiano e della sua memoria collettiva.
Mabunda si presenta quindi come creatore, nel senso letterale di costruttore, come colui che rende visibile, attraverso il lavoro di scomposizione e ricomposizione della forma, di un senso ulteriore delle cose. Un mediatore in grado di far ascendere la dimensione personale e quella del suo popolo a una dimensione di valore universale. Il nascosto, evocato nel titolo, si riferisce alla nuova possibilità di esistenza di oggetti (le armi) all’interno di una struttura estetica che in nessun modo ne mitiga l’impatto aggressivo ma che lo incanala in una nuova possibilità di senso che diventa, per contrasto, denuncia ed epifania di una nuova forma di vita e di relazione sociale possibili.
Gonçalo Mabunda (1975, Maputo District, Mozambico. Vive e lavora a Maputo)
Nonostante l’infanzia trascorsa in un paese devastato dalla guerra civile (1975-1991) Mabunda ha potuto frequentare le scuole della capitale del Mozambico (Maputo): ha iniziato a dipingere a 17 anni e dai 22 anni ha iniziato a lavorare come artista a tempo pieno. Ha al suo attivo la partecipazione ad esposizioni in prestigiose istituzioni di livello internazionale quali ad esempio: il Centre Georges Pompidou di Parigi (2005); il Mori Museum di Tokyo (2006); il Guggenheim di Bilbao (2016); Palazzo Reale di Milano (2016); il Palais de Tokyo di Parigi (2018). La sua prima presenza alla Biennale di Venezia risale al 2015 mentre quest’anno (2019) è stato selezionato per rappresentare il Mozambico nel padiglione nazionale. A livello internazionale collabora con la Jack Bell Gallery di Londra. Numerosi riconoscimenti internazionali gli sono stati conferiti per il suo impegno di attivista contro la guerra trasmesso attraverso i suoi lavori.
Galleria Giovanni Bonelli, Pietrasanta, Via Nazario Sauro 56
pietrasanta@galleriagiovannibonelli.it | www.galleriagiovannibonelli.it
18
maggio 2019
Gonçalo Mabunda – Il creatore del nascosto
Dal 18 maggio al 30 giugno 2019
arte contemporanea
Location
GALLERIA GIOVANNI BONELLI
Milano, Via Luigi Porro Lambertenghi, 6, (Milano)
Milano, Via Luigi Porro Lambertenghi, 6, (Milano)
Orario di apertura
martedì-sabato 10.30-13.00; 15.00-19.30
Vernissage
18 Maggio 2019, ore 18.00
Autore
Curatore